La comune calcistica di San Paolo

5 Luglio 2014 /

Condividi su

Compagni di stadio
Compagni di stadio
di Luca Cangianti
In Brasile il colpo di stato del 31 marzo 1964 inaugurò una dittatura sanguinaria, ma non riuscì a evitare che il conflitto tornasse a insidiare il regime in ogni ganglio della riproduzione materiale e simbolica della vita sociale: dalle fabbriche alle università, fino ai campi di calcio. Fu così che nel 1982 il Corinthians, una squadra di calcio di San Paolo, tifata principalmente da vetturini, afrodiscendenti, immigrati nordestini e proletari di ogni risma, si trasformò in un laboratorio di democrazia ribelle. La storia di questa Comune calcistica è raccontata con passione da Solange Cavalcante in Compagni di stadio. Sócrates e la Democrazia Corinthiana (Fandango Libri, 2014, pp. 317, € 18,50).
Inaugurando un copione che dopo nove anni si sarebbe ripetuto in Cile, il libro illustra come di fronte al pericolo rappresentato dal presidente progressista João Goulart, un vasto conglomerato d’interessi economici e politici si organizzò attorno all’Ipês, l’Istituto di ricerca e studi sociali. Le attività di questo organismo dal nome innocuo erano finanziate da membri quali il Banco do Brasil, i cristiano-democratici tedeschi attraverso le filiali brasiliane di Mannesmann e di Mercedes Benz e da circa 300 aziende statunitensi, tra cui Coca-Cola ed Esso.
Grazie a questo portfolio l’Ipês riusciva a controllare la stampa mediante la gestione dei budget pubblicitari. Nel frattempo cominciavano ad arrivare in Brasile gli esperti della Cia per impartire corsi di tecnica di tortura per militari e poliziotti. A dispetto della favola della dittatura “blanda”, subito dopo il colpo di stato furono arrestate migliaia di persone comuni, militanti di sinistra, artisti e intellettuali per esser deportai in carceri improvvisate. I prigionieri furono torturati con il terribile pau-de-arara, con scosse elettriche ai genitali, con aghi sotto le unghie, subirono pestaggi, stupri, furono costretti a rimanere immersi nell’acqua gelata o negli escrementi, a ingerire o a farsi iniettare prodotti chimici.

