Revisione della Costituzione e sanità: elementi di riflessione per un voto ponderato

7 Novembre 2016 /

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Sanità in Sardegna
Sanità in Sardegna

di Gianluigi Trianni
Premessa generale
Dal documento “Aggiustamenti nell’area euro” del 28 maggio 2013 della banca d’affari JP Morgan:

«Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea».
«I problemi economici dell’Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo».
«I sistemi politici e costituzionali del Sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».

Introduzione
Viviamo una fase di terza rivoluzione industriale (microelettronica, informatica, telecomunicazioni, nuovi materiali di sintesi, robotica biotecnologie) e di nuova globalizzazione, e in Europa anche di “continentalizzazione”, della politica e dell’economia nel segno degli interessi dell’imprenditoria, finanziaria soprattutto.

Di qui non solo una congerie interconnessa di conflitti (e delitti) tra classi, tra stati e tra attività umane ed ecosistema, mirabilmente denunciata dal Papa Francesco, ma anche sfide politico istituzionali all’ammodernamento delle organizzazioni statali nelle loro istituzioni e nelle loro procedure operative per migliorare la partecipazione democratica e soddisfare equamente nuovi ed antichi bisogni, nuove ed antiche domande, nuove potenzialità di risposta, quindi nuove ed antiche aspirazioni e nuovi ed antichi diritti dell’uomo.
Quello alla salute come condizione di vita tra tutte. In questa specifica sfida il governo ed il partito di M. Renzi con l’insieme della legge di revisione costituzionale e con la specifica revisione del Titolo V relativa alla sanità, confermano l’attitudine ad affrontare problemi veri con risposte irrazionali, se valutate in relazione al miglioramento della funzionalità delle istituzioni, e funzionali al neoliberismo, se valutate in relazione al “cui prodest?” nell’ambito delle relazioni tra istituzioni politiche ed istituzioni economiche.
In ragione della unicità del disegno di politica istituzionale e delle interconnessioni tecnico/giuridiche che legano la revisione del Titolo V alla revisione delle funzioni e della composizione del Senato, e l’insieme della legge di revisione costituzionale all'”Italicum”, il cosiddetto “combinato disposto”, si pongono le premesse di una architettura istituzionale che consente di mettere più facilmente a repentaglio il servizio sanitario pubblico e, con esso ed in generale, il diritto fondamentale alla salute tutelato dall’art. 32 delle Costituzione.
La revisione costituzionale proposta, infatti, disegna un Parlamento costituito da una Camera dei Deputati, unica camera legiferante, fatta eccezione per le materie costituzionali e per le politiche europee, ed un Senato, non solo ridotto di rappresentatività, perché non eletto direttamente dagli elettori, e di numero, ma anche di titolarità legislativa potendo intervenire nell’iter legislativo, fatte salve le eccezioni predette, se non con proposte di modifiche non vincolanti per la Camera dei Deputati.
Se su questo impianto si aggiunge che con l'”Italicum” la Camera dei Deputati viene eletta con un sistema ultra maggioritario, che consente ad un partito, anche se espressione di piccola minoranza del corpo elettorale e degli elettori stessi di avere una cospicua maggioranza assoluta ed esprimere primo ministro e governo e, secondo più recenti segnalazioni anche un Presidente della Repubblica.
La relazione tra le due leggi sancisce quindi un passaggio dalla “democrazia parlamentare” alla “democrazia presidenziale”, nella versione presidente del consiglio dei ministri, con la formalizzazione nel diritto di quella logica di prevalenza del governo e del suo primo ministro sul Parlamento che si è andata già manifestando nei fatti con il sistema elettorale maggioritario “Porcellum” e l’abuso di decreti legge e di voti di fiducia. (la dimostrazione analitica di tutto ciò costituisce materia per la quale, così come per tutte quelle non esplicitamente correlate, si rimanda alla copiosa letteratura in merito degli insigni costituzionalisti che animano il Comitato per il NO). E qui si incardina anche lo specifico della sanità.
Revisione della Costituzione e sanità
È bene precisare che oggi il problema principale della sanità, non l’unico (.), è costituito dalla sua progressiva privatizzazione in obbedienza alle “disposizioni” della finanza internazionale ed italiana emblematicamente fatte pervenire nel 2011, al governo italiano allora in carica, direttamente dalla BCE, con nota Trichet – Draghi: “(omissis) riteniamo essenziali le seguenti misure:” (omissis)”Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza (cioè privatizzazioni ndr.), particolarmente nei servizi,” (omissis) ” a) E’ necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali (espressione “allusivo pudica” che ricomprende anche la sanità ndr)” (omissis) “Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi. b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali. c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo”. Per concludere “Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.
Tale privatizzazione è perseguita in sanità con una sorta di manovra a tenaglia costituita:

