La reazione del sud all’autonomia differenziata

di Isaia Sales /
12 Agosto 2024 /

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Era stato ampiamente previsto che questa volta il Sud avrebbe reagito. Ma non era prevedibile l’impetuosità della risposta e il coinvolgimento così vasto dell’opinione pubblica nazionale nel contrasto all’Autonomia differenziata. La reazione alla legge Calderoli sta assumendo un carattere di massa e una forza d’urto per certi aspetti simile a quella che si sprigionò con i referendum sul divorzio del 1974 e sull’aborto del 1981, due consultazioni spartiacque nella storia del costume in Italia. Anche questa volta, come allora, la scelta del referendum sembra portare alla luce stati d’animo che scorrono sotto la pelle della società italiana assolutamente sottovalutati in questi ultimi anni: una insoddisfazione di massa per alcuni servizi vitali (in particolare la sanità, e non solo nel Sud) acuitasi dopo la pandemia da covid, nel timore che la nuova legge possa ulteriormente peggiorarne il funzionamento; un fastidio crescente per lo strapotere delle Regioni non suffragato da concreti risultati sulla vita quotidiana delle persone; un bisogno di un comune minimo denominatore dello stare insieme degli italiani. Sembra prevalere un desiderio di unire e non di scassare e differenziare. Ed è evidente che l’impatto politico e sociale sarà fortissimo anche nel caso in cui il quesito referendario non dovesse essere ritenuto ammissibile. Come si farà a non tenere conto del sussulto unitario, della crescente diffidenza verso le Regioni e della reazione indignata agli egoismi territoriali che la velocissima raccolta di firme sta manifestando?

La vittoria nei referendum per il mantenimento delle leggi sul divorzio e sull’aborto segnò l’affermazione di un’Italia laica che si liberava dal condizionamento clericale, quello contro l’Autonomia differenziata potrebbe trasformarsi in un vero e proprio pronunciamento sull’unità d’Italia, un referendum sul senso di appartenenza a qualcosa di comune non condizionato dagli egoismi territoriali. E se tutti gli altri referendum finora svoltisi in Italia hanno avuto per tema diritti civili, questioni sociali, riforme istituzionali, questo che si sta promuovendo è il primo che avrà al centro l’idea che gli italiani hanno di loro stessi come nazione in cui è garantito il godimento degli stessi diritti di cittadinanza al di là delle diverse regioni dove si abita. Non era mai successo nella nostra storia politica che ci si potesse esprimere sulla percezione di patria, di nazione, di casa comune al di fuori del patriottismo bellico o calcistico.

Ed è evidente, nel successo delle firme raccolte ai banchetti e in maniera straordinaria on line (novità di straordinaria importanza per il futuro della democrazia partecipata), che i firmatari avvertono l’approvazione di questa legge come il superamento di un limite invalicabile oltre il quale si smette di appartenere a qualcosa di comune, come lo spezzarsi di quel filo sottile che ha tenuto insieme una nazione arrivata tardi alla sua unità ma sempre capace di considerarla un bene prezioso nei momenti più difficili della sua storia (si pensi al difficilissimo Secondo dopoguerra in Sicilia o in Alto Adige). Insomma, la legge Calderoli viene percepita come un atto di prevaricazione delle regioni più forti, un gesto di superbia, di presunzione, di arroganza, una specie di peccato di hybris della destra al governo incapace di fermarsi di fronte alle lacerazioni irreversibili che una sua legge provoca. E per di più pensando di prendere in giro i meridionali raccontando che un atto di concreta separazione è invece un’occasione di riscatto per coloro che ne pagheranno di più le conseguenze.

La campagna referendaria un primo risultato lo ha già ottenuto, però. Si tratta in effetti di un paradosso politico: la destra nazionalista e patriottica è costretta alla difensiva sul terreno ipoteticamente a lei più congeniale, cioè l’amor di patria e l’unità della nazione. Ciò è il risultato di una sottovalutazione di Fratelli D’Italia del prezzo da pagare per avere il sostegno della Lega alla legge sul premierato voluta da Meloni e dell’azione spiazzante del Gianburrasca Salvini, allegro sfasciatore di ogni governo di cui entra a far parte, e segretario di un partito schierato da sempre “per l’indipendenza del Nord” in quanto ha sempre collocato al di sopra della nazione i territori che tradizionalmente lo sostengono. Questa posizione della Lega sta trascinando la destra italiana verso un patriottismo alla rovescia, un nazionalismo senza coscienza nazionale, che attribuisce delle virtù speciali solo ad alcune regioni, una specie di meritocrazia territoriale in base alla quale i veneti e i lombardi vengono prima di tutti gli altri italiani in una esaltazione arrogante della loro superiorità, che si vorrebbe sancire per legge! Ma questo sentire sembra essere minoritario nell’attuale momento storico, mentre riaffiora uno spirito nazionale fuori dai canoni interpretativi della destra che continua a declinare il concetto di patria solo in contrapposizione all’Europa, o come espressione di comunanza di sangue e odio verso gli “stranieri”. Il concetto di una italianità mite, tollerante e solidale al suo interno e all’esterno è per il centro-sinistra (di fronte a un regionalismo divisivo e separatista) una grande opportunità identitaria per oggi e per il domani.

Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica l’8 agosto 2024

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