Sangiuliano, Boccia e i precari della cultura

di Rosanna Carrieri e Valentina Colagrossi /
10 Settembre 2024 /

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Il tormentone di questi giorni intorno al Ministro della cultura visto da chi – in condizioni spesso difficili – ogni giorno garantisce la fruibilità, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano

Nelle ultime settimane in Italia si è fatto un gran parlare di cultura. O meglio, di ciò che accade nelle stanze del potere. Il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano si è dimesso e Alessandro Giuli ha già preso il suo posto. Rapidità, dopo giorni di tira e molla. Il 19-21 settembre, dopotutto, è previsto in Campania il G7 Cultura. 

Ma il fitto programma, che comprende aperitivo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, lavori a Palazzo Reale e visita a Pompei, con concerto nell’Anfiteatro del Parco Archeologico (diretto da Beatrice Venezi, consulente del ministero) e cena presso la Palestra Grande (il tutto utilizzato come un set scenografico, così come accaduto in altre occasioni), rischia di saltare o di essere fortemente ridotto. Questo perché Maria Rosaria Boccia, l’ormai nota «non-consulente» dell’ex ministro, di Pompei, ha rivelato di aver contribuito all’organizzazione dell’evento senza alcun incarico formale con il Ministero della Cultura. Incarico che l’aspirante consigliera ha dimostrato le fosse stato assicurato, per poi essere improvvisamente ritirato. 

Insomma, l’ex Ministro ha prima promesso a una persona (con cui intratteneva una relazione privata) un posto come consulente del Ministero, coinvolgendola in riunioni e nella preparazione di un evento di portata internazionale, per poi rompere l’impegno, creando una situazione di umiliazione e ricattabilità che ha infine portato alle dimissioni senza alternative. Se l’impegno fosse stato mantenuto, probabilmente il grande pubblico neanche se ne sarebbe accorto: dopotutto, tra i ben 19 consulenti dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano (10 retribuiti, 9 a titolo gratuito) non tutti vantano esattamente un curriculum brillante nell’ambito culturale. Molti sono uomini e donne «d’area», diversi sono amici. Intervistata da La7, Boccia ha ad esempio sottolineato i conflitti d’interesse di Beatrice Venezi, che da consulente svolge anche concerti retribuiti per la Pubblica Amministrazione. Ma anche Silverio Sica – l’avvocato del ministro che ci assicura che l’affaire con Boccia sia una questione «soltanto privata» – è il fratello dell’avvocato Salvatore Sica, consigliere del Ministero a titolo oneroso.

I media hanno catalizzato per giorni l’attenzione sulla liaison tra Boccia e Sangiuliano, nel susseguirsi di dichiarazioni, smentite, storie Instagram e confessioni in diretta televisiva che hanno compromesso inesorabilmente la dignità dell’ormai ex ministro, non senza vittimizzazione e sessismo. Un modus operandi, per la comunicazione in ambito culturale, non nuovo e spesso orientato, a favore di titoli scandalistici o cifre eccezionali, a fronte di un quasi taciuto racconto sul lavoro e sulle radicate storture del settore. 

Agli osservatori critici non può infatti sfuggire quali siano i veri motivi per cui si è arrivati a queste dimissioni e a una storia che ha toccato uno dei punti più bassi della vicenda istituzionale dell’Italia repubblicana. L’«affaire Boccia» esploso negli ultimi giorni non è altro che la conseguenza estrema di un sistema che si serve della Pubblica Amministrazione per perseguire interessi privati e personali a tutti i costi. A fronte di una carenza di personale endemica, pullulano nomine fiduciarie, incarichi e collaborazioni esterne, amichettismo e nepotismo che, se da una parte rafforzano il potere, dall’altra espongono a ricatti com’è successo in questo caso.

Ciò che rende questa vicenda ancora più grave, è che i malcostumi e gli abusi di potere a cui abbiamo assistito sono ormai così normalizzati all’interno delle istituzioni, e in particolare del Ministero della Cultura, al punto da diventare prassi. E stanno emergendo non grazie a segnalazioni interne o controlli sull’operato di chi rappresenta le istituzioni, ma soltanto perché la persona interessata ha deciso di renderli pubblici a seguito di una vicenda di ripicche personali. Insomma, se Boccia non fosse stata «l’amante» ma solo una persona dagli interessi e dal curriculum discutibile (ricordiamo che solo pochi mesi fa fu nominato Sottosegretario della Cultura Vittorio Sgarbi, già plurindagato, con le conseguenze che conosciamo) non se ne sarebbe neppure parlato, tanto ci abbiamo fatto il callo. Tutto questo è sintomatico della profonda crisi che nel nostro paese attraversa da tempo il lavoro pubblico a tutti i livelli, una crisi che non riguarda soltanto le prassi di gestione, ma l’identità stessa del pubblico impiego e dei ruoli istituzionali.

