di Massimo Villone
Si fa un gran parlare di come sia necessario tradurre la crisi in occasione, al fine di uscirne con un paese diverso e rinnovato. Ma la politica che dovrebbe consegnarci un risultato così dirompente è il remake di un film già visto. Un esempio eclatante è la coalizione messa in piedi da De Luca. De Luca con il Covid ha vinto un terno al lotto.
Oltre due mesi di campagna elettorale solitaria e incontrastata, in cui la sua indubbia capacità istrionica gli ha consentito di bucare lo schermo. Cerca mosse ad effetto che gli diano visibilità, come sulla data delle elezioni e l’inizio dell’anno scolastico. Il Pd ha perso ogni voce autonoma, di fatto assorbito nel marchio De Luca.
Sulla chiamata alle armi di Pomicino, Mastella e De Mita leggiamo che l’intento sarebbe quello di riprendere antiche tradizioni. Qualcuno potrebbe pensare che si raccolgono i resti delle reti di consenso e delle clientele di un tempo.
D’altra parte, gli antagonisti di De Luca non brillano per novità. Slogan e parole d’ordine non possono nascondere che nelle convulsioni di M5S c’è molto di vecchia politica. In Campania, nemmeno emerge un progetto politico strutturato e si percepisce soltanto una contrapposizione frontale a De Luca, non diversa da quella praticata senza grande successo per tutta la consiliatura. Uno scenario che forse gratifica i militanti, ma rimane insufficiente a rendere realistica la prospettiva di una vittoria nell’urna.
La destra-centro discute se blindare Caldoro, usato sicuro, mentre raccoglie nella Lega frattaglie e cambia-casacca del tempo che fu. De Magistris, almeno in apparenza, è ancora e sempre impegnato a sfogliare la margherita della discesa in campo. La sinistra sparsa non sembra in grado di superare la frammentazione che da anni la affligge. Frammentazione che ha già prodotto una sostanziale irrilevanza, e che non sembra lasci anticipare un risultato diverso.
Il futuro della Campania, i tempi, modi e risorse per realizzarlo, rimangono indeterminati. Progetti politici sia pure in embrione, abbozzati, da perfezionare, discutere, approfondire, condividere, non se ne vedono.
Qualcuno forse direbbe che le elezioni si vincono anche senza progetto. Invece, di progetti c’è un grande bisogno, e ce n’è bisogno adesso.
Sappiamo che l’emergenza sanitaria è auspicabilmente – ma non possiamo esserne assolutamente sicuri – sotto controllo. Sappiamo che la crisi economica e sociale è certa, anzi è già in atto. Sappiamo che avremo un periodo di transizione lungo e difficile prime di un recupero accettabile. Sappiamo che le risorse europee ci aiuteranno nell’immediato, e che però dobbiamo dare risposte che siano sostenibili anche quando le risorse europee saranno finite. Dobbiamo, in altre parole, pensare un paese nuovo a regime. Se investiremo ogni risorsa di quelle che si renderanno ora disponibili solo nel fronteggiare l’emergenza senza anticipare il nuovo, saremo costretti a tornare al paese che tutti dicono di voler cambiare, perché non avremo poi le risorse necessarie a cambiarlo.
Per questo una nuova questione meridionale, volta a recuperare l’obiettivo di ridurre il divario tra Nord e Sud, va posta oggi, e non ad emergenza conclusa. Bisogna capovolgere qui e ora la spinta al regionalismo differenziato che puntava, al fine di lanciare la locomotiva del Nord, a mantenere e consolidare la faglia che divide il paese. La pressione invece non cala, e ne potrebbe essere sintomo la proposta di Bonaccini di consentire alle regioni il ricorso all’indebitamento. Quali regioni, a quali condizioni, e con la garanzia di chi?
Un obiettivo esplicito e definito di riattivare il secondo motore del paese per disegnare una nuova Italia non emerge negli stati generali, o nelle 102 proposte di Colao.
Il primo abbozzo disponibile di Recovery Plan di Conte nulla dice, salvo un insignificante richiamo a un piano Sud 2030, con la menzione generica di fiscalità di vantaggio, aree interne e lavoro femminile. È ignota la sorte dell’originario Piano Sud del governo. Mentre sarebbe ora indispensabile una radiografia attenta della ricaduta in ogni territorio delle risorse che si vanno a destinare in risposta alla crisi. È una premessa necessaria per disegnare il futuro di ogni regione. De Luca, mentre costruisce coalizioni e si occupa di movida e baretti, metta i suoi uffici a elaborare cifre e studiare carte.
A Dio piacendo, vorremmo che il vincitore della prossima competizione elettorale facesse gli interessi dei governati, e non quelli dei governanti. Forse in futuro nulla sarà più come prima. Salvo, però, la politica.
Questo articolo è stato pubblicato su la Repubblica Napoli il 17 giugno