  • a) dal progressivo definanziamento operato con la legge di Bilancio, ex stabilità, (quella del 2017, ad esempio, prevede per il Fondo Sanitario Nazionale 113 mld di euro, meno dei 115 mld previsti per il 2016 dal Patto per la salute 2014/2016, comprensivi dei fondi necessari per i nuovi, doverosi e lacunosi, LEA e per l’insufficiente incremento del personale. Destinazione di fondi questa avulsa e svincolata da qualsiasi determinazione dei fabbisogni finanziari necessari al sistema sanitario pubblico per assolvere la sua finalità istituzionale, “lacunosamente” assolta, peraltro, come attestano i disservizi sofferti in tutte le regioni oltreché gli 11milioni di persone che rinunciano o posticipano le cure per il loro costo o gli oltre 34,5 miliardi di euro di spesa sanitaria privata di cui riferiscono rispettivamente da Crea Sanità (Università degli studi Roma Tor Vergata “Misure di Performances dei SSR 2016”) e Censis-Rbm Assicurazione Salute («Welfare Day» 8 giugno 2016).
  • b) dalla contestuale promozione del ricorso al sistema assicurativo con defiscalizzazione, a cominciare dagli accordi sul welfare aziendale previsto dai contratti nazionali e sempre più estesamente scambiato con gli incrementi delle remunerazioni dei dipendenti e del ricorso al sistema mutualistico (anche pubblico, come va programmando l’Emilia Romagna.) per integrare e sostituire le prestazioni non erogate, o erogate con insostenibili ritardi, o erogate con ticket superiori ai prezzi praticati dal privato e di entità pari o superiore ai costi di produzione dal servizio sanitario pubblico, che le regioni stesse governano e contribuiscono a finanziare con imposizioni fiscali regionali aggiuntive a quelle nazionali.
  • c) la cessione di spazi gestionali, di diritti di uso e di proprietà (finanza di progetto) al privato che configura una sempre più estesa pratica di governo caratterizzata da “esternalizzazione” dal dominio pubblico al dominio privato con conseguente deresponsabilizzazione dell’erogatore pubblico ed assenza di programmazione strategica delle evidenti domande assistenziali.

