I nuovi precari del ticket, un esercito di 1,4 milioni malpagati e senza tutele

27 Aprile 2016 /

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Precari
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di Roberto Mania
Entro giugno arriverà la tracciabilità dei voucher. L’obiettivo è contrastare il boom dei ticket lavoro (10 euro lordi), cresciuti in maniera vertiginosa negli ultimi anni (+ 66 per cento solo nel 2015), dietro al quale si nascondono con tutta evidenza forme di economia sommersa. E certamente la nuova precarietà del lavoro, senza alcuna tutela e con retribuzioni vergognose. Una giungla dei lavori. Riguarda soprattutto i giovani (il 31 per cento), poi le donne (oltre il 50 per cento), ma anche fasce di lavoratori maturi. Quasi 1,4 milioni di individui, molti sfruttati.
Nelle scorse settimane il governo aveva annunciato un decreto. Il provvedimento, però, non è ancora pronto. C’è tempo fino al 25 giugno quando scadrà il termine entro il quale è possibile modificare il decreto attuativo del Jobs Act relativo alle tipologie contrattuali. I tecnici ci stanno lavorando e lo schema di intervento ricalca quello già adottato contro l’abuso del job on call.
Oggi chi intende utilizzare il voucher per retribuire una prestazione accessoria (la riforma Fornero del lavoro del 2012 l’ha esteso sostanzialmente a tutti i settori) deve comunicare il periodo presunto nel quale ritiene che impiegherà un determinato lavoratore. Solo a consuntivo è tenuto a comunicare i giorni esatti della prestazione lavorativa. In questo meccanismo, che si affida all’onestà del datore di lavoro, si annida la possibilità dell’elusione e degli abusi.

Senza, infatti, un controllo degli ispettori dell’Inps, il datore di lavoro può formalmente comunicare di aver impiegato quel lavoratore, per esempio, un solo giorno mentre di fatto può averlo impiegato in nero per un periodo ben più lungo. Cosa che effettivamente sembra accadere. Tanto che c’è uno scarto crescente tra voucher acquistati e voucher effettivamente riscossi. Ma anche in questo scarto si nascondono probabilmente forme di elusione visto che chi ha acquistato il voucher ma dice di non averlo utilizzato può farselo rimborsare dall’Inps.
Con la tracciabilità il datore di lavoro dovrà comunicare obbligatoriamente per via telematica i giorni e le ore nei quali impiega il lavoratore. Così è stato fatto anche per il lavoro intermittente con il risultato che in alcune province il numero delle ore di lavoro è improvvisamente cresciuto anche del 400 per cento.
Tracciabilità, dunque, per contrastare un fenomeno del tutto nuovo (almeno per dimensioni) nel mercato del lavoro italiano. I voucher sono diventati la forma estrema della precarizzazione del lavoro. Erano nati per le attività occasionali e accessorie. Ora sembrano prendere il posto delle vecchie collaborazioni. Si pensava che potesse essere utile per far affacciare nel mercato del lavoro figure professionali molto deboli e marginali: disoccupati di lunga durata, casalinghe, studenti, pensionati, disabili e così via.
Si pensava a lavoretti del tutto occasionali più che a vere attività lavorative: giardinaggio, interventi di manutenzione e pulizia, baby sitter, manifestazioni sportive, culturali, caritatevoli. Escludendo il settore agricolo. Con la legge del governo Monti cade il vincolo della prestazione occasionale e il lavoro accessorio viene esteso, con alcuni limiti, anche al settore agricolo. Con il Jobs Act viene fissato a settemila euro il limite annuo del compenso e a duemila euro il compenso massimo che si può ricevere da ciascun committente.
Nel 2008 (l’anno del fallimento della Lehman Brothers) erano 24.437 le persone che erano state retribuite con almeno un voucher durante l’anno, nel 2015 sono diventate un milione e 392.906. Solo nel primo bimestre del 2016 sono stati venduti 19,6 milioni di voucher con un incremento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del 45 per cento. Nel 2011 ciascun lavoratore percepiva in media 677,12 euro, nel 2015 l’importo è sceso a 633. Una discesa che porta all’abisso.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano La repubblica il 22 aprile 2016

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