di Graziano Pintori
Amianto in greco significa immacolato, ma anche incorruttibile. Asbesto equivale totalmente ad amianto, in greco significa perpetuo, inestinguibile: come la morte. L’amianto purificato si estrae in miniera per frantumazione della roccia che lo contiene. Il basso costo per l’estrazione, le caratteristiche chimiche e meccaniche ne hanno fatto un prodotto di utilizzo su larga scala, soprattutto nel settore edile e industriale (è presente in almeno 3000 prodotti e manufatti industriali). Al largo utilizzo corrispondono costi altissimi per la salute e per la vita umana. Le fibre e le polveri di asbesto sono molto pericolose essendo volatili, inalabili, inodori, scarsamente degradabili e permangono in sospensione aerea, hanno la capacità di spostarsi a notevole distanza dal luogo di origine.
Nell’uomo si concentra nei polmoni in misura crescente; proporzionalmente alla concentrazione nell’aria o alla dose espositiva favorisce l’insorgere di patologie tumorali: il cancro polmonare, il mesotelioma ossia il cancro della pleura, tumori delle vie aeree, del tratto gastrointestinale, delle ovaie, placche e ispessimenti pleurici e loro complicazioni cardiovascolari. I dati forniti dall’Ona (Osservatorio Nazionale sull’Amianto) dicono che queste patologie in Italia ogni anno sono causa di 6000 morti, mentre dal 1993 al 2011 i casi censiti sono 20.629, ma il picco delle malattie da amianto è previsto per il 2020, con andamento costante fino al 2030. Invece secondo l’Inail nel 2014 a causa del contatto con l’amianto sono morte 414 persone e le denunce per patologie correlate sono state 1736, le persone annoverate dal Fondo per le vittime dell’amianto, sempre nel 2014, sono state 17.428 (4000 in più rispetto al 2008).
L’età media dei malati è 65/74 anni, di cui il 69,5% ha contratto la malattia per cause lavorative (edilizia, industria pesante, metallurgia ecc), mentre per il 20% la causa è improbabile o ignota. Il 1992 fu l’anno in cui anche l’Italia riconobbe ufficialmente la pericolosità dell’amianto, di conseguenza fu messo al bando in via definitiva con la legge n° 257 del 27 marzo 1992 – Norme Concernente la Cessazione e Impiego dell’Amianto-. La legge però non è stata in grado, evidentemente, di fermare i grandi interessi che ruotano attorno all’utilizzo del malefico materiale: dal 2011 al 2014 la Procura di Torino ha accertato che sono stati importati prodotti contenenti tracce di amianto per 34 tonnellate; all’Ente Minerario del Governo Indiano risulta che l’Italia è il maggiore importatore di amianto negli anni 2011 (1040 t.) e nel 2012 (2000 t.).
Il materiale killer è utilizzato dalla Augusta Westland, partecipata di Finmeccanica, nella costruzione di elicotteri destinati ai corpi armati dello Stato, nel merito il governo, cinico, rispondendo a un’interrogazione, si è limitato a dichiarare: “noi non importiamo amianto ma manufatti contenenti amianto”. Come a dire che allo stesso governo poco importa del rispetto e dell’efficacia delle leggi vigenti, figuriamoci agli imprenditori quanto può interessare la sorte degli operai davanti al profitto che cresce, utilizzando questo materiale a basso costo. Perciò non bisogna meravigliarsi più di tanto quando la stessa classe imprenditoriale affianca il governo per spazzare via la Costituzione, quella Carta che tutela cittadini e lavoratori difendendo l’ambiente e la sicurezza nei luoghi di lavoro, il diritto alla salute e alla vita.
Pensando proprio a questi principi si rileva il paradosso dell’Enichem di Ottana, che è l’unico sito del gruppo Eni in cui agli ex lavoratori non sono riconosciuti i benefici dalla Legge 257/92. La già citata legge da accesso al riconoscimento della malattia professionale, ossia potersi curare senza esborsi impossibili e fruire delle agevolazioni pensionistiche per il malato o per gli eredi. Il silenzio, che regnava sui diritti negati nei confronti di chi ha subito gli effetti deleteri dell’asbesto, è stato rotto, con la convocazione di un’assemblea, dagli stessi ex operai di Ottana il 23 gennaio 2016, gli stessi che per circa 25 anni (1973/1999) hanno lavorato a contatto con il micidiale prodotto.
La convocazione ha avuto risposta da tante vedove di operai e dai rappresentanti dell’Aiea (Associazione Nazionale Esposti all’Amianto). L’autoconvocazione è stata determinata dalla tragica realtà della morte e delle malattie correlate di cui molti operai ne erano, e sono, vittime. L’assemblea metteva sotto accusa l’Inail, che nel respingere 289 domande tese al riconoscimento delle malattie professionali, di fatto, negava il rischio vissuto dai lavoratori dell’Enichem di Ottana.
Non a caso, tempo prima, spudoratamente, l’Istituto ignorò la testimonianza di un tecnico addetto alle bonifiche ambientali, che dal 1992 fece smaltire dall’area industriale 140 tonnellate di amianto. Come pure ignorò la testimonianza di un operaio che paragonò il sito industriale alle camere a gas, riferendosi allo smaltimento con il fuoco e a cielo aperto di 8000 tonnellate del dannoso materiale. E’ chiaro che l’Inail, che nel caso specifico è il nostro Stato e il nostro Governo, vergognosamente riduce la malattia e la morte degli operai a un complicato calcolo ragionieristico. Dopo trenta anni di latenza della malattia, i nodi, purtroppo, sono al pettine e lo Stato, conscio che costituzionalmente non può discriminare i suoi cittadini, con nuovi e artificiosi orpelli legislativi, s’inventa la surreale prescrizione della malattia e/o della morte.
Un ostacolo anche questo superato da un gruppo di deputati, Casson in testa, che hanno presentato la legge n. 1645 del 22 ottobre 2014, che fra l’altro specifica “il verificarsi del danno si manifesta all’esterno quando viene oggettivamente percepibile e riconoscibile, perciò non può esserci prescrizione dei danni provocati dall’amianto considerato che ha una latenza di almeno trenta anni”. Più chiaro di così! Eppure anche questa proposta di legge si sta coprendo di polvere, nell’attesa di ottenere il passaggio in Parlamento per essere approvata. Da quel 23 gennaio nulla si è mosso, nonostante le interpellanze presentate da altri deputati.
Resta comunque l’amara riflessione di Francesco Tolu, ex operaio di Ottana, tenace e storico organizzatore delle lotte dei lavoratori del centro Sardegna: “La sordità delle istituzioni sulla questione asbesto ha reso molto più difficile la sua soluzione. All’assemblea autoconvocata va il merito di aver messo in luce le responsabilità della politica naziOnale, regiOnale e soprattutto dei sindacati, anche se presenti in quell’assemblea”. Lo sguardo dell’ex operaio va ben oltre le parole che denunciano l’ennesima ingiustizia nei confronti della classe operaia, perché è ben chiaro che si tratta di una tragica eredità che si aggiunge alle macerie della disoccupazione, dello spopolamento e dell’inquinamento del nostro territorio.
Si è come dei condannati a morte da chi sulla pelle degli operai si è arricchito.
Questo articolo è stato pubblicato su Il manifesto sardo il 16 luglio 2016