San Giorgio, il drago e i mostriciattoli di turno

28 Febbraio 2019 /

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di Aldo Tortorella
Ed eccoci adesso alle conseguenze del fallimento di quella che era stata pomposamente chiamata la “seconda Repubblica”, ora che, non meno trionfalmente della defunta seconda, ne è stata proclamata un terza, gonfia di razzismo, di pulsioni autoritarie, di disprezzo per gli ultimi e di odio per chi non la pensa come i nuovi che comandano. Indignarsi è giusto e necessario ma, poiché non si vede all’orizzonte alcun San Giorgio pronto a infilzare il drago, per sconfiggere il mostro conviene capire innanzitutto come ha fatto a passare le mura e a sputar fuoco in città, affamato, come ci dicono gli antichi incunaboli, di carne umana.
In realtà, le mura erano state abbattute e le porte erano spalancate al nuovo regime. Le tragedie della passata estate hanno provato a dismisura e con straziante evidenza anche a chi non l’avesse visto prima (o l’avesse negato) il disastro di un corso economico e politico cui si sono ispirati con continuità i governi del passato ventennio, anche se con diversi atteggiamenti in alcune materie come i diritti civili.
Un editorialista di tendenza ipermoderata (Galli della Loggia, sul Corriere della sera) ha annotato il legame tra la strage di quarantatré persone nel crollo a Genova, quella di sedici braccianti di colore ridotti in condizione di semi-schiavitù, e trasportati in modi inverosimili, avvenuta in due incidenti sulle strade pugliesi, i morti e feriti nell’esplosione di un’autocisterna in un’autostrada presso Bologna (e si possono aggiungere i dieci turisti uccisi da un’onda di piena in una gola torrentizia in Calabria).

Si sapeva delle condizioni precarie del ponte e nessuno ha provveduto neppure a ridurre il traffico pesante, la legge contro il caporalato che schiavizza il bracciantato esiste ma nessuno la applica, le norme di sicurezza nei trasporti pericolosi sono spesso ignorate (e l’allarme per impedire l’accesso a quella gola di montagna in quel giorno era stato dato ma nessuno l’ha messo in atto). Dunque il legame tra eventi apparentemente diversi, diceva quell’editoriale, è nell’abdicazione di ogni volontà e capacità di controllo da parte dello Stato, anzi in un lento disfacimento dello Stato stesso nell’ultimo quarto di secolo per opera dei governi che si sono succeduti e della cultura istituzionale che si è diffusa.
Anche se si trattasse solo di questo, andrebbe comunque aggiunta un’autocritica, parola ormai fuori moda e ovunque fuori uso. Perché non è avvenuto senza colpa degli strumenti di formazione dell’opinione pubblica il disfacimento della funzione di controllo dello Stato. Certamente, a questa opera i governanti della destra compresa la Lega che oggi sbraita hanno attivamente lavorato in applicazione delle loro idee peggiori e quelli del centrosinistra hanno fornito, contro se stessi, l’apporto della loro insipienza e del loro distacco colpevole dal malessere dei più.
Ma gli uni e gli altri sono stati condotti per mano dall’insieme dei mezzi di comunicazione di massa cartacei o visivi che fossero, sia pure con responsabilità diverse tra di essi. La comprensibile critica all’eccesso statalistico fu trasformata nell’indiscriminato elogio della società civile contro lo Stato. E il giusto attacco alla corruttela nella politica fu portato sino a una critica demolitrice della democrazia rappresentativa. Berlusconi, che voleva recitare la parte del vero liberale, scopre ora che le sue stesse televisioni hanno tirato la volata a Salvini. Persino lui è più capace di autocritica del Pd che neppure oggi intende quale disastro hanno compiuto le chiacchiere e i fatti di una dirigenza nata sotto la parola d’ordine “dimenticare Berlinguer”, cioè la questione morale, e correggere Bobbio, cioè la sinistra come spinta all’eguaglianza.
La dottrina fu quella del primato della cosiddetta costituzione materiale cui bisognava adeguare la Costituzione definita meramente formale, ma poi vincente in due referendum contro la destra e contro il centrosinistra. L’ideologia egemone è stata quella del privatismo assoluto come credo teorico e del neoliberismo come pratica economica. Ci si lamenta che i monopoli privati si siano dimostrati disastrosi oltre che rapaci: ma sono stati l’effetto della presunzione, diffusa anche nella sinistra moderata, della capacità taumaturgica del capitale, una presunzione scalfita ma non distrutta dalla crisi qui da noi ancora insuperata.
È vero che i monopoli pubblici, peraltro in attivo, erano largamente criticabili per i molti episodi di corruzione o di inefficienza (e il tornarvi senza ricordarlo sarebbe la premessa di nuovi guai) ma la loro svendita, suggerita anche dal dissesto dei bilanci statali, avveniva, come è stato ampiamente detto, senza le contromisure necessarie, vale adire il rigore dei controlli economici, ambientali, tecnici. Chi allora ricordava il fatto che il capitale finanziario ha come priorità la ricerca del massimo profitto a ogni costo e non il miglioramento dei servizi, veniva considerato come il sostenitore di una pura propaganda obsoleta. È vero che a tale stadio solo propagandistico, purtroppo, rimaneva la linea delle sinistre alternative incapaci di unire alla denuncia o al rifiuto la proposta delle contromisure che i governi dimenticavano di attuare dopo le loro scelte privatiste. Ma ciò non giustifica gli autori di decisioni sciagurate e di errori che sono diventati crimini e ci hanno portato dove stiamo ora.
