Sulle elezioni in Francia

di Stefano Palombarini /
8 Luglio 2024 /

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La decisione a sorpresa del presidente Macron di indire elezioni legislative anticipate ha creato in Francia una situazione inedita e complessa, che però conferma l’evoluzione del paesaggio politico che ha caratterizzato gli ultimi anni. 

Le presidenziali del 2022 erano state caratterizzate da tre blocchi sociali chiaramente definiti, e di peso quasi equivalente, che avevano in Marine Le Pen, Jean-Luc Mélenchon e nello stesso Emmanuel Macron i loro candidati principali. Il malcontento crescente generato dalle politiche di un governo minoritario ha poi ristretto la base macronista, scesa attorno al 20%, e allargato quella dell’estrema destra, che alle europee ha avvicinato il 40%, mentre la sinistra ha mantenuto il suo 30%. 

Il sistema elettorale francese prevede, per le legislative, un maggioritario a doppio turno. In pratica si tratta di 577 elezioni diverse, una per ogni deputato; accedono al secondo turno tutti i candidati che, nel loro collegio, hanno ottenuto il voto di almeno il 12,5% degli iscritti alle liste elettorali, e viene eletto chi si ritrova in testa al secondo turno. Il primo turno, lo scorso 30 giugno, ha confermato la crisi del blocco macronista e l’ascesa dell’estrema destra, che sembrava davvero alle porte del potere. Basti pensare che il partito di Marine Le Pen figurava in prima posizione in ben 294 collegi, la sinistra unita nel Nuovo Fronte Popolare in 138 e la coalizione macronista solamente in 61. 

Tuttavia, i partiti della sinistra francese hanno avuto due buoni riflessi. Il primo, susseguente all’annuncio di una dissoluzione a sorpresa e alla scelta d’indire elezioni in tempi rapidissimi, decisi da Macron proprio per approfittare delle divisioni profonde che erano apparse in particolare tra Partito socialista e France Insoumise (il movimento di Mélenchon) nel corso di una campagna per le europee appena conclusa, aveva portato a un rapido accordo per presentare un solo candidato per tutta la sinistra in ogni collegio. Il fine era evitare la probabile eliminazione al primo turno. Il secondo eccellente riflesso, la sera del 30 giugno, ha portato a dichiarare il sostegno unilaterale ai candidati del Presidente contro quelli dell’estrema destra in tutti i collegi dove la sinistra non era in grado di imporsi. Una decisione rapida e netta che Macron non ha potuto ignorare, al punto che, pur tra mille esitazioni e distinguo, anch’egli ha finito per dichiarare che era necessario impedire nella misura del possibile le elezioni di rappresentanti del partito di Le Pen. 

In realtà, i dati dicono che il “barrage” contro l’estrema destra ha funzionato molto bene solo da un lato: nei duelli tra macronisti ed estrema destra, l’elettorato di sinistra ha sostenuto i primi al 72%, solo il 3% dei voti è andato al candidato di Le Pen, con l’astensione al 25%. Invece, nei collegi che hanno visto un duello tra un candidato di sinistra e uno lepenista, meno della metà degli elettori macronisti ha votato per il primo, quasi il 20% per il secondo, e un terzo ha scelto di astenersi. Tanto è comunque bastato per limitare fortemente il numero dei deputati di estrema destra, che tuttavia raddoppia rispetto al 2022. Tuttavia, pur potendo contare sul blocco elettoralmente più forte, l’estrema destra si è ritrovata in terza posizione come numero di eletti (143). Il blocco macronista (168 deputati) è invece in qualche modo il miracolato di questa elezione, e deve molto, come detto, alla scelta di dirigenti ed elettori della sinistra di appoggiare il candidato presidenziale quando necessario. La sinistra, con l’etichetta del Nuovo Fronte Popolare, arriva in testa, ma con meno di 200 eletti e quindi lontana dalla maggioranza assoluta che richiederebbe 289 deputati.  

Il risultato non deve dunque fare perdere di vista il movimento di fondo che vede un’estrema destra rinforzarsi dal punto di vista della sua base sociale e un potere macronista sempre più indebolito. Più complicato è immaginare lo scenario per i mesi che vengono, che dovrà in ogni caso tenere conto dell’impossibilità per Macron, sancita dalla Costituzione francese, di sciogliere nuovamente l’Assemblea nazionale in tempi rapidi: le prossime legislative non potranno in ogni caso tenersi prima del luglio 2025. In teoria, con la sinistra in testa, Macron dovrebbe attribuire l’incarico di formare il governo al Nuovo Fronte Popolare; ma nulla lo obbliga e, se lo farà, il governo della sinistra sarà minoritario e quindi fragile. Per la verità, la Costituzione francese attribuisce molti poteri all’esecutivo: un governo minoritario può agire alla sola condizione che oltre la metà dell’Assemblea nazionale non voti una mozione di sfiducia, il che richiederebbe a macronisti e estrema destra di fare fronte comune. E non va dimenticato che i governi di Macron, dal 2022 ad oggi, non avevano la maggioranza dei deputati dalla loro parte. Ma certamente, con meno di duecento deputati, l’azione di una sinistra eventualmente al governo sarebbe soggetta a tanti vincoli. 

Una seconda possibilità, che certamente era nei piani sia di Macron che di una parte della sinistra moderata, è quella di una grande coalizione che escluderebbe solo la France insoumise da un lato, l’estrema destra dall’altro. Tuttavia, una parte significativa di ecologisti, comunisti e socialisti non sembra disposta a dei compromessi indigeribili da una base della sinistra che richiede unità e opposizione ferma al potere di Macron; e la nuova composizione dell’Assemblea nazionale implica dunque che la “grande” coalizione sarebbe a sua volta minoritaria. 

La terza e, per quanto si può immaginare, ultima possibilità è quella di un governo, ancora una volta minoritario, sostenuto dai deputati macronisti e da quelli della destra tradizionale, che ha eletto 60 deputati; e dovendo fare un (difficile) pronostico, è possibile che tra qualche mese la Francia andrà in questa direzione. 

Tuttavia, appare abbastanza chiaro che nell’anno che viene, e quale che sia la coalizione di governo, l’azione riformatrice (in direzione neoliberista) di Macron sarà bloccata, e questa è già una buona notizia. Come un’ottima notizia è avere evitato un governo Le Pen che sembrava probabile. La speranza è che, al governo o all’opposizione, la sinistra saprà restare unita, confermando la convergenza su un programma di rottura netta con il neoliberismo, ed evitando le tentazioni inevitabili che verranno da promesse di posti da ministro, sotto ministro eccetera. Questa unità sarà fondamentale per affrontare con una chance di vittoria le scadenze che verranno, dalle probabili legislative tra un anno, all’elezione presidenziale prevista nel 2027. 

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