La sinistra è finita sotto il Tav

20 Novembre 2018 /

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di Tomaso Montanari
Come stanno le cose sul Tav lo sa benissimo chi, oltre a difenderla, la poca stampa libera la legge anche. Una grande opera la cui necessità è “smentita dai fatti”, per citare le parole del commissario dell’Osservatorio sul Tav (che non è una istituzione terza, ma un’emanazione dell’opera). Un’opera fuori tempo, che serve solo a chi la costruisce. Un’opera insostenibile sul piano ambientale, e su quello democratico.
Un’opera che ha condotto lo Stato a imporre una sorta di stato d’assedio su una parte del proprio territorio (la Val di Susa) sollevando una gigantesca questione democratica in cui tutti i nodi sono venuti al pettine: dall’arretramento di un sindacato incapace di vedere il nesso tra il lavoro e i diritti della persona, ai drammatici limiti della libertà di espressione (il caso Erri De Luca, la condanna per le tesi di laurea ‘no Tav’). Un importante libro di Wu Ming 1 (Un viaggio che non promettiamo breve.Venticinque anni di lotte No Tav, Einaudi 2016) ha spiegato come la battaglia No Tav sia diventata una dei cruciali laboratori per qualunque sinistra possibile in un’Italia di fatto senza sinistra parlamentare.
Ora, è su questo punto che il discorso pubblico sulla manifestazione torinese di sabato scorso ha consumato l’ultima, simbolica, svolta. Mostrando in modo davvero definitivo che un importante blocco di opinione (quello, per intendersi, che si riconosce nelle posizioni di Repubblica) non intende superare, archiviare, criticare davvero le scelte strategiche della lunga stagione del centrosinistra. Una lunga stagione suicida.

Straordinariamente esplicito Ezio Mauro: per il quale il “papa straniero” capace di risollevare la sinistra potrebbe arrivare proprio dalla piazza delle madamine torinesi. Una piazza per nulla civica, e invece dominata dal blocco di partiti che hanno governato il Piemonte e l’Italia degli ultimi decenni: Pd, Forza Italia, Lega.
Il sistema, e in particolare il Sistema Torino: come certifica il sostegno militante del giornale della Fiat. Una piazza autoselezionatasi non attraverso una conoscenza del Tav (come dichiarato candidamente da una delle promotrici), ma invece per censo e in base alle convenienze professionali. Una piazza di destra, come ha spiegato in modo cristallino Angelo D’Orsi per MicroMega. Una piazza che ha avuto dunque almeno il merito di riportare in superficie il conflitto sociale: quello eterno, tra i pochi ricchi e i molti poveri. L’idea che in questo conflitto la sinistra debba schierarsi è sacrosanto: che debba farlo dalla parte della destra è allucinante. Ma non sorprendente.
Perché si possono dare due spiegazioni opposte del declino della sinistra. La prima è che, dopo il 1989, la sinistra europea (e quella italiana) si sia convinta di avere torto, e si sia genuflessa prima di fronte al trono del mercato poi all’idolo della sicurezza dei “salvati”, abbandonando i sommersi. E che dunque la sinistra perda perché è diventata troppo simile alla destra: che alla fine viene comunque preferita, perché più credibile.
La seconda, opposta, lettura è che la sinistra perda perché troppo di sinistra: poco moderna, poco sviluppista. Per la prima lettura la sinistra è stata troppo di sistema, ha detto troppi sì: per la seconda è stata troppo antisistema, ha detto troppi no. La mia spiegazione è la prima: mentre con ogni evidenza Mauro sposa la seconda.
Dunque per lui un papa venuto da quella piazza sarebbe straniero: mentre a me parrebbe fin troppo interno alle logiche che hanno distrutto la sinistra italiana. Mauro è in ottima compagnia: da Prodi a Veltroni, da Renzi a Mario Calabresi. Il quale, nell’editoriale di insediamento al posto di Mauro, scrisse ciò che Renzi aveva scritto (iddio lo perdoni) in una prefazione a un celebre saggio di Bobbio su destra e sinistra, e cioè che “la nostra società, senza aspettare la politica e dividendosi più sull’asse tra conservatorismo e innovazione che su quello destra-sinistra, ha aggiornato la sua agenda”.
Il paradosso è che il Tav non è certo innovazione, ma semmai retroguardia ideologica ed economica, oltre che conservazione dei privilegi di una casta parassitaria. Ed è ancora più paradossale che mentre il Movimento 5 Stelle tradisce platealmente le ragioni dell’ambientalismo e della democrazia (clamorosa, su entrambi i piani, la vicenda parlamentare del condono di Ischia), i suoi più fieri oppositori disegnino per la sinistra un futuro identico al passato, e dunque del tutto incapace di riscossa.
Mauro scrive che la piazza di Torino si è opposta a una visione “pauperista”: una parola finora usata, in questo senso, da Silvio Berlusconi. In un’Italia con 18 milioni di cittadini sulla soglia di povertà una sinistra che riparta dalla piazza dei ricchi e dalle grandi opere inutili non solo non è una sinistra: è anche morta.
Questo articolo è stato pubblicato da Libertà e Giustizia il 17 novembre 2018 riprendendolo dal Fatto Quotidiano

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