Italia-Europa, palla al centro. La partita ha inizio ma non è di football, anche perché gli azzurri di Spalletti sono stati buttati fuori meritatamente dagli europei quasi subito dalla formazione svizzera e a Giorgia Meloni tocca guardare il tennis per consolarsi e alzare la bandierina. Al volley femminile, pur vincente, meglio non rivolgere lo sguardo per evitare di incrociare quello di Paola Egonu e Miriam Sylla che tanto disturbano il generale fascista Vannacci e il suo sponsor Salvini per via della loro pelle scura. Insomma, donne non di razza italica né ariana, e per di più dirette da quel comunista di Velasco. La partita di cui parliamo si svolge un tempo a Strasburgo e l’altro a Bruxelles e segna l’avvio dei lavori del decimo Europarlamento appena eletto. Il primo atto, la rielezione della popolare maltese Metsola alla guida del Parlamento è già stato archiviato con voto “bulgaro” (modo di dire da quando nella Bulgaria del socialismo reale le decisioni o il candidato del governo venivano votati dal 100% degli aventi diritto), unici oppositori i membri della sinistra europea.
Come tutti gli amori, quello tra Meloni e von del Leyen è fatto di abbracci appassionati (sulla guerra ai migranti come sul sostegno militare all’Ucraina si muovono all’unisono, così come nel silenzio sui crimini perpetrati dal governo israeliano ai danni dei palestinesi) e momenti difficili. Meloni è pur sempre una post-neo fascista e il governo dell’Unione storicamente schiera in campo popolari, socialisti e liberali, non le estreme destre – sono tre – né la sinistra-sinistra né i verdi. Sarebbe meglio un appoggino dall’esterno di Meloni per blindare la rielezione di von del Leyen alla guida della Commissione, in cambio di un vicepresidente del Parlamento (tanto ce ne sono 14) a FdI, tenendo fuori però i gruppi politici dell’estrema destra (come se i Fratelli d’Italia fossero monaci francescani) per non indisporre i socialisti e continuare a strizzare l’occhio ai flessibili verdi. A Strasburgo Meloni fa il dottor Jekyll, a Roma torna a essere mister Hyde. Ma a volte rovescia i ruoli e a Strasburgo e a Bruxelles per qualche ora fa la faccia feroce per non farsi scavalcare troppo a destra da Salvini che le ha strappato via dal suo fascio-gruppo l’amico Orban nonché i franchisti di Vox, per non parlare di Marine Le Pen. E l’Italia intera fibrilla: la si nota di più se vota sì a von del Leyen, se vota no o se si astiene? Fatto sta che la destra italiana in Europa è divisa in tre frazioni: Forza Italia con von del Leyen, la Lega contro, Meloni sulla graticola. Solo contro gli operai, gli studenti e gli ambientalisti si ritrovano d’amore e d’accordo. Alle fine, il grande dubbio si scioglie: basta un voto favorevole dei Verdi europei per togliere Meloni dalla brace e convincerla (ma convinta forse lo era già) a votare no al secondo mandato della von del Leyen. No anche al green deal, no al tentativo di Salvini di scavalcarla a destra così che ora può giurare “mai con i socialisti”. Contenti i socialisti, strafelici i Verdi che sostengono da aver salvato con il loro voto positivo l’Europa dall’assalto fascista di Meloni e company. E dire che i verdi italiani erano stati eletti in un’alleanza con la sinistra di Fratoianni che si è schierata per il no, così come l’intero gruppo della sinistra europea. Morale, su 6 eletti 4 sì alla von der Leyen e due no (Ilaria Salis e Mimmi Lucano).
I migranti. Grazie al protocollo con il governo tunisino, voluto da Meloni e sostenuto e foraggiato da Von del Leyen, i povericristi che vengono riacciuffati in mare mentre tentano di raggiungere Lampedusa o comunque le coste europee, vengono consegnati dai militari tunisini ai torturatori libici. E in Libia è tornata Meloni per ammansire i suoi sodali di Tripoli che lamentano i troppi migranti da torturare e chiedono in cambio altri soldi e altre motovedette. Chi invece ce la fa ad arrivare in Italia verrà presto estradato nell’Albania del socialista Edi Rama e lasciato a frollare come si fa con la selvaggina per essere poi rispedito alla casella di partenza di questo orrendo gioco dell’oca sulla pelle di donne uomini e bambini in cerca di un po’ di futuro. Un modello, l’esportazione di esseri umani sgraditi, che piace tanto a Bruxelles ma per fortuna non piace più alla transfuga (dall’Ue) Inghilterra, il cui neoeletto premier labourista ha annunciato, per fortuna, la fine della deportazione dei migranti in Ruanda. Il padre spirituale di Giorgia Meloni, Benito Mussolini, avrebbe inveito contro Londra, la “perfida Albione”.
In Italia se la passano male i migranti riusciti a superare i blocchi di mare e di terra, ma resistono perché le strutture carcerarie italo-albanesi non sono ancora pronte. A Trieste buttati per strada e costretti alla clandestinità o a lunghe attese aspettando l’accettazione e più spesso il rifiuto della richiesta d’asilo. Nelle campagne del sud e del nord chini sui campi a tre euro l’ora sotto il solleone ma invisibili, nascosti, sono pur sempre clandestini grazie all’indecente legge Bossi-Fini, mai cancellata né modificata. Poi ci sono i migranti che vorrebbero uscire dall’Italia verso altri paesi dell’Ue. A Ventimiglia vivono sotto i ponti, sul greto del fiume o accanto ai binari del treno che porta a Mentone, in Francia, pochi minuti oltre una frontiera che Parigi ha brutalmente militarizzato. Accoglienza in Italia zero e gendarmi francesi pronti a ributtare oltre frontiera chi è riuscito a passare, nascosto in un camion o sotto il treno. E’ di pochi giorni fa un video diventato virale che mostra un camionista rumeno mentre scopre e caccia a cinghiate le ragazze eritree nascoste all’interno del mezzo, prive di tutto anche dell’aria per respirare. Le aveva messe lì un passeur dopo aver incassato 150 euro da ciascuna di loro. E’ l’Italia, è la Francia, è la Romania. Insomma, è l’Europa bellezza.
Aspettando le elezioni della presidente della Commissione, per abbassare la tensione provocata dal thrilling meloniano (voto si, no, o mi astengo?), i politici italiani si erano presentati tutti insieme appassionatamente in un vero campo da calcio. Da una parte la nazionale cantanti, dall’altra la nazionale politica che aveva vinto la sfida ai rigori, grazie alla precisione di Conte dal dischetto e, prima, grazie all’assist di Renzi, occasione d’oro per Schlein che aveva insaccato, peccato che il gol fosse stato annullato. La politica, avendo messo in campo da Conte a Schlein, da Renzi a Giorgetti, allenatore La Russa, ha dunque vinto la sfida. E come dicono Trump con l’orecchio fasciato e Biden tenuto in piedi dal servizio d’ordine, bisogna essere uniti, misurare le parole e abbassare i toni. Giocare insieme. Della scialba partita giocata nella città terremotata dell’Aquila, finalizzata a finanziare ospedali per bambini, resta solo la battura di Conte prima del fischio d’inizio: “Io passo la palla a Renzi, bisogna vedere se poi lui la restituisce”.
Buona estate a tutti, a chi può andare in vacanza e a chi non se lo può permettere.
Questo articolo è stato pubblicato su Area il 18 luglio 2024