Proteste per Ramy. Le “risposte” della politica e la morte della ragione

di Loris Campetti /
14 Gennaio 2025 /

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Carlo Calenda sta con le forze dell’ordine senza se e senza ma. Dunque, anche quando ammazzano un ragazzino e ne feriscono un altro perché non si fermano a un controllo. O quando esercitano la violenza su uno o più detenuti. Lo scooter su cui viaggiava Ramy con il suo amico è stato inseguito per otto chilometri non da una ma addirittura tre volanti, finché non è stato abbattuto e Ramy ci ha lasciato la pelle. “Bene”, commenta una delle forze dell’ordine con cui sta Calenda senza se e senza ma. Ramy era cittadino italiano, milanese, ma i media lo raccontano egiziano per via delle origini della famiglia. Una specie di marchio d’origine controllata. Del resto, che cosa dice il maître à penser Vannacci di Paola Egonu, la migliore giocatrice di volley al mondo? Con quel colore di pelle come si fa a dire che è italiana? Con decenni di ritardo rispetto ai francesi, anche l’Italia ha a che fare con l’integrazione (parola orribile, meglio sarebbe cercare l’interazione) dei giovani nati da noi da genitori immigrati da altri paesi. Ricordiamo le rivolte nelle banlieue di Parigi e l’incapacità dell’Eliseo di affrontare il problema dei giovani delle seconde e terze generazioni, l’illusione che l’uso della forza possa sostituire l’uso della ragione, la ricerca delle ragioni – pur non così incomprendibili – del malessere di una generazione di emarginati. Oggi che il problema si pone a Roma, Milano, Torino, Bologna la politica cade dalle nuvole quasi all’unisono e, in un clima da unità nazionale, tutti in coro contro la violenza.

Le decine e in qualche caso centinaia di giovani che protestano nelle città contro l’assassinio di un loro fratello a opera delle forze dell’ordine gridano al tempo stesso contro la loro condizione, la precarietà, la mancata accettazione, la diseguaglianza. Lo fanno in maniera politicamente scorretta, poco elegante, se la prendono con i simboli di un mondo che vivono come nemico, banche e vetrine di lusso, ma anche automobili che siano fuoriserie o utilitarie poco importa. Fanno scritte contro Israele per il genocidio di Gaza, fin dietro la sinagoga. Di loro si grida e si scrive che sono vandali, terroristi, e neanche a dirlo antisemiti. Bisogna fermarli, con il pugno di ferro da Stato di polizia. “Ignobile episodio di disordine e caos a opera dei soliti facinorosi”, grida Giorgia Meloni; “Criminali rossi”, urla Salvini. A sinistra poco più che mugolii, naturalmente contro la violenza. Cosicché la strada verso le leggi speciali per l’ordine e la sicurezza viene asfaltata, e le risposte poliziesche impediscono di porsi le domande giuste, di chiedersi il perché di una violenza che a tutti appare cieca, anzi lo è, non aiuta se non chi alla violenza li spinge con la violenza delle parole e delle leggi. Ma perché si manifesta, e perché così? I protagonisti sono black bloc, o solo giovani figli di immigrati non integrati, forse perché non accettati?

Forse, se alla vista delle immagini dei due ragazzi in scooter schiacciati contro il muro l’intera Italia democratica fosse scesa in piazza per chiedere giustizia, le manifestazioni di protesta avrebbero potuto avere un segno (e una direzione) diverso. E se i fratelli dei giovani immigrati di seconda generazione, quei migranti costretti alla clandestinità e all’illegalità da leggi indecenti, non dovessero vivere sotto i ponti o in un capannone abbandonato; se non fossero costretti ad accettare uno sfruttamento che rasenta la schiavitù, fino a morire di lavoro nero senza neanche rientrare nelle classifiche dell’Inail; se i fratelli e i cugini di Ramy non finissero in troppi in galera dove rischiano tortura e suicidio; se non venissero rimpatriati in paesi canaglia grazie agli accordi osceni stipulati dal governo Meloni; se, insomma, non vivessero con una prospettiva di vita di merda: non è possibile che, in mutate condizioni di accoglienza, manifesterebbero in altre forme, e magari non più da soli?

Ma no, che ragionamenti: sono violenti, terroristi in nuce, antisemiti e allora più galera, più emarginazione, più manganelli. E i sindaci, per favore, tolgano le bandiere palestinesi dai balconi dei municipi, sennò sono complici dell’antisemitismo. Così il malessere e la rabbia di quei ragazzi “speciali” finiranno per mescolarsi con il malessere e la rabbia dei nostri ragazzi “normali”. E bisognerà costruire nuove carceri, quelle vecchie non bastano più.

La morte della politica è la morte della ragione, non può che generare mostri.

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