di Andrea Taffi
Quella del sindaco di Riace è (secondo me) una scelta disperata: la consapevole violazione della legge per il rispetto di un’altra legge, umana e morale, fatta esclusivamente di solidarietà. Se le accuse saranno dimostrate, il sindaco di Riace sarà condannato, e io non voglio certo qui giustificare il suo comportamento: c’è una legge e, per quanto sbagliata possa essere o possa sembrarci, la si deve rispettare. Eppure io credo che questa storia, comunque vada a finire, ci insegni che una legge, oltre che rispettata, debba anche essere valutata in termini di efficacia alla luce delle sue violazioni, soprattutto quando queste sono consapevoli e mosse da impulsi ed esigenze morali, che se non possono mai giustificare un illecito, certo, ma che sono comunque in grado di farcelo comprendere, di farci capire, cioè, perché quell’illecito è stato compiuto.
Il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, è agli arresti domiciliari con l’accusa, tra le altre, di aver favorito l’immigrazione clandestina. Quello del sindaco Lucano sembrava un modello ideale di approccio all’accoglienza verso i migranti, un tentativo istituzionale di integrazione, di rispetto, di solidarietà e di speranza. La Procura della Repubblica di Locri ha detto che non è così, e io non voglio certo mettermi a sindacare su ipotesi di reato che altri magistrati (quelli giudicanti) saranno eventualmente chiamati a valutare in sede dibattimentale. Quello che, in questa vicenda, ha colpito la mia attenzione è il contenuto delle intercettazioni sulle quali si basa l’accusa, delle parole cioè che il sindaco di Riace dice al telefono alla sua compagna, anche lei destinataria di un provvedimento restrittivo.
Il sindaco Lucano si autodefinisce “fuorilegge”, si tratteggia come “un disobbediente sociale”. Sa benissimo di abusare del suo potere, di commettere delle irregolarità amministrative, degli illeciti penali, eppure (questo mi è parso) rivendica la necessità di quel comportamento, senza arroganza, quasi che il suo ruolo di sindaco, lungi dal giustificarlo, lo costringesse a quelle scelte sbagliate. Il sindaco, si sa, deve rispettare la legge come uomo, e deve anche essere (come primo cittadino) un simbolo di rettitudine, un esempio, come tutti gli uomini delle istituzioni. Eppure un sindaco ha doveri anche verso i suoi concittadini, deve essere di esempio anche per loro, deve ascoltare le loro richieste di aiuto. E proprio nell’ottica di questo “doppio compito”, che si innesta il paradosso di tutta questa vicenda.
Il sindaco di Riace (lo ammette lui stesso) non condivide le leggi italiane sull’immigrazione (le definisce “balorde”), leggi che, secondo lui, non aiutano i migranti, complicano loro la vita, e portano a decisioni umanamente inaccettabili. Per questo, nel rispetto dei suoi doveri di sindaco verso i suoi concittadini, siano essi tali per anagrafe o per ridistribuzione, forza la legge, esercita oltremisura il suo potere, e fa tutto questo per garantire quel risultato di giustizia (morale e sociale) che le leggi sull’immigrazione (secondo lui) non consentono di ottenere.
Questo articolo è stato pubblicato dal FattoQuotidiano.it il 2 ottobre 2018