Citare, come ha fatto l’attuale vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, uno slogan mussoliniano («molti nemici molto onore») nel giorno anniversario della nascita del dittatore che portò alla rovina l’Italia, non è un fatto folcloristico. E il sodalizio con il parafascista Orban ha confermato a dismisura dove si vuole andare. Ma il rigonfiarsi del consenso a questo protervo finto popolano che è lo scamiciato capo della Lega, proprio per la sue violazioni di ogni legalità e di ogni umanità a danno degli ultimi della terra, testimonia a qual punto è arrivata la sollecitazione degli istinti peggiori iscritti sotto la scorza dell’incivilimento.
E se è vero che è stata una nuova stupidaggine del fallito ex segretario del Pd falso dimissionario e capo occulto quella di gettare i 5 Stelle nelle braccia della Lega impedendo persino ogni confronto, non bisogna dimenticare che l’ideologia dell’intolleranza fu ed è il sale del creatore del movimento. Per la predicazione dei comizi di Grillo ogni contraddittore è un nemico da abbattere. L’incravattata sua creatura e nuovo capo dei 5S non è da meno (come si vide al tempo del tentato assalto al presidente della Repubblica).
Ciò non significa che non vi siano contraddizioni, da conoscere e da approfondire per quanto si può, tra le due formazioni del nuovo regime, ma che il loro legame non è solo negli interessi di potere, come sempre accade, ma nell’appartenenza comune a una medesima corrente di opinione diffusa in tutta l’Europa, al governo oramai in più stati, forte elettoralmente in altri. Una corrente improntata all’idea che la difesa degli interessi nazionali si fa chiudendosi in se stessi, rifiutando la globalizzazione e l’idea di una nuova Europa federativa ma senza rinunciare alle sovvenzioni europee. Centinaia di miliardi sono stati spesi dalla comunità europea per ammodernare sensibilmente i paesi anche se l’ammodernamento capitalistico avveniva con lo strascico di difficoltà economiche (disoccupazione, emigrazione dei giovani, povertà dei vecchi), di sconvolgimenti culturali, di risentimenti conservatori.
Così i paesi più sovvenzionati dall’Europa diventavano culla del nazionalismo sciovinista, retti da governi che hanno cambiato le loro costituzioni in senso autoritario e anti europeo. Una critica ai trattati e alla conduzione neoliberistica della commissione europea non ha niente a che fare con la gara apertasi nella diarchia governativa italiana per stabilire chi sia il più nemico di un avanzamento della democrazia europea e il più solerte nel proporre un regresso nel passato verso un disfacimento caro a Putin e a Trump.
Il leghista sceglie l’alleanza con gli estremisti razzisti e autoritari del gruppo di Visegrad, capeggiati dal parafascista Orban, l’altro minaccia sfracelli sul bilancio europeo. Con tali indirizzi politici entrano sotto attacco anche le uniche conquiste positive dei regimi liberal-democratici a conduzione neoliberista, ivi compreso il centrosinistra italiano, e cioè le misure di estensione dei diritti civili, strappate con grandi azioni di massa (mentre i diritti sociali declinavano).
La campagna di ripudio di tutto il passato muove nuove campagne di odio(contro i matrimoni gay, contro l’interruzione assistita della gravidanza, contro i diritti delle donne nel divorzio, ecc.). Si vuole lucrare sui peggiori sentimenti ancestrali in nome del buon tempo antico, quello in cui il femminicidio si chiamava delitto d’onore, il patriarcato nascondeva i peggiori soprusi, l’omosessualità era una colpa o addirittura un reato, e non c’era un papa che condannasse i preti pedofili. E la grande tragedia del secolo, quella dei migranti che fuggono dalle guerre e dalla fame, viene ridotta a materia di una propaganda ripugnante che finge di difendere gli italiani (o gli ungheresi o i polacchi o altri bianchi) dai perfidi neri per poterli dominare meglio tutti insieme, visi pallidi e visi colorati.
Stanno nascendo dappertutto nuovi piccoli “uomini della provvidenza”, nuovi piccoli ducetti dall’occhio furbastro, l’invettiva facile, l’avidità di potere, l’uso di vecchi e miserabili trucchi per affascinare la platea (convincere la gente che siamo all’invasione dei neri, dar loro la caccia in violazione d’ogni legge e presentarsi poi come vittime se un giudice fa il suo dovere, è la vergognosa ripetizione del copione usato contro gli ebrei). Dovrebbe essere ovvio che il metodo Orban-Salvini creerà solo nuova ostilità verso tutti noi tra masse immense di diseredati.
