Favole somale

di Stefano Mancini /
10 Agosto 2024 /

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La tradizione letteraria somala non si limita soltanto alla celebre poesia tradizionale e alle nuove correnti narrative e teatrali dell’ultimo cinquantennio, ma comprende invece anche una ricchissima letteratura folclorica e favolistica, tramandata oralmente di generazione in generazione. Anche quest’ultimo genere letterario è stato investito dai cambiamenti tecnologici e culturali sopravvenuti nel XX secolo. Il 21 ottobre 1972 è la data che ha segnato il cambiamento più importante nel panorama culturale somalo, con l’adozione della grafia latina da parte del regime di Mohammed Siad Barre quale scrittura ufficiale della Repubblica Democratica di Somalia. Solo a partire da questo momento gli studiosi somali hanno cominciato a strutturare raccolte e registrazioni della vasta letteratura folcloristica esistente nel Paese.

Nel contesto culturale somalo del nomadismo pastorale la favola è considerata come un brano letterario contenente un insegnamento e destinata all’ammaestramento della persona a cui ci si rivolge. In virtù di questo fine le favole somale hanno quasi sempre un marcato carattere didascalico, esplicito o implicito; esse servono a tramandare di padre in figlio comportamenti, valori, modi di agire e consuetudini. Sono una sorta di cornice di riferimento per i giovani ma rappresentano anche uno strumento per costruire le capacità espressive dei bambini, che si approcciano così a un modello di retorica utile per il futuro; retorica che ha un grande valore in una società come quella somala in cui l’oralità riveste molta importanza. Le favole costituiscono una parte cospicua della letteratura somala, rispecchiando fedelmente le caratteristiche di una società nomade in cui si trasmettono oralmente tradizioni secolari. Le tematiche trattate variano molto, spaziando dai temi politici a quelli legati ai problemi della quotidianità. La loro struttura non è fissa, ma grazie al veicolo di trasmissione dell’oralità, lo “scheletro” del racconto viene arricchito continuamente di varianti. In questo modo la fiaba si rinnova sempre, mantenendo inalterato il nucleo del messaggio ma generando diverse versioni. Spesso la versione più antica è segnalata dalla presenza di parole arcaiche nel testo, sconosciute alle coorti d’età più giovani ma comprensibili per i soggetti in età più avanzata [1].

Il testamento:

C’era una volta un uomo ricco di bestiame che aveva un solo figlio.

Un giorno l’uomo si ammalò gravemente; allora chiamò suo figlio e gli disse: “Se muoio, tutta la mia proprietà passerà a te, ma non devi mai fare due cose: non uccidere un tuo simile e non cibarti di cose rubate o razziate”. Poi morì.

Il figlio crebbe, si sposò, divenne padre e visse felice, ma non capiva il significato del testamento di suo padre.

Per capire l’enigma del testamento di suo padre, un giorno partecipò a una razzia ai danni di una povera famiglia di orfani e prese una parte del bottino.

Per i tre anni seguenti il bestiame non si riprodusse e gli morirono molti capi in strane circostanze.

Dopo alcuni anni uccise un uomo, e tutto il bestiame gli venne preso per risarcire la famiglia dell’ucciso.

Da ricco diventò povero e lui e la sua famiglia patirono la fame e la miseria.

Solo allora, dopo tutte quelle sciagure, capì il significato delle ultime parole di suo padre.

La grande varietà di temi trattati delle favole somale rende molto complicata una loro rigida classificazione, si possono però citare alcune categorie di racconti molto comuni: gli animali sono spesso protagonisti, sia quelli selvatici che convivono con l’uomo nel suo stesso ambiente come leoni, leopardi, iene, sciacalli, sia gli animali d’allevamento tipici della Somalia o quelli da cortile. I somali hanno creato un’innumerevole quantità di storie su questi animali, i quali vengono spesso personificati e dotati di intelligenza umana. Vi sono poi novelle “culturali” che contengono gli aspetti della vita somala, codici di condotta, saggezza popolare, lezioni morali o di comportamento sessuale. Giacché l’umorismo è molto apprezzato dai somali, le fiabe a tema umoristico sono molto diffuse: in somalo l’umorismo è considerato uno scherzo che contiene sempre un elemento di serietà, di realtà delle cose e delle azioni.

I due idioti:

C’erano una volta due sposi idioti.

Un giorno che avevano fritto molta carne la misero in un vaso di fibra, poi andarono insieme a raccogliere legna. Per strada incontrarono un uomo che chiese loro l’indicazione di un villaggio; gli dissero: “Percorri questa strada, vedrai una capanna, è la nostra, ma non entrarci, e se entri non toccare il vaso; se lo tocchi, non mangiare la carne; se la mangi, mangiane poca…”.

