Questo articolo avrebbe dovuto essere pronto diverso tempo fa…. Ma molteplici vicissitudini, date anche dall’intermezzo festivo, hanno impedito che ciò avvenisse. Tutto sommato, devo dire che alla fine non sia un male essendo la caratteristica dei due argomenti che affiancherò, quella di essere progettualità di largo respiro e lunga gittata. In entrambi i casi ho colto una tappa di un movimento iniziato da lungo tempo e che si protrarrà in avanti nei mesi futuri ed anche di più. Non sono unici progetti di lungo corso in ballo e prossimamente torneremo su questo tema. Qui, intanto, si torna a parlare di Andrea Romeo che in qualche modo ha operato una scelta per la polis ponendosi come una sorta di terzo settore di cura, promozione produzione cinematografica in special modo documentaristica in senso lato, ed anche come canale distributivo di qualità rispetto alla cinematografia straniera. Ma, davvero, potremmo dire, nelle sale di Biografilm ed ora pop up diffuse in città, straniero è un vocabolo inappropriato e quasi privo di senso.
Il respiro plurale, internazionale, accogliente che fa parte del DNA storico del territorio è stato assunto in pieno in una filosofia culturale dell’altrove come qui e viceversa, allora e adesso e nel prossimo futuro, riassunta da un lapidario quanto efficace: fai del cinema la tua casa.
Sicché la collaborazione parallela e ad incroci virtuosi tra gloriose e prestigiose istituzioni culturali cittadine quali Cineteca ed in generale tutto il comparto culturale del Comune di Bologna e la verve visionaria del privato di sbuzzo, sta producendo una piccola rivoluzione copernicana.
Si perché a Bologna dopo un inverno di lungo scontento per i cinephiles amareggiati dalla chiusura inesorabile di gran parte delle numerose sale sia del centro che della periferia, a volte tristemente abbandonate tanto da essere oggetto di comprensibili occupazioni , talvolta trasformate in usuali brutture commerciali, talvolta sopravanzate da multisale decentrate chiassose e tanto anni 80, finalmente vede l’alba di una nuova stagione , se non d’oro, sicuramente di qualche materiale prezioso e duraturo.
C’è da fare naturalmente un ragionamento su un dato statistico nazionale che vede, dopo la peste virale e culturale che ci ha afflitti, un sostanzioso ritorno del pubblico nelle sale cinematografiche, trainato da opere prime sorprendenti e di qualità per quanto riguarda la cinematografia nostrana e da grandi attesi ritorni internazionali come per esempio Wenders. Ma naturalmente in linea generale e il caso cittadino ne dà ampia conferma, bisogna saper anche innovare nelle politiche di ingaggio del pubblico.
Che naturalmente non è un indistinto plurale e neppure un insieme di targets da aggredire come bellicosamente si tende a dire. Potremmo dire che il nostro mister Wonder ha brandizzato con la formula pop up l’accesso alle sale cinematografiche, ma non sarebbe troppo corretto nei confronti della vena autenticamente riformatrice e popolare nel senso democratico del termine che lo contraddistingue.
Come sappiamo, Romeo si inalbera un po’ persino con amici, sodali e colleghi quando sente parlare di famiglie cinematografiche… non è ad un cocooning privato e narcotico o peggio ad un insieme di operatori di settore vagamente cosa nostra style che sta pensando quando illustra con ragionato entusiasmo le magnifiche ed esponenzialmente estendibili ad libitum sorti della fidelizzazione filmica, ma ad una vera e propria comunità, non community, attenzione. Attenzione perché qui i distinguo sono molto sottili tra i famosi portatori di interesse e quelli che si scelgono per affinità, per una condivisione di valori aggregativi di un certo tipo. Valori che comunque si pensi tendono a limitare l’invadenza e la preminenza delle serie televisive o di piattaforma on demand, per favorire la socialità ed anche il famoso dibattito.
La politica della fruizione filmica in sala di oggi, già inaugurata da tempo in diversi paesi europei, fa dei cinema una sorta di agorà o piazze del mercato informali, dove si è assecondati nel nostro vivere flessibili, spalmati sulle 24 ore, con pochi breaks e pause fisiologiche. Siamo immersi in perenni after-hours e le storie diventano i nostri followers più affezionati, ripristinando i matinée che diventano breakfast eppoi brunch della domenica o birretta e filmone del sabato sera a ciclo continuo.
