di Shakti Jaising
Guardando due film sorprendenti per la capacità di profetizzare la situazione attuale, Contagion e Virus Letale, ci si accorge che hanno dimenticato di sottolineare il modo diseguale in cui la crisi sanitaria colpisce i poveri.
Ho resistito per un po’ di tempo prima di guardare i vari thriller sul contagio di cui si discuteva online mentre la pandemia di Coronavirus colpiva paesi di tutto il mondo. Come fanno a essere elettrizzanti la paura e la suspense di fronte ad ansia e insicurezza concreti? Ma quando l’orrore della pandemia ha iniziato a manifestarsi quotidianamente, la sua anticipazione in alcuni film di successo ha colpito la mia curiosità.
Due classici del genere sono Contagion, il magistrale film di Steven Soderbergh del 2011, e il film di successo più fumettistico del 1995 di Wolfgang Petersen, Virus Letale (Outbreak, basato sul libro The Hot Zone – Area di Contagio di Richard Preston). Guardando questi film nel 2020, una cosa mi è parsa chiara: stavamo aspettando una pandemia da molto tempo. Ciò che la nostra cultura popolare ha avuto più difficoltà a immaginare, tuttavia, sono i modi in cui si manifesta la disuguaglianza strutturale nelle condizioni di una crisi sanitaria globale.
Sia Contagion che Virus Letale sono ambientati prevalentemente negli Stati uniti, in gran parte chiudono un occhio sulle dinamiche sociali del Sud del mondo, nonché sulle dinamiche interne di classe e razza all’interno degli Usa. Anche il più sofisticato dei due film, Contagion, presenta una visione abbastanza banale della società, in cui ricchi e poveri soffrono insieme.
Ora che la pandemia è arrivata nella vita reale, ha messo in scena ciò che veniva costantemente negato dall’immaginario di Hollywood: la divisione fondamentale tra ricchi e poveri, sia negli Stati uniti che nel resto del mondo. Il neoliberismo è una condizione globale, che ha condotto ovunque a esacerbare le disuguaglianze economiche. Una risposta di sinistra, internazionalista alla pandemia, dovrà riflettere sulla divisione globale del Nord e del Sud, per immaginare una politica di solidarietà su larga scala.
I poveri invisibili degli Usa
Contagion riesce a immaginare in modo straordinariamente chiaro il modo in cui la devastazione ambientale del capitalismo globale crei le condizioni per una pandemia. Il grande business, suggerisce il film, sta letteralmente facendo ammalare il mondo. Nel film, una società mineraria rade al suolo una foresta per realizzare una grande opera in Cina, sconvolgendo una popolazione di pipistrelli, che poi si sposta dal suo habitat naturale per infettare prima i suini e dopo gli esseri umani. È interessante notare che il «paziente zero» – che contrae il virus e lo diffonde a cittadini di Hong Kong, Giappone, Gran Bretagna e Stati uniti – è un dirigente statunitense, impiegato dalla stessa compagnia mineraria che sta distruggendo l’equilibrio ecologico cinese. Inoltre, lo scenario in cui esplode l’epidemia è un casinò a Macao.
Nonostante queste astute osservazioni sul capitalismo globale, il film non ha nulla da dire su classi e disuguaglianza: un’omissione eclatante vista la sua uscita nello stesso anno del debutto del movimento Occupy Wall Street. Un alto funzionario del Centro di controllo sulle malattie, il dottor Cheever – interpretato da Lawrence Fishburne – nel corso di una riunione spiega come deficit di alimentazione, condizioni di salute di base e fattori socioeconomici incidano sulla vulnerabilità alla malattia. Questo discorso, montato con le immagini di una mappa del mondo, rappresenta una delle poche volte in cui il film ci spinge a considerare i fattori socioeconomici che contribuiscono all’esplosione infettiva; ma questi fattori rimangono comunque astrazioni.
Mentre la malattia si diffonde e i suoi effetti ostacolano le normali funzioni della società, l’antagonismo di classe rimane notevolmente assente. Tutti – incluso il protagonista della periferia bianca della classe media (Matt Damon) – vengono mostrati in fila presso una banca del cibo. Tutti hanno diritto a ottenere il vaccino che alla fine viene prodotto (anche se i funzionari governativi possono godere di privilegi speciali): devi semplicemente aspettare il tuo turno in un sistema a estrazione a sorte. La scelta di Fishburne come funzionario del Centro di controllo, inoltre, consente al film di superare anche le disuguaglianze razziali. Quando il film tocca brevemente la disuguaglianza – per esempio, nella scena in cui il dottor Cheever consegna il suo vaccino assegnato dal governo al figlio del suo bidello – suggerisce che la pandemia sta producendo opportunità di livellamento piuttosto che esacerbare le disparità esistenti.
Alla fine, le condizioni materiali dei poveri e della working class in Contagion sono invisibili. Quando scoppia la pandemia, orde di persone danno vita a rivolte e saccheggi, ma sappiamo poco della vita di queste persone. Vediamo strade isolate e disseminate di immondizia a San Francisco, ma non ci sono netturbini; vediamo negozi di alimentari saccheggiati e svuotati, ma senza cassieri; i negozi bruciano a causa di un incendio doloso e sono incustoditi dai vigili del fuoco. Le uniche persone che lavorano sono gli operatori sanitari e il personale militare che distribuiscono pasti pronti, tutti con indumenti protettivi.
Le rappresentazioni senza classe e neutrali rispetto alla razza di Contagion sono ovviamente lontane dalla realtà di oggi, in cui molti – medici e infermieri, impiegati di negozi di alimentari, magazzinieri, braccianti agricoli, addetti alle consegne di cibo e altri – non hanno altra scelta che andare a lavorare sotto la minaccia del virus, spesso senza protezioni di base, e in molti casi senza assicurazione sanitaria e congedi per malattia. Potremmo essere tutti in una certa misura vulnerabili alla malattia, ma alcuni sono più vulnerabili di altri. Vi sono ampie prove di tassi di infezione e di decessi molto più alti tra le persone di colore e in particolare tra gli afroamericani, a causa delle disuguaglianze di lunga data nell’assistenza sanitaria privatizzata e anche dal fatto che un gran numero di persone in queste comunità sono «lavoratori essenziali» esposti al virus nei loro luoghi di lavoro.
La vulnerabilità vissuta dalle comunità povere ed emarginate degli Stati uniti è per molti versi simile a ciò che in questo momento stanno vivendo i loro corrispettivi nel Sud del mondo. A New York, allo stesso modo che in slum indiani come Dharavi, o township sudafricane come Alexandra, per molti lavoratori precari il distanziamento sociale spesso è impossibile. In queste città, i poveri ricevono cure sanitarie inadeguate. Inoltre, poiché l’economia è parzialmente in lockdown, molti lavoratori a livello globale si trovano ad affrontare un’improvvisa disoccupazione, e con essa sfratti e carenza di cibo. La pandemia ha messo in luce il destino condiviso dalle persone più povere del mondo, che spesso fanno alcuni dei lavori più essenziali.
Disuguaglianza di base
Numerose teorie sociali hanno puntato il dito sul divario tra le economie emergenti del Sud e quelle a capitalismo avanzato del Nord. La teoria del sistema-mondo, ad esempio, inquadra le economie meridionali come «periferiche» a causa della loro dipendenza dalla domanda da parte delle nazioni «centrali» del Nord. Questa tesi ci aiuta ad analizzare la disuguaglianza globale nel passato e nel presente, ma la sua struttura rischia di cancellare la povertà e la privazione all’interno delle nazioni «centrali». In questo tipo di teorizzazione si tende a inquadrare la povertà come un problema degli Stati periferici o delle nazioni del cosiddetto «Terzo mondo».
Anche alcuni analisti del neoliberismo hanno enfatizzato eccessivamente la separazione tra Nord e Sud. In Undoing the Demos, ad esempio, Wendy Brown sostiene che il neoliberismo nel Sud sia stato «imposto con la violenza» attraverso l’«hard power», mentre nel Nord i suoi valori sono stati diffusi attraverso il «soft power» o «consensus buy-in». Tutto ciò, sostiene, si traduce in un individualismo più interiorizzato nel Nord.
Questo tipo di contrapposizione rischia di farci sottovalutare il modo in cui le politiche e le pratiche neoliberiste sono state imposte ovunque. Altrimenti, come considerare i costanti tagli e la costante erosione delle infrastrutture sanitarie statunitensi?