A prescindere dagli altri aspetti normati dall’art. 117 del Titolo V revisionato, infatti, il nuovo Senato non sarà in grado di intervenire “legislativamente” su tali direttrici di privatizzazione in primo luogo perché privato di poteri legislativi in ordine alla legge di Bilancio riservata alla sola Camera dei Deputati (nuovo art. 81) e in secondo luogo perché sui restanti temi potrà al massimo (nuovo art. 70, terzo comma)”(omissis) deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva.”
La Camera dei Deputati in virtù dell'”Italicum” non rappresentativa della maggioranza degli elettori e satellite di un governo forte sarà l’unica titolata a redigere i Bilanci dello Stato, e quindi il finanziamento del servizio sanitario nazionale, senza i contrappesi costituiti dalle sensibilità regionali che il “revisionista costituzionale”, il partito ed il governo di Renzi avrebbe affidato al, peraltro “mal revisionato”, Senato.
Di qui il primo e principale pericolo per il diritto fondamentale alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione: nell’insieme si precostituisce il rischio che una minoranza politica, per fare un esempio, a caso, “succube” della finanza europea ed italiana e delle sue politiche di austerity e riduzione della spesa e dei servisti del welfare state, con maggiore facilità e molto più estesamente di quanto non le sia già riuscito in questi anni, possa smantellare il servizio sanitario pubblico e l’insieme delle strutture portanti dello stato sociale, ottenute nella seconda metà del secolo XX con enormi sacrifici.
Già se ne sono visti e se ne vedono i prodromi, non solo in sanità: l’abolizione dell’art. 18, “la buona scuola”, “la legge Fornero” la riduzione del finanziamento non solo del Servizio sanitario nazionale ma anche dei servizi sociali pubblici a cui vengono tagliati i fondi mentre se ne facilita la privatizzazione con la defiscalizzazione della spesa dei datori di lavoro per il welfare aziendale già previsto dai contratti nazionali e sempre più estesamente scambiato con gli incrementi delle remunerazioni dei dipendenti.
Ciò detto circa il definanziamento e la privatizzazione problema principale della sanità in Italia, è certamente un problema vero anche l’esigenza di correggere le diseguaglianze nell’accesso all’assistenza del servizio sanitario pubblico, conseguenza del suo frazionamento in 21 sistemi, tanti quanti le regioni, normati da legislazioni diverse quanto a regole e costi delle modalità di accesso alle prestazioni, realizzatosi a partire dal “federalismo” e dalla “devoluzione” alle regioni della competenza legislativa anche in sanità con le modifiche costituzionali introdotte dalla l. 3/2001 (adottata a stretta maggioranza dal centro sinistra, con governo Amato, per assorbire la spinta scissionistica della Lega Nord generatasi dalle contraddizioni competitive sull’azione di governo tra l’insieme della piccola, media e grande imprenditoria privata del Nord e la grande impresa e la burocrazia di stato “egemone nelle attenzioni governative a Roma”), e reso ancor più evidente e grave; dai piani di rientro nelle regioni a ciò sottoposte per incapacità a stare dentro ai vincoli di finanza pubblica imposti dal fiscal compact “europeo”; dall’aumento dei fenomeni corruttivi per l’ingresso nella dinamica della corruzione anche degli eletti nei governi regionali con il coinvolgimento, in alcune regioni, di assessori e presidenti (e vice presidenti) di regione; dall’insufficiente integrazione dell’assistenza sanitaria con l’assistenza sociale anche perché sottoposte l’una a legislazione concorrente e l’altra a legislazione regionale.
Con la revisione del Titolo V, art. 117, approvata nelle due Camere dalla maggioranza di centro sinistra sotto l'”impulso” del governo Renzi e proposta a referendum, a proposito della sanità si abroga la legislazione concorrente che prevedeva tra gli ambiti la “tutela della salute;” e l'”alimentazione;” inserisce tra le competenze esclusive dello Stato il potere di dettare “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”, in aggiunta alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (LEA e LEAS)]; inserisce tra le materie la cui potestà legislativa spetta alle Regioni la “(omissis) programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali,” introduce la norma secondo la quale “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.”
La “irrazionalità” di tale normativa si concretizza nel fatto che c’è una contraddizione, potenziale fonte di contenzioso tra stato e regioni: non possono coesistere l’esclusività statale relativa “alle disposizioni generali e comuni per la tutela della salute” e la potestà legislativa regionale sull’organizzazione dei servizi sanitari, poiché con tutta evidenza l’organizzazione sanitaria è parte integrante della tutela della salute, come segnalato dall’ex ministro della salute Balduzzi (Quotidiano Sanità 16.12.2014) così come lo è la programmazione dei servizi sanitari.
Tale contraddizione viene risolta, con impostazione da “governo/premier forte e prevalente”, con lo specifico comma dell’art.117, “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.
La formulazione usata “su proposta del governo”, e non ad esempio “su iniziativa parlamentare ed in attuazione di Patti per la Salute” che pur vengono adottati su base triennale previa valutazione delle Conferenze Stato Regioni, evoca ed esplicita il carattere di “centralizzazione in capo al Governo” dell’iniziativa legislativa che è cosa diversa dalla sua auspicabile “centralizzazione in capo al Parlamento”, quand’esso fosse composto o da due Camere con funzioni anche differenziate e delle quali una, il Senato, espressione diretta dell’elettorato regionale e quindi garante della valorizzazione delle specifiche esigenze regionali.
Tale considerazione rimanda direttamente anche alla mancanza di una sede di raccordo partecipato ed a forte integrazione tra Stato centrale e regioni, quale quello previsto dall’art. 5″La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo [118]; adegua i princıpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento [114 e segg., IX].
Si aggiunga da ultimo un tocco di opportunismo cialtrone ed interessato: dalla revisione del Titolo V sono escluse le regioni a statuto speciale. Quindi relativamente alla sanità si chiede agli elettori di confermare la separazione in due della Repubblica Italiana: una parte delle regioni, quelle a statuto speciale, ancora immerse in un regionalismo in forma di federalismo sanitario inefficiente, non solidaristico, di fatto non compatibile con il dettato della prima parte della Costituzione, l’altra parte, quella delle regioni a statuto ordinario sottoposte un centralismo non del Parlamento ma del Governo, strumento più idoneo, perché non appesantito dal decentramento legislativo regionale, per le politiche di privatizzazione della sanità pubblica e di espansione del settore assicurativo.
E dei costi esorbitanti e delle diseguaglianze di accesso alle cure dei sistemi sanitari privatizzati ed a prevalente componente mutualistico-assicurativa è testimonianza efficace:

  • il confronto tra paesi che adottano il servizio sanitario nazionale come forma prevalente di finanziamento ed erogazione dell’assistenza sanitaria – come i paesi scandinavi, Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Nuova Zelanda, Australia e paesi del sud Europa – e quelli che adottano sistemi assicurativi (non profit, privati profit, e misti, con maggior presenza di FSI) – come USA, Svizzera, Olanda, Germania, Lussemburgo, Austria, Belgio, Francia e Giappone –  evidenzia che questi ultimi presentano livelli di costo mediamente superiori ai primi sia come spesa sanitaria pro-capite totale, sia come spesa sanitaria come % del PIL, e anche come spesa sanitaria pubblica pro-capite, come ha meritoriamente evidenziato e documentato lo studio della Fondazione Allineare Sanità e Salute su Salute internazioanle.info 20.10.2016;
    • la situazione della sanità statunitense caratterizzata da una spesa sanitaria pari al 16.9 % di Pil nel 2015 (altro che il e da un incremento dei prezzi delle polizze assicurative dal 1999 al 2016 di 4 volte rispetto all’inflazione generale e di 3 volte rispetto alla crescita media dei salari, come segnalato da G. Maciocco Salute Internazioanle.info 17.10.2016.

    Conclusione: meglio votare NO.

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