Inoltre appunto, con l’inserire sempre più presentazioni dal vivo in sala spesso aperte anche all’intervento del pubblico, talvolta goliardicamente e collettivamente stimolato , contemplando la possibilità di bere e smangiucchiare nel buio complice, basta spegnere pero il cellulare,( sul serio ragazzi e forse, senior soprattutto,) queste sale di ultima generazione , che spesso offrono anche le versioni in lingua originale, buone per intenditori studenti e perché no, turisti, assomigliano sempre più a luoghi dati agli spettacoli pubblici e dal vivo e a teatri di epoca shakespeariana.
Naturalmente le politiche organizzative non bastano se il suono, la qualità di condizione dell’eventuale pellicola, l’ergonomia complessiva di seduta e visione, i parametri di riscaldamento, deumidificazione e quant’altro, oltre ad un bar accogliente, una illuminazione gradevole per occhi presumibilmente già stanchi da ore di schermate, non siano di livello. Quindi staremo pur parlando di produzioni immateriali, ma un investimento tuttavia di mattone che vada sul concreto, ci vuole assolutamente. Il caso Modernissimo che combina accoglienza, non ancora perfezionata nei meccanismi di entrata e uscita, ma virtuosissimo per l’allure di passaggio e intima al contempo del bistrot, per gli arredi e i colori caldi vintage per il recupero dell’immaginario dei velluti e della bomboniera che abbraccia, nonché per le programmazioni variegate che contemplano una sorta di repertorio di storia del cinema con le ultime uscite, fa scuola non solo a mio avviso nei numeri. Infatti, si intersecano qui le sinergie di cui dicevamo sopra tra know e investimenti pubblici e privati e si verifica plasticamente il miracolo di un pubblico intergenerazionale in contemporanea, non scaglionato rigidamente per segmenti, roba quasi da casa del popolo dei tempi andati. Ma questa è un’altra storia. Per tutte queste ragioni, si va sempre anche scapicollandosi un poco, alle conferenze stampa indette da Andrea Romeo e dallo staff I wonder pictures e Unipolbiografilm. Sappiamo già infatti che non solo ci verrà ricordata e caldeggiata l’adesione peraltro già cospicua alla pop card lignea super ecologica che ci battezza come adepti della comunità, che non soltanto ci verranno ribadite le programmazioni più sfiziose che punteggiano la settimana del circuito pop up quali il lunedì top doc dedicato alla documentaristica internazionale, il mardi bon bon per le chicche transalpine, il mercoledì per best of fests, il giovedì , in replica decentrata il venerdì, la senior academy per i pensionati cinefili, ma anche l’academy per giovanissimi, il sabato degli incubi e la domenica delle colazioni. Sappiamo infatti già che ci verrà annunciato qualcosa di inedito ed infatti il core, con tanto di plastico in evidenza e presenza dell’architetto Simone Gheduzzi , di questa press conf svoltasi a ridosso del Natale è stata la notizia dell’avvio del cantiere per il quinto pop-up in città. Trattandosi del ripristino del mitico Fulgor, sempre di via Montegrappa, indissolubilmente legato nella memoria alle proiezioni disneyane, autentico gioiellino liberty nel cuore pulsante di Bologna, la notizia non lascia indifferenti anche i cultori della buona urbanistica. Infatti, come recita il comunicato stampa, Pop up cinema Fulgor sarà anche l’occasione per costruire un ponte ideale tra tradizione e contemporaneità. Diverserighestudio e Thema, saranno le due società in collaborazione pe integrare parte architettonica e parte ingegneristica e la filosofia culturale di fondo sarà quella di offrire una occasione di incontro, spettacolo e formazione culturale al pubblico attento e smaliziato di Bologna.
Il complesso in cui è situato il cinema è una palazzina liberty del 1913, che portava internamente iscrizioni ora necessariamente cancellate relative a quel momento storico. Un lounge bar morbido, avvolgente accessoriato con divanetti è nell’ordine delle cose da prefigurarsi, rimarcando una forte identità bolognese, dunque anche solida in qualche misura ed esemplificata da materiali quali legno e mattoni. L’intento è di riabitare, rileggere, reinterpretare ma nel solco di una confortevole identità culturale che è ormai sinonimo di uno stare nei tempi del contemporaneo, con il massimo dell’adeguamento antropologico possibile.
L’obiettivo pratico è inaugurare la sala nel 2025, in modo da esserci per Biografilm e Cinema ritrovato di quell’anno. Difatti arriva puntuale anche la benedizione da parte di Gianluca Farinelli direttore di Fondazione Cineteca Bologna, ormai consacrato come figura parte integrante del mondo movie anche oltreoceano: la speranza, si sa, è quella di un effetto domino, che possa far riaprire altre sale cinematografiche ancora a sancire la crisi di un certo consumo audiovisivo solipsistico. In tutto questo, non mancano appunto gli adeguamenti anche tecnologici e, se le sale si dotano di sofisticati sistemi di proiezione laser a 2 e 4 k, la vera buona notizia è che si conta di ridurre i consumi energetici ed il conseguente impatto ambientale del 50 per cento almeno.
Possiamo dire che Atene in questo caso non piange affatto e dunque supponiamo altrettanto buona la situazione di una nostra metaforica Sparta.
Infatti, passiamo a parlarvi di una delle sezioni progettuali ad alto contenuto di tensione civile entro la stagione Agorà. Un portato contenutistico davvero inusuale in versione prenatalizia, ma, oltre a non essere appunto melassa buona per tutti i palati e le stagioni genericamente, una lancia spezzata a favore della coincidenza tra impegno, bellezza, efficacia d’intenti. Stiamo parlando naturalmente del progetto voci della storia, di stagione Agorà, la stagione teatrale e non solo, più estesa dell’area metropolitana, coinvolgendo 8 comuni di Pianura est, nel distretto Reno Galliera.
Da tempo, questa programmazione celebra le date topiche di un possibile calendario di celebrazioni civili, l’organigramma laico di un universo martiriologico che scandisce tappe trionfanti e meno del nostro processo democratico, studiando eventi ad hoc e ad alto potenziale di coinvolgimento pubblico e valenza pedagogica.
Sappiamo tutti, chi più chi meno, dell’esistenza di giornate di commemorazione e riflessione che chiamiamo giornate della memoria, giornate del ricordo e che più o meno cadono ad inizio anno. Tuttavia, Agora, con il progetto dedicato che prende le mosse dallo spettacolo. Volevo risarcirvi, di cui già vi abbiamo parlato gioca d’anticipo e va in approfondimento, non accontentandosi di un’unica occasione sporadica per lanciare un messaggio ben preciso sul dovere civico di non obliare, ma dotandosi di diversi appuntamenti e meditando di diventare una vera e propria scadenza culturale fissa a livello nazionale tramite proposizione del progetto all’attenzione ministeriale. A margine della toccante prima dello spettacolo di cui gli antefatti dovrebbero esservi noti, avendone dato qui un veloce resoconto, ne parliamo con Alessandro Amato, che di tutta la stagione è solerte curatore.
Come è nata l’idea di andare oltre quella che già pareva un’impresa vera e propria, ovvero, di ricavare uno spettacolo da una ricercazione, oggi la chiameremmo, datata più di 25 anni fa e di farne poi il fulcro di una progettazione inusuale e complessa? Personalmente ho potuto assistere nel corso degli anni a moltissime rappresentazioni che vertevano sulla commemorazione della Shoa, o sulle lotte partigiane o sul sacrificio dei civili durante questa penultima guerra e anche altre, ma mi ha colpito la stratificazione di questa vicenda, le soggettività molteplici chiamate in causa sul palco, compresa quella della allora giovanissima ricercatrice, il mescolarsi naturale di piani diversi tra lo psicologico il sociale, l’antropologico , che si rincorrono nel tempo , rendendo infine magistralmente la profondità della prospettiva storica come dovrebbe essere, ovvero fatto collettivo, che tutti ci abita. Dunque, chapeau al regista di Menoventi, alle interpreti in scena, al materiale bruciante, ma anche un ringraziamento alla tua coraggiosa dedizione.