Ma si confida che proprio perché vivono in condizioni estreme forse non sanno e comunque non hanno le armi per reagire, il che oltre ad essere un pensiero infame è anche un’idea suicida, come dimostra proprio questo inarrestabile esodo che sfida la morte. Spetterebbe, se ci fosse, a una forza innovatrice di un paese come l’Italia che sta quasi immerso nell’Africa gridare all’Europa e al mondo che senza un immenso sforzo collettivo di pace e di solidarietà dei paesi ricchi (ora tutti impegnati a farsi una guerra occulta per le materie prime) la tragedia africana diventerà ancora più esplosiva di quanto non sia.
Tuttavia, l’indignazione verso la deriva di destra estrema, propria a chi non ha dimenticato la lezione del passato e le norme dell’umanità, dovrebbe diventare identità e proposta. Una credibile identità di un soggetto politico innovatore che una volta si chiamava “di sinistra”, comunista o socialista che fosse avrebbe da ricordare che il razzismo e lo sciovinismo sono strumenti per generare guerre tra poveri e per confermare il modello di relazioni sociali costruito sotto il segno della gara di ciascuno e ciascuna contro tutti. La idea che la chiave del successo della sinistra fosse la rinuncia a un punto di vista critico nei confronti del modello economico e sociale a dominanza del capitale finanziario, era una pura sciocchezza.
Era giusto rinnovare idee e linguaggi, era miserabile l’omologazione, che ha solo generato la squalifica della sinistra e la sua scomparsa. Ma un punto di vista critico non ha serietà se si richiama a esperienze passate, sia pure le migliori, senza vederne i limiti costitutivi e se non cerca nel presente i motivi della nuova barbarie in cammino e le ragioni e i modi per contrastarla. Ci sono motivi per cui il presente è diventata l’unica dimensione, per cui vince la ricerca di soluzioni individuali, si cerca rifugio nel proprio particolare, si ritorna allo sciovinismo, ci si affida all’odio contro il diverso. Troppe ricette infeconde, parole vuote e speranze tradite. Così come troppi voti di castità che cela(va)no il peggio.
Adesso si conta sullo sgonfiamento delle mirabolanti promesse dei demagoghi, ma è misera attesa. A lungo si potrà dare tutta la colpa a quelli di prima e si dirà che i nuovi bisogna lasciarli provare. Ai demagoghi bisogna contrapporre serietà e rigore nelle soluzioni e coerenza di vita con le idee che si professano. E sarebbe saggezza se chi ha esperienza più o meno antica si sforzasse di promuovere con le idee pertinenti aduna lotta attuale, volti nuovi che esprimano capacità, conoscenza e coraggio. Nuovamente sento parlare di un processo costituente nella sinistra alternativa e di tentativi di rigenerazione in quella moderata.
Ma diverranno entrambi cosa vuota se non saranno capaci di diventare con coraggio un dialogo tra diversi capace di rivolgersi senza esclusivismi a tutti coloro che si pensano di sinistra e che vogliano rimediare ai passati errori e se non si farà appello alle migliori energie del sapere che siano disponibili a un lavoro di costruzione non precostituito: a partire dal sapere nato con la rivoluzione informatica e digitale ma coinvolgendo tutte le conoscenze possibili. E cercando di coinvolgere quelle forze e quelle persone che hanno mantenuto un rapporto con lavoratrici e lavoratori stabili o precari e con la base popolare. Cioè i molti sindacalisti, operatori culturali, volontari di tante associazioni di scopo, attivisti politici che avvertono il bisogno di un soggetto politico libero, aperto, costruito da loro stessi, in cui sentirsi a casa propria per idealità, per costume di vita, per comune volontà propositiva.
È un lavoro minuto, paziente e difficile quello da proporre a tutti coloro che vogliano reagire al pauroso regresso culturale e morale già in atto. Probabilmente i più restii a un’opera di ridiscussione di se stessi e d’incontro e d’intesa con altri saranno coloro che, avendo costruito un proprio piccolo gruppo, guardano gli altri in cagnesco, custodiscono un credo privato insensibile a ogni smentita, e si comportano come l’avaro che vive e muore contemplando il proprio gruzzolo (o gruzzoletto) inutile agli altri e al suo stesso bene. Troppi, nel loro piccolo feudo, si credono dei re taumaturghi. I quali, però, non guarivano nessuno. San Giorgio a cavallo che salvò la principessa dalle fauci del drago sbudellandolo, era la forza della fede che vinceva la terribile forza diabolica del male per salvare il bene. Oggi un tale cavaliere con il suo bel cavallo bianco non lo si trova più, dato che l’ultimo vero cavaliere solitario e vero combattente per l’ideale fu il grande don Chisciotte della Mancia con il suo ammirevole Ronzinante. Ma se si ritrova il modo di comporre una comune e rinnovata volontà di riscatto quasi simile ad una fede (laica), magari potrà spuntare anche un bravo guidatore nella tenzone contro i mostriciattoli di turno.
Questo articolo è stato pubblicato da Critica Marxista n. 5/2018

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