Come osserva Mike Davis, per aumentare i profitti e garantire l’occupazione del 90%, «tra il 1981 e il 1999 il numero di letti per il ricovero in ospedale è diminuito di un impressionante 39%». Inoltre, negli ultimi due decenni, la medicina di emergenza negli Stati uniti è stata costantemente ridimensionata nel settore privato e soggetta a tagli di austerità nel settore pubblico, riducendo la capacità del sistema sanitario di rispondere alle epidemie e alle emergenze. Anche nel Nord il neoliberismo ha comportato una «imposizione violenta», sperimentata in modo più acuto dalle fasce più povere della popolazione.
Non vi è dubbio che le nazioni del Sud dispongano di infrastrutture sanitarie più deboli rispetto alle loro controparti settentrionali. Consideriamo l’esempio di un’economia del Sud come l’India. Nonostante la tanto sbandierata crescita economica degli ultimi due decenni, la spesa pubblica per l’assistenza sanitaria è rimasta incredibilmente bassa. I ricchi si affidano a strutture mediche private, mentre i poveri sono costretti ad arrangiarsi con ospedali e cliniche pubbliche altamente inadeguati che sono regolarmente sovraccarichi e privi di letti e forniture mediche. Molti quindi temono una crisi sanitaria di proporzioni gigantesche, qualora il virus si diffondesse in India al ritmo con cui si è diffuso negli Stati uniti.
Ma nonostante differenze sostanziali nella qualità dell’assistenza sanitaria, sia in India che negli Stati uniti, un sistema sanitario pubblico inadeguato pone fuori dalla portata di molti un’assistenza sanitaria dignitosa. Negli ultimi due decenni, la disponibilità di medicinali gratuiti nelle strutture sanitarie pubbliche indiane è drasticamente diminuita, facendo precipitare nella povertà un gran numero di persone. Allo stesso modo, negli Usa, centinaia di migliaia di persone ogni anno dichiarano bancarotta, a causa dei debiti accumulati per le spese mediche.
Nel paese più ricco del mondo, un sistema orientato al profitto significa che gli Stati uniti in termini di medici e letti ospedalieri pro capite arrancano dietro quasi tutti gli altri paesi a capitalismo avanzato. La profondità della crisi causata dall’attuale pandemia ha spinto molti negli ultimi giorni, tra cui Joseph Stiglitz, a paragonare gli Usa a un paese del «Terzo mondo».
Internazionalismo
Sono proprio queste continuità delle esperienze nel Nord e nel Sud che rendono necessario immaginare una risposta internazionalista di sinistra all’attuale pandemia. Film come Contagion e Virus Letale forniscono poco in questo senso. In questi film, la folla arrabbiata e in rivolta può essere disciplinata solo dal potere militare, una rappresentazione che alimenta la visione neoliberista degli umani come in definitiva egoista e competitiva. Ma nonostante la portata globale del neoliberismo, le sue idee di privatizzazione e responsabilità individuale rimangono impopolari, specialmente per i lavoratori poveri.
Nelle ultime settimane molti hanno scritto e commentato il significato di questa pandemia per lo stato della globalizzazione economica. Alcuni sono giustamente in ansia per il modo in cui una pandemia globale viene utilizzata dai governi autoritari per sostenere il potere e giustificare il nazionalismo campanilista. Altri hanno suggerito un declino della supremazia degli Stati uniti e un colpo alla mitologia dell’eccezionalismo statunitense. Tuttavia, la perdita e la privazione devastanti subite a livello globale dovrebbero spingerci a pensare non solo al destino della globalizzazione capitalista ma anche alla solidarietà internazionale.
Un internazionalismo di questo tipo non implica il disconoscimento delle differenze materiali nella natura della precarietà e della povertà nei paesi del Sud e del Nord globali; ci chiede piuttosto di tenere insieme queste differenze con una comprensione delle loro origini e degli effetti condivisi. La ricaduta della pandemia ha chiarito che i poveri e la classe operaia statunitensi stanno lottando molto più di quelli che sono protetti dal peggio della crisi. È il destino che li tiene legati a quello della classe operaia in tutto il mondo.
Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 19 maggio 2020
Traduzione di Giuliano Santoro