Guarda, in verità tutto si è dipanato non dico con facilità, che non sarebbe esatto, ma con una certa naturalità che sta nel valore intrinseco delle cose. Tu sai benissimo che da queste parti di pianura Est l’afflato civico e la postura politica in senso ampio, l’attenzione alla trasmissione di conoscenze e saperi, non ci sono mai mancati e che con Elena (n.d.r. Digioa), abbiamo sempre voluto questo fil rouge di memorie perché pensiamo la nostra sacralità laica in questo risieda. Sapevamo di questi materiali che Fiorella custodiva ma che pur essendo diventata infine terapeuta come voleva, faceva fatica a maneggiare e che le erano costati una fatica immensa di reperimento e assemblaggio. Abbiamo cominciato ad ascoltarli anche noi gente di teatro e la loro crudeltà è ina accettabile. Ci turbava che non avessero riscontro pubblico ma la delicatezza del tema ci atterriva. Nel tempo abbiamo potuto anche interrogarci e provare a misurarci sulle differenze tra le varie esperienze traumatiche di guerra e guerra civile. Ovvero tra l’essere, per esempio, protagonisti di azioni di sabotaggio, di rappresaglia scontro armato e l’essere deportati per le più diverse ragioni: razziali, di genere, di differenza e naturalmente di pulizia etnica. La particolarità dei nastri raccolti dalla nostra ricercatrice di allora è di essere relativi a deportati per motivi politici, che si son sempre pensati come minoritari, dato l’elevato numero di quadri resistenziali esiliato, riparato comunque altrove, o già confinato e imprigionato oppure massacrato sin dagli esordi del fascismo. Qui abbiamo oppositori un po’ presi anche per caso per delazione o durante azioni nella seconda parte della guerra e tutti convinti più o meno di dover morire, ma magari davanti ad un plotone d’esecuzione e non presi per sfinimento ed umiliazione in campi che sono di detenzione, concentramento, annientamento, a seconda delle sofisticate divisioni mentali al limite della perversione organizzata. Il loro valore di testimonianza è altissimo perché sono anche persone in gran parte mai salite alla ribalta della Storia e spesso neppure della cronaca e che per anni si erano tenute tutto dentro. Men che meno a volte i familiari stessi erano al corrente delle torture subite e delle cose che avevano dovuto agire loro stessi o vedere. Un vero teatro della banalità del male che però non possiamo rimuovere perché dovrebbe invece costituire la base per un progetto di archiviazione di queste cose…. I testimoni oculari di allora stanno morendo tutti, l’ANPI è ormai formata da giovani, per fortuna si iscrivono in tanti, ma le occasioni per confrontarsi davvero su certe cose che purtroppo stanno accadendo anche ai giorni nostri sotto i nostri occhi mancheranno sempre più. Si fa fatica oggi a trovare persino il vocabolario per parlare di certe cose. Vogliamo proteggere i nostri figli da tanto Male, ma poi rischiamo non lo sappiano riconoscere: eppure sul web, nei videogiochi, nei fantasy estremi sono sottoposti ad un campionario di brutture e crudeltà gratuite che non arginiamo affatto. Di qui l’idea di lavorare un po’ pionieristicamente in modo nuovo, servendoci di tanti linguaggi storici, psicologici, ma anche artistici che sentiamo nelle nostre corde. Man mano che si aprono bauli e armadi variamente vergognosi, dobbiamo portare alla luce tanta sofferenza ed elaborarla. Per questo vogliamo che questo afflato diventi un progetto strutturato e finanziato ai più alti livelli ministeriali. Non ci basta un seppur convinto e generoso riconoscimento locale e territoriale. Questa è storia nazionale. Intanto, dopo la prima che hai visto tu a Pieve, abbiamo avuto un incontro pubblico partecipatissimo a S Giorgio di Piano, poi il debutto di questo studio di Paola Bianchi danzatrice e coreografa che come hai potuto constatare nella cornice della nuovissima biblioteca pubblica di Granarolo, tu sai che per noi abitare le biblioteche è atto politico di per sé, ci ha mostrato il nerbo centrale, l’asciugatura di un processo di ascolto dei nastri. La sua scelta consapevole di non parlare, di lavorare sulle contratture sofferenti del corpo e di lavorare solo con il sottofondo di una elaborazione elettronica di nastri che già di per sé sono malandati all’ascolto, in modo da creare un brusio confuso. Sembra di vedere anime purganti in qualche modo. Sara interessante capire come il lavoro evolverà quando nei mesi più avanti Paola si confronterà con dieci performers in scena con lei e tutto cambierà certamente.
Mi congedo da Alessandro pensando alla morte recentissima di Ferruccio, ultimo testimone della strage di Marzabotto e penso alla urgenza delle sue considerazioni, che voglio corroborare ricordandovi che il 20 Gennaio sempre nell’ambito di stagione Agorà, potrete assistere ad una replica di questo lavoro così necessario. E naturalmente per chiosare fino in fondo il mio pensiero va anche alle parole ascoltate in Arena da parte di Toni Servillo in scena che ci ricorda come i Greci abbiano inventato piazze e teatri di fronte al mare in piena luce, per onorare il principio di condivisione e catarsi collettiva e naturalmente chi si fregia di una titolazione impegnativa quale Agorà, ha per l’appunto il diritto dovere di portare avanti questo vessillo.
In copertina, Cineteca di Bologna, Velthur at Italian Wikipedia, CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons