di Stefano Galieni
Tutto condensato in 27 pagine, più allegati. Il progetto di revisione del “sistema Cie” è stato realizzato, quasi in sordina, da uno staff di dirigenti e funzionari del ministero dell’Interno guidati dal sottosegretario Saverio Ruperto. Muove dal presupposto della necessità dei Cie e prevede numerose novità sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio.
Eccole, in estrema sintesi: l’affidamento dei centri a un solo ente gestore su tutto il territorio nazionale; la riduzione del periodo massimo di permanenza da 18 a 12 mesi (vista la sostanziale inutilità del precedente allargamento); maggiore autonomia decisionale dei prefetti nella definizione delle modalità di accesso; l’applicazione di standard sanitari omogenei e migliori in tutte le strutture, anche allo scopo di non creare occasioni di fuga («uno dei metodi maggiormente usati da parte dei trattenuti per tentare di fuggire consiste nel provocare, anche con atti di autolesionismo, le condizioni per essere ricoverati in strutture sanitarie esterne», si legge nel rapporto); raggruppamento degli “ospiti” sulla base dei diversi status giuridici; isolamento dei violenti e trattamento premiale per buona condotta; modifica del capitolato d’appalto con regolamento unico; nuova dislocazione dei centri presso città sedi di autorità diplomatiche, collaborazione fra ministeri interessati.
Il rapporto era stato commissionato dal Ministro al sottosegretario Ruperto nel giugno 2012, in concomitanza con l’emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del “Serraino Vulpitta” di Trapani e del “Malgrado Tutto” di Lamezia Terme e di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri. In varie occasioni noi di Corriere Immigrazione avevamo tentato di parlare con Ruperto per sapere come stessero procedendo i lavori: siamo stati sempre rimpallati.
Fulvio Vassallo Paleologo, dell’Università di Palermo, è fra gli studiosi e gli attivisti che da più tempo segue le tematiche connesse alle varie forme di detenzione amministrativa:
«Il rapporto contiene la formalizzazione di prassi che sono in uso da mesi presso tutti i Cie, sulla base degli ampi poteri discrezionali esercitati dai questori e sotto la supervisione del Dipartimento libertà civili e immigrazione, del ministero dell’Interno (la cui responsabile è fra i relatori del rapporto n.d.r.). L’uso di celle di isolamento ai fini di pestaggi mirati e i trasferimenti dopo le azioni di protesta sono documentati. Ci sono state in proposito anche denunce alla magistratura che però è rimasta inerte archiviando tutto. E adesso è caduta anche la volontà di denuncia dei detenuti, esposti a rappresaglie sempre più dure. Il rapporto sembra rispondere alle richieste più estreme di alcuni sindacati di polizia ed è allarmante che esca fuori in un momento nel quale, di fatto, non c’è ministro dell’Interno. Sembra quasi di cogliere un atto di impulso, un segnale raccolto e inviato alle forze di polizia, di un ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla direttiva Ue 115/2008. La proposta è quella di veder proliferare i Cie su tutto il territorio nazionale con un inasprimento delle condizioni di trattenimento e con il consueto corollario di nuovi “reati d’autore”. Ogni passo del rapporto apre un elemento di problematicità: si prende atto che i centri operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, omettendo di dire che il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori hanno portato ad una diminuzione del personale degli stessi. Si annuncia che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i Cie, ma i Cpsa (Centri di primo soccorso e accoglienza) spesso informali, con procedimenti che violano il ricorso a espulsioni collettive e violando gli stessi accordi di Schengen».
Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci:
«Prima di abbandonare il suo incarico il ministro dell’Interno Cancellieri lascia un’eredità avvelenata: un ‘rapporto’ (anche se del rapporto non ha le caratteristiche, visto la scarsità di argomenti a giustificazione di scelte che sono per lo più in continuità con quelle di chi l’ha preceduta, in particolare l’ex ministro Maroni) sui centri di identificazione ed espulsione (Cie), in cui le problematiche individuate come principali sono assolutamente discutibili. E così si parla, per esempio, della necessità di contenerne i costi, anche se questo va a discapito del rispetto dei diritti delle persone detenute. Non basta infatti la dichiarazione di intenti, quando poi non si mettono a disposizione le risorse per i servizi che servono a rendere concreti tali diritti. Altro aspetto su cui il ‘rapporto’ insiste molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi – in strutture che già rappresentano la negazione dello stato di diritto – i rivoltosi e addirittura i ‘potenziali’ rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali. Addirittura si fa cenno alla necessità di prevedere negli istituti carcerari sezioni ghetto in cui rinchiudere gli stranieri “per poterli identificare più agevolmente”. Siamo alla teorizzazione dell’apartheid anche nelle carceri! Si propone poi di intervenire sulla normativa che determina le aggravanti, inserendovi anche la ribellione nei Cie, che verrebbe equiparata ai crimini meritevoli di un surplus di pena. Si continua insomma nella logica persecutoria che si è già dimostrata fallimentare dal punto di vista del contenimento dell’immigrazione irregolare, ma soprattutto vergognosa per uno stato che si vorrebbe civile e democratico».
L’avvocato Alessandra Ballerini, parte da lontano e da un caso che forse è stato determinante per comprendere l’assurdità di tale rapporto.
«Ricorderei la sentenza del giudice Edoardo D’Ambrosio che ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel Cie di Crotone, che lanciarono alla Polizia oggetti vari – agirono per “legittima difesa” (sentenza n. 1410 del 12/12/12) e che la reazione degli stranieri alle “offese ingiuste” è da considerarsi proporzionata. Le condizioni di vita nel centro, sono state giudicate “al limite della decenza”: Le strutture – ha spiegato il giudice – non erano “convenienti alla loro destinazione”: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale. Lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato a chi magari è abituato a condizioni abitative precarie, ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di razza». In pratica, sostiene Alessandra Ballerini, un giudice ha affermato che i detenuti avevano tutte le ragioni per ribellarsi in quanto sottoposti ad un regime inaccettabile che equivarrebbe alla tortura, se fosse finalmente contemplata nel nostro ordinamento. E parte da lontano perché a suo avviso sono infinite e numerose le ragioni di incostituzionalità della stessa esistenza dei Cie (un tempo Cpt): «Esistono limiti costituzionali alla limitazione delle libertà personali – prosegue – e alle modalità con cui queste si realizzano, che non possono essere regolate da un capitolato, come sostiene il documento del ministero. Il rapporto indicato mostra come si renda necessario superare le condizioni di discrezionalità in cui si applica la detenzione amministrativa, ma per definire ciò occorrerebbe una legge che non violi la costituzione. Il T.U. sull’immigrazione, nelle sue continue modifiche restrittive e tenendo conto delle direttive Ue intervenute in materia, non chiarisce questo e non possono essere atti amministrativi o regolamenti a bypassare leggi e costituzioni. In fondo il rapporto afferma quello che chi si occupa da tanti anni di questa materia ha sempre affermato invano: l’inesistenza di un presupposto legislativo chiaro ed applicabile. A mio avviso, e lo dico anche in qualità di attivista di LasciateCIEntrare, bisogna fare esattamente altro. Rivedere il T.U. da cima a fondo per rendere più accessibili le regolarizzazioni e gli ingressi legali e, in osservanza alla direttiva europea 115/2008, recepita male e in ritardo dal precedente governo italiano, far divenire il trattenimento “estrema ratio” e non la soluzione più semplice per non risolvere una difficoltà».
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere Immigrazione il 22 aprile 2013