La premier Giorgia Meloni si è d’altronde preoccupata solo dell’aspetto mediatico, altrimenti le dimissioni sarebbero arrivate forse mai, come è stato per Daniela Santanchè, per Andrea Delmastro, per tutti quei membri del Governo che hanno dimostrato inadeguatezza e incapacità di distinguere l’azione pubblica dalla sfera privata.

Il coinvolgimento di Boccia nell’organizzazione del G7 a Pompei, che porterà con ogni probabilità all’annullamento della tappa con imbarazzi internazionali, non è un grande risultato per un Governo che ha sempre puntato sull’esibizione della grandezza italica nel mondo. Ma, come ormai noto, mentre eravamo distratte a cercare sui social l’ultimo aggiornamento, il 5 settembre Sangiuliano ha utilizzato i suoi ultimi momenti da ministro per firmare il decreto di riorganizzazione del Ministero: 130 nomine dirigenziali da fare in tre mesi, ora nelle mani di Alessandro Giuli. 

«Chiedo scusa a mia moglie, a Giorgia Meloni, ai miei collaboratori» ha detto Sangiuliano al Tg1. E lo stesso tono si ripete nella lettera di dimissione diffusa ovunque, in cui gli unici «risultati» riportati ricalcano l’ormai radicata narrazione del Ministero, legata a numeri, a incassi, ai soliti noti siti e a qualche fondazione di rilievo (oltre ad alcuni riferimenti ideologici). Forse l’ex Ministro dovrebbe innanzitutto chiedere scusa alle lavoratrici e ai lavoratori della Cultura, che in Italia contribuiscono per pochi spicci alla gestione del patrimonio pubblico, alle cittadine e cittadini a cui tale patrimonio dovrebbe appartenere. 

Dimenticato in pochi giorni l’affaire Boccia, sarebbe opportuno avviare le dovute verifiche nella Pubblica Amministrazione e al contempo guardare nel complesso al settore culturale, non per lo scandalo del momento o per l’ennesima scoperta, che nei fatti perpetuano la stessa retorica, ma interrogandosi su quali siano le condizioni di chi lavora, ad esempio, a Pompei (per citare il caso in questione) e più in generale nel comparto culturale italiano. In tal senso, i dati sono chiarificatori. E ancora, su quali siano le condizioni in cui versa il nostro patrimonio, abbandonato nelle periferie e sempre meno accessibile nei centri, sotto la spinta dell’ormai decennale processo di privatizzazione di alcuni luoghi, concessi sotto versamento di ingenti somme a gruppi elitari per utilizzi esclusivi. 

Ci piacerebbe tornare ad avere un Ministero che gestisca il patrimonio culturale nell’interesse pubblico e non secondo le proprie velleità personali o i dogmi di partito, che tratti gli uffici della Pubblica Amministrazione come parte della macchina necessaria al buon funzionamento dello Stato e non come un poltronificio privato, favorendo il dilagare di conflitti d’interesse e prassi poco limpide. 

Ci piacerebbe che tornassero al centro del dibattito (e dell’agenda ministeriale) le condizioni di lavoro di chi ogni giorno garantisce la fruibilità, la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio – siano essi i dipendenti statali, chiamati a tamponare le carenze di organico con sovraccarico di lavoro e con stipendi tra i più bassi della Pubblica Amministrazione, o i lavoratori esternalizzati del sistema degli appalti, da decenni costretti a condizioni di precarietà, impoverimento e dequalificazione.  

Mentre i nomi di Sangiuliano e Boccia cominciano a sparire dalle notizie del giorno, è nostra responsabilità tenere alta l’attenzione sulle questioni politiche e insistere sulle modalità di gestione della Cultura, sulle sue endemiche storture, al di là di personalismi, affinché la deriva che da più di un trentennio ha preso avvio e ha portato alle condizioni attuali possa interrompersi ed essere invertita. Ma questa, è una storia collettiva. 

*Rosanna Carrieri e Valentina Colagrossi sono attiviste dell’associazione di professionisti dei beni culturali Mi riconosci?. Il pezzo è stato scritto con il contributo di altre attiviste e attivisti dell’organizzazione che non possono firmare l’articolo a causa degli obblighi legati al loro
lavoro.

Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 9 settembre 2024

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