Per non permettere il riconoscimento dei cadaveri, alle vittime venivano amputati i polpastrelli e le teste erano ricucite su altri corpi. I militari epurarono la pubblica amministrazione, cacciarono i docenti democratici dall’università, imposero un bipartitismo di facciata e legiferarono extracostituzionalmente attraverso i cosiddetti “atti istituzionali”, criminalizzarono le lotte contadine, proibirono la libertà d’espressione, l’omosessualità, l’adulterio e perfino i conflitti di coppia.
Il mondo del calcio era pienamente interno a questa cultura estremamente reazionaria. Gli atleti erano trattati come operai dello sport, mal pagati e obbligati a presentarsi agli allenamenti pettinati e sbarbati. Durante le trasferte potevano telefonare solo a familiari ed erano sottoposti a un numero allucinante di partite che non permetteva mai di recuperare le forze: “Il calcio non offriva buone condizioni di lavoro”, racconta l’ex attaccante Reinaldo Lima dell’Atlético Mineiro. “Il pallone faceva schifo, il campo faceva schifo, lo spogliatoio una merda, l’arbitro un ladrone e i salari ritardavano.” Sul versante opposto lo stile dei dirigenti e degli allenatori era dittatoriale nel vero senso della parola. Uno dei presidenti del Corinthians, Wadih Helu, detto non a caso il Gagster, era solito far aggredire i tifosi dalle sue guardie del corpo e mettere le sue fazendas a disposizione dei militari per torturare prigionieri politici.
A dieci anni dal colpo di stato, il regime cominciò a somministrare dosi omeopatiche di democrazia formale, fino ad ammettere un pluripartitismo sterilizzato nel 1979 (i comunisti restavano comunque fuorilegge). Tali scelte avvenivano a causa delle pressioni crescenti dei movimenti sociali che chiedevano l’abbandono definitivo del governo da parte dei militari. In questi anni arrivò nel Corinthians un giovane laureato in medicina: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, detto Magrão, cioè Il Secco. A ogni gol, e non ne faceva pochi, si dirigeva verso la tifoseria in delirio alzando il pugno al cielo. Poco dopo iniziò a militare nella squadra paulista l’attaccante diciassettenne Walter Casagrande, che esibiva accanto a importanti doti tecniche un carattere fieramente ribelle. I due incontrarono nel club Wladimir Rodrigues dos Santos, terzino sinistro e segretario del Sindacato degli Atleti. Infine venne nominato come direttore del dipartimento calcio della polisportiva di San Paolo Adilson Monteiro Alves, un sociologo già dirigente del sindacato studentesco, arrestato per motivi politici.
È questo il quadrunvirato che costituì la colonna portante della Democrazia Corinthiana. Socrates cominciò a rendere sempre più espliciti i valori rivoluzionari che stavano prendendo piede nella squadra: “La struttura del calcio è conservatrice, reazionaria, paternalista e non permette che gli atleti pensino e rispondano per i propri atti. I professionisti dello sport dovrebbero avere potere decisionale sulle questioni che li riguardano. Stiamo mettendo in pratica quello che consideriamo ideale per la società, prendendo le nostre decisioni con il voto. Vogliamo discutere gli acquisti di nuovi giocatori, le cessioni, l’abolizione dei ritiri, i contratti, i salari e i bichos [i premi vittoria]”. Fu così che tutti – titolari, riserve, allenatori, medici, massaggiatori e guardarobieri – cominciarono a votare e a decidere collettivamente come gestire la squadra. Si mise in moto un processo che provocò un susseguirsi di successi e scatenò, come accade in ogni rivoluzione, pulsioni desideranti di grande intensità: “Festeggiavamo i compleanni tutti insieme,” ricorda il tesoriere Sergio Scarpelli, “viaggiavamo e non avevamo nulla da nascondere. Furono quattro anni di festa”.
Il 31 ottobre 1982, a due settimane dalle elezioni, i bianconeri del Corinthians entrarono in campo con le magliette con la scritta “Il giorno 15 Vota”. Era un pugno in faccia alla dittatura militare che tentava in ogni modo di non enfatizzare le occasioni di voto. Lo stadio esplose in un boato di approvazione. Il retro della maglietta diventò poi lo spazio del claim che connotò il soviet calcistico di San Paolo: “Democrazia Corinthiana”. L’anno dopo i bianconeri si presentarono in campo con uno striscione “Vincere o perdere, ma sempre con democrazia”. Nel 1982 e nel 1983 il Corinthians vinse il Campionato Paulista e nel 1984 le imponenti manifestazioni di Rio de Janeiro e San Paolo cacciarono definitivamente i militari.
Questa storia di sport e di resistenza conferma che il calcio è qualcosa di molto più complesso dell’ennesima varietà di anfetamina dei popoli. Grazie ai suoi versanti rituali si configura piuttosto come un potente dispositivo di costruzione dell’identità collettiva. È ovvio che il potere se ne voglia appropriare ai fini della valorizzazione capitalistica e del mantenimento dell’ordinamento disciplinare. È altrettanto ovvio tuttavia che il potere non potrà mai dormire sonni tranquilli. Come racconta l’autrice nella bella e toccante pagina conclusiva, in piena era del calcio business, il 4 dicembre del 2011, prima del fischio d’inizio, uno dopo l’altro i calciatori del Corinthians al centrocampo alzarono i pugni verso il cielo dello stadio di Pacaembu. Il gesto fu imitato dagli atleti in panchina, dallo staff dell’area tecnica e poi dalle migliaia di persone della Fedele Tifoseria. Si trattava dell’estremo saluto a Socrates appena deceduto, ma forse anche di un’anticipazione simbolica del nuovo ciclo di lotte sociali che attraversa oggi il Brasile.
Questo articolo è stato pubblicato su Micromega online il 24 giugno 2014

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati