Lo stesso accadrà a me, questa è una società malata, così diceva Martin Luther King alla moglie Coretta dopo l’assassinio del presidente John Kennedy, avvenuto il 22 novembre 1963.
Lo scorso 15 settembre 2024, ad appena due mesi dal primo attentato, Donald Trump ha rischiato di essere nuovamente colpito da un killer trovato in possesso di un AK-47, fucile d’assalto della serie Kalašnikov. Il 13 luglio precedente l’attentatore – poi ucciso dagli agenti della sicurezza – si era servito di un fucile semi-automatico della serie AR-15. In entrambi i casi si tratta di armi da guerra largamente diffuse negli Usa. Si parla di 40 milioni di esemplari in mano privata, acquistabili a prezzi accessibili nei negozi specializzati o nelle fiere, dove i controlli sono più blandi. Pare che sia possibile comperarle anche attraverso il circuito Amazon, assieme a dentifrici e popcorn.
Si salvi chi può
Le statistiche portano dati impressionanti. Esistono circa 390 milioni di armi private per un’entità approssimativa di 300 milioni di cittadini maggiorenni. Si presume che ai bambini e agli adolescenti sia negato il diritto di acquistare un’arma da guerra.
Nel 2021 il 42% circa delle famiglie ha riferito di detenere una o più armi da fuoco. Marcata la distinzione sul piano politico: se le famiglie repubblicane possiedono armi nella misura del 61%, quelle democratiche si attestano sul 32%. Nella stessa rilevazione a esprimersi a favore di un divieto alla detenzione di armi d’assalto è il 77% dei democratici contro il 34% dei repubblicani.
Gli strumenti di morte, tuttavia, continuano ad essere prodotti, venduti e comperati. Lungi dall’essere utilizzati nei fronti dislocati in giro per il mondo dove sono dispiegate forze armate americane, questi “giocattoli letali” servono per il tiro a segno contro presidenti in carica, o candidati, e per vere e proprie stragi in scuole, supermercati, ristoranti, cinema multisale, piazze.
Tra i Paesi cosiddetti sviluppati, a detenere il primato di decessi provocati da armi da fuoco sono appunto gli Stati Uniti dove nel 2020 si contano oltre 29.000 morti violente consumate o tra le mura domestiche o in luoghi pubblici affollati. Per contro, in tutta l’area europea fino agli Urali questo tipo di uccisioni ammonta a poco più di 3.000.
Tra le 20 stragi di civili più letali della moderna storia americana, 16 sono avvenute tra il 1999 e il 2019. L’ultima in ordine di tempo è quella avvenuta il 4 settembre scorso in una scuola superiore della Georgia dove uno studente quattordicenne dell’istituto, armato di un fucile AR-15, ha ucciso due alunni della sua stessa età e due insegnanti, ferendone altri.
Alcuni episodi efferati hanno sollevato particolare indignazione, dal momento che la follia omicida non risparmia niente e nessuno, neppure i luoghi di culto. La vicenda che ha ispirato la vibrante ricostruzione cinematografica del regista Michael Moore riguarda la strage del 1999 alla Colombine Hight School, in Colorado, dove un ex studente uccise 12 allievi e un insegnante.
Nel 2017 a Las Vegas, Nevada, durante un concerto all’aperto, il killer colpì e soppresse 61 persone e ne ferì più di cinquecento sparando da una stanza d’albergo sovrastante la piazza. Accanto all’assassino furono trovate 23 armi da fuoco tra pistole e fucili, tutte acquistate legalmente.
Nel novembre dello stesso 2017 la chiesa Battista di Sutherland Springs, Texas, pianse l’uccisione di 26 fedeli e il ferimento di altri 20 durante una funzione religiosa.
Quelli appena ricordati sono solo alcuni dei tanti episodi che ogni anno insanguinano gli States.
La lobby delle armi
Nel mondo sono tre i Paesi la cui Costituzione garantisce il diritto per i cittadini di possedere armi da guerra. Oltre agli Usa, si annoverano il Guatemala e il Messico.
Per gli Stati Uniti il fondamento di tale garanzia è il Secondo Emendamento della Costituzione, il Bill of Rights del 1776 il quale recita: Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, sarà tutelato il diritto del popolo di detenere e portare un’arma.