Sentite queste parole il viaggiatore andò via e arrivato alla capanna dei due idioti, vi entrò e mangiò tutta la carne, perché aveva molta fame, e subito dopo fuggì via.

Quando, raccolta la legna, i due tornarono, guardarono il vaso, ma non trovarono più la carne.

Meravigliati e perplessi si chiesero chi poteva averla mangiata, ma non pensarono al viaggiatore, visto che gli avevano raccomandato di non entrare nella capanna.

Dopo essere rimasti per un po’ incerti, l’uomo vide una mosca sulla fronte di sua moglie, e, felice di aver risolto l’enigma, disse: “Non ti muovere, ho trovato il ladro che ci ha mangiato la carne”.

E, presa un’ascia, colpì con tutta la sua forza la donna sulla faccia, credendo di uccidere la mosca ladra.

La donna morì con la bocca spalancata, ma l’uomo, che credeva che stesse ridendo, le diceva: “Ridi! Bene, ridi!”.

La mattina seguente i parenti vennero a visitare gli sposi, e chiesero all’uomo dove fosse la donna.

L’idiota disse loro: “Sta ridendo da ieri pomeriggio, quando ho ucciso la mosca ladra; andate a vederla, sta nella capanna”.

I parenti videro il cadavere della povera disgraziata e lo seppellirono.

I modi e i contesti in cui avviene la trasmissione delle favole variano notevolmente ma una delle modalità di esecuzione è certamente quella serale all’interno della famiglia-clan. Ad esempio, mentre viene consumato il pasto della sera attorno al falò, uno degli individui anziani del gruppo familiare prende la parola e inizia a raccontare una specifica favola usando come pretesto o gancio un evento che riguarda il nucleo familiare. La favola è scelta con cura e mirata al contesto o al problema sul quale il narratore vuole intervenire, o in base all’insegnamento che desidera impartire. L’intento del messaggio influenza il tono, la scelta dei vocaboli, la gestualità e le espressioni utilizzate dal narratore stesso. Anche all’interno della famiglia nucleare vengono regolarmente raccontate favole, i coniugi o i figli le utilizzano come strumento per comunicare tra loro. Il loro impiego è particolarmente incentivato fra i bambini come esercizio mirato di retorica e spesso le favole sono recitate fra il gruppo di ragazzi, con o senza la partecipazione di un adulto, con il gruppo clanico che assiste, incoraggia e aiuta i giovani nella rappresentazione.

L’onestà e l’inganno:

Una volta andarono a caccia il fuoco, l’acqua, il serpente, il leone, l’onestà e l’inganno. Trovarono una grossa cammella e se la portarono via; l’inganno conduceva la cammella e gli altri le camminavano dietro.

Mentre camminavano in fila indiana, l’inganno chiamò il serpente e gli disse: “Tu sai quanto è pericoloso il leone; perché non lo mordi prima che ci uccida tutti?”

Il serpente tornò indietro e morse il leone.

Morto il leone, l’inganno chiamò il fuoco e gli disse: “Hai visto quello che ha fatto il serpente, perché non lo bruci prima che ci morda tutti?” Il fuoco tornò indietro e bruciò il serpente.

Morto il serpente l’inganno chiamò l’acqua e le disse: “Hai visto quello che ha combinato il fuoco; perché non lo spegni prima che ci bruci tutti?” L’acqua tornò indietro e spense il fuoco.

Spento il fuoco, l’inganno chiamò l’onestà e le disse: “Quell’acqua è pericolosa potrebbe annegarci; vieni saliamo su quella collina con la cammella”.

Così fu fatto e l’acqua si fermò ai piedi della collina.

Raggirata l’acqua, l’inganno volle liberarsi anche dell’onestà per avere tutta la cammella per sé, e le disse: “Metti le pastoie alla cammella”.

Quando l’onestà ignara si accucciò sotto la cammella, l’inganno spaventò la bestia in modo che passasse sopra l’onestà, ma la cammella tirò un forte calcio all’inganno, il quale morì sul colpo.

Morto l’inganno, l’onestà portò via la cammella e la divise con l’acqua.

[1] Il contesto socioculturale delle favole somale e la traduzione italiana di alcune di esse sono tratte da Ciise M. Siyaad, Favole somale, in Studi Somali 6, ministero degli Affari esteri – Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo – Comitato Tecnico Linguistico per l’Università Nazionale Somala, Roma, 1985. Il testo è liberamente consultabile nell’Archivio Somalia: https://arcadia.sba.uniroma3.it/handle/2307/936.

Questo articolo è stato pubblicato su Treccani l’8 agosto 2024

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