Era diffusa fin da allora la convinzione che si dovesse consentire ai cittadini il diritto di difendersi oltre che da attacchi esterni anche da eventuali abusi dello Stato nascente. I nemici esterni erano rappresentati anzitutto dalla ex madrepatria inglese, poi da potenze confinanti, al Nord la Francia presente in parti del Canada, al sud la Spagna.
Dopo decenni di scontri con le forze “straniere” fu la volta degli stessi nativi americani che resistevano all’esproprio delle loro terre e subirono per questo attacchi letali anche da parte di privati cittadini ben armati.
Volendo operare un parallelo con l’Europa, emerge che mentre in Francia e in Inghilterra fra il 1700 e il 1800 si affermava il diritto dello Stato al monopolio dell’uso legittimo della forza, negli Usa permaneva e perdurava ben oltre la fase incipiente della Federazione il diritto individuale alla difesa con le armi e alla tutela della proprietà privata.
Conseguenza pratica del Secondo Emendamento, la produzione e il commercio di armi su larga scala. Fin dal 1871 i produttori si organizzano nella National Rifle Association (Rifle sta per fucile) per scongiurare ogni forma di controllo e di limitazione nella produzione e diffusione di armi da fuoco. Si assiste pertanto progressivamente ad azioni lobbistiche in grande stile, fra cui generosi finanziamenti delle campagne elettorali finalizzati a perpetuare il proprio potere economico, situazione che perdura fino a oggi.
Il potere di condizionamento, anche psicologico, dei signori delle armi è talmente soverchiante che persino la democratica Kamala Harris nel recente confronto diretto con Trump ha informato che sia lei che il suo candidato vice, Tim Walz, tengono in casa un’arma.
Non è un paese per presidenti
Vediamo ora la serie dei presidenti americani uccisi o feriti da arma da fuoco, delitti che non hanno certo origine in un contesto primitivo o selvaggio ma in quello che viene considerato un modello della moderna civiltà.
La prima vittima è Abramo Lincoln, 16° presidente, colui che ha abolito la schiavitù degli afro-americani. Il 14 aprile 1865 mentre si trova a teatro viene raggiunto e freddato da un colpo di pistola alla nuca sparato da un fanatico sudista. I cospiratori non riescono a colpire anche il vice presidente e il segretario di Stato, come nelle loro intenzioni.
Il 2 luglio 1881, James Garfield, 20° presidente, viene ucciso con due colpi di pistola alla schiena.
Il 6 settembre 1901, William McKinley, 25° presidente, è raggiunto da un anarchico polacco che lo uccide con due colpi di pistola.
Il 14 ottobre 1912, Theodore Roosevelt, 26° presidente, esce illeso da un attentato in quanto le pallottole vengono deviate dalla custodia in metallo degli occhiali.
Il 22 novembre 1963, John Fitzgerald Kennedy, 35° presidente, è preso di mira e ucciso a Dallas da un cecchino armato di fucile da guerra di fabbricazione italiana.
Il 5 settembre 1975, Gerald Ford, 38° presidente, è vittima di un attentato da cui esce illeso.
Il 30 marzo 1981, Ronald Reagan, 40° presidente, viene gravemente ferito da colpi di pistola che gli provocano una seria emorragia ai polmoni.
Altri atti delittuosi prendono di mira personaggi di rilievo in ambito politico. Basti citare:
Robert Kennedy, candidato alla presidenza, raggiunto il 6 giugno 1968 da un colpo di pistola letale, a cinque anni di distanza dal fratello John.
George Wallace, pure candidato alla presidenza, colpito il 15 maggio 1972 da un killer armato di pistola, ne esce vivo ma paralizzato dalla vita in giù.
Malcolm X, leader che si batte per la liberazione del popolo afro-americano, è ucciso il 21 febbraio 1965, mentre Martin Luther King, attivista per l’emancipazione dei neri e fautore della nonviolenza, viene assassinato il 4 aprile 1968.
E si torna all’oggi, in un Paese diviso, con fortissime tensioni e profonde rivalità fra i due schieramenti politici che si fronteggiano in vista delle elezioni presidenziali di novembre.