Santarcangelo Festival, una conversazione col direttore artistico Tomasz Kirenczuk

di Silvia Napoli /
5 Luglio 2024 /

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Il claim che definisce questa edizione di uno dei festival teatrali italiani più sbarazzini, ma insieme longevi che ci sono, con i suoi buoni 54 anni sul groppone, sotto una quiete apparente, rispetto ad antecedenti chiamate in causa, suona viceversa parecchio impegnativo. 

Sottintendendo infatti, che qualunque non meglio definita cosa noi stiamo facendo qui, certamente qualcosa di grave o interessante o cruciale e significativo sta accadendo altrove, magari ina una galassia lontana, magari nell’orto stento delle nostre velleità artistico palingenetiche, magari in un Cpr, oppure su una nave di Mediterranea oppure in un campo agricolo sottoposto a caporalato oppure in Ucraina, così come ancor peggio nella striscia di Gaza.  

E dunque darsi contorni, forza, agibilità culturale, oggi come allora quando il festival nacque e ancora non si avevano a disposizione tante parole per esprimere un desiderio di ribellione e rifondazione nei linguaggi e nelle pratiche dell’arte, è compito difficile innanzi ad una brutale realtà fatta di parole d’ordine spesso conformi al senso comune più becero e del tutto incapaci di sollevare il nostro immaginario all’altezza dei compiti e delle sfide del momento. 

Nell introduzione ai materiali per la stampa, Giovanni Boccia Artieri, docente all’Università di Urbino nonché Presidente dell’Associazione Santarcangelo dei Teatri, rileva, citando, come i lavoratori dello spettacolo da intendersi in stato di agitazione permanente, richiamandosi al disastro culturale del nostro paese, si riuniscano idealmente nel manifesto Vogliamo tutt’altro e puntualizzino quanto le loro vite siano al limite, un limite di decenza a mio avviso ampiamente superato per tante e tanti nelle odierne condizioni di classe e razzializzazione.  

Come sempre, questo è un Festival che è una festa delle diversità e molteplicità, che ci invita ad un pensiero democratico e trasformativo, al di fuori dei dogmatismi di qualsiasi fatta. 

Molteplici le location, tema centrale da sempre nella storia di Santarcangelo, inventore nel suo piccolo e immenso, come comunità locale e istituto culturale, in tempi non sospetti, di una pratica di site specific connaturata ai vari genius loci e contemporaneamente alle suggestioni internazionali. 

Come sempre, il programma intriga, stuzzica, si spalma e occupa luoghi ed è davvero complesso e troppo intenso nelle proposte per essere raccontato in termini cronologici e statistici. 

Per questo abbiamo pensato fosse più saggio rivolgere alcune domande di merito al direttore Tomek, che potessero servirci a tracciare piste di interesse se non linee di indirizzo in mezzo ad un vasto mare che sarete certamente perfettamente in grado di solcare e governare. 

Qualcuno, anche se non sarò certo io che comprendo bene la ragione intrinseca di certe scelte, potrebbe dire che questo non è più nei fatti un festival teatrale, ma è diventato qualcos’altro, forse perché la parola in esso non è più centrale, o perché si vedono cose apparentemente astratte dal sapore vagamente Artistico, in un certo senso da happening da galleria o spazio occupato… 

Sono molteplici le risposte che posso dare a queste osservazioni perché in realtà, non è che il festival di Santarcangelo sia mai stato molto regolare in quel senso. Essendo molto legato alla strada e ai luoghi è ovvio che presenta realizzazioni dell’idea di teatro in altra forma, da un lato popolare e da un lato più sperimentali, ma anche qui, sfatiamo l’idea che questo sia un festival visual, perché non sarebbe corretto neppure questo, tanto che ci sono almeno due spettacoli molto parlati all’interno delle programmazioni di questa edizione come quello della performer Rebecca Chaillon, francese di origini martinicane, però diciamo che anche la parola non è esibita come chiave narrativa in una sequenza lineare. Noi siamo orgogliosi di ospitare quegli artisti che hanno oggettivamente difficoltà a collocarsi, a trovare spazi e programmazioni perché considerati incatalogabili e nello stesso tempo è anche evidente che origini così meticce e complesse da parte di molti di loro richiedano l’uso sinergico e contemporaneo di linguaggi diversi. Se fai caso nessuno di loro si serve di una sola tecnica. Non siamo noi, comunque, qui per dare la linea o definire cosa è teatro e cosa no. Neppure questa vuole essere una vetrina da cui dedurre nuovi movimenti o nuovi ismi. Non credo sia il mio compito. C’è molto di più al mondo di quanto Santarcangelo possa contenere e neppure vado cercando di fare scouting a tutti i costi. Ci sono artisti nuovissimi allora ed oggi cresciuti in qualche modo e che ritornano perché sai che il nuovismo non mi interessa. Sono per esempio da promesse conferme, Stefania Tansini, Catol Teixera, il Teatro Patalo e anche la non scuola delle Albe, così come la ricerca sul night clubbing sperimentale che si fa ad Imbosco, sono assolutamente parte della nostra consuetudine. Diciamo allora che è tradizione di questo festival rimettere in discussione qualche certezza e infatti il corpo al centro, non significa infatti che esso venga esaltato o non vengano colte tutte le ambiguità e mistificazioni e processi di mercificazione che lo riguardano molti lavori in rassegna lavorano sul senso del limite, anche delle capacità comunicative e politiche del corpo, specie quando viene individualizzato. 

Nell’ambito del welfare culturale che sembra voler assegnare al lavoro culturale una funzione quasi sussidiaria nei processi di riparazione sociale, spegnendo però un poco le ragioni più provocatorie, si parla molto di psicologia di comunità lavoro di comunità etc. ma anche di costruzione di una comunità. Voi qui a Santarcangelo che vi trovate innanzi una comunità autoctona molto ben strutturata e inserite in tutto questo, tanti mondi altri, che riflessioni fate su questo aspetto? Mi è parso molto interessante il vostro cercare un punto di incontro da tradizione popolare e forme espressivo musicali globalizzate e tecnologizzate.. 

Ti consiglio allora il lavoro di Lisa Vereertbrugghen, che ha fatto una ricerca sulle possibili connessioni tra le musiche e danze tradizionali del Belgio e la Techno: perché qui in questa ricerca di ponti e connessioni in senso geografico e cronologico, tramite il lavoro di 5 performers si esprime il desiderio di intimità collettiva cui non sappiamo dare un nome se non quello generico di comunità, che peraltro è a sua volta molto ambiguo perché può costruire nuovi steccati. Questo è un esempio di come si può attraverso danze codificate e il ballo come espressione di soggettività plurime, aprire varchi inaspettati di comunicazione e vicinanza che uniscono il paese delle funky sdaure al resto del mondo. 

Possiamo parlare di una ricerca del sacro, da parte delle scelte estetico etiche di questo festival, categoria del resto spesso appaiata alle pratiche teatrali? Dico questo perché vedo che spesso il termine rituale, ricorre nelle presentazioni dei vari concept artistici. O si tratta piuttosto della ricerca di una sorta di liturgia delle emozioni collettive? 

Personalmente mi considero laico e ci andrei piano con l’uso di questa categoria del sacro. Vengo come sai da un paese piuttosto confessionale come la Polonia, dove per un lungo periodo siamo andati continuativamente in piazza a protestare contro le normative anti abortiste. Diciamo che ritengo importante a proposito del fare comunità e di darle un senso se non una direzione, che sia molto importante però avere e mantenere delle pratiche ritualizzate, degli apparati celebrativi. Un po’ come la faccenda dei funerali di Berlinguer e del seguito emotivo che ebbero. Molti spettacoli si concentrano infatti su questo aspetto e cercano al loro interno strategie innovative di nuovo sciamanesimo. Lo fa per esempio Dalila Belaza, coreografa francese di origini algerine che si inventa un cerimoniale che possa unire mondi e luoghi lontani. I performers diventano a un certo punto come un unico corpo. Il desiderio di integrazione e pienezza penso sia alla base dell’agire delle nostre individualità. Anche la nostra Valentina Medda con il suo last lamentation rielabora artisticamente i codici rituali del pianto funebre per ben 12 interpreti, sul greto del fiume o meglio torrente. che solitamente nel mese di luglio è assolutamente asciutto. 

Anche il duo emergente Panzetti Ticconi indaga invece sui rituali della vergogna abbinati alle tematiche del peccato originale. Claudia Castelluci autentica guida e maestra del tutto pionieristica nelle sue incursioni nel mondo celebrativo ritualizzato, con questo suo nuovo lavoro Murillofabbrica una antologia del modo in cui si tende la mano quando si chiede qualcosa come un’elemosina. Mentre all’opposto un altro rituale partecipativo di tipo però non sottomesso è quello proposto dalla attivista e coreografa lituana Agniete Lisickinaitecon il suo Hands up. Lo spettacolo si propone di indagare le mutazioni corporee che induce lo stato di agitazione e protesta e per esempio, dover marciare reggendo cartelli e tenendo per lungo tempo le braccia alzate, nonché comprendere anche l’aspetto emotivo di tutto questo. 

Se non proprio stiamo parlando di trance e stati alterati, comunque ci avviciniamo a terre limitrofe tra antropologia e percezione artistica anche con lo spettacolo Gimme a break di Baptiste Cazaux, che prende egualmente spunto da pratiche meditative, musica da rave e pratiche di headbanging per raggiungere un distacco emotivo dai tempi e modi del capitalismo 

Mi è in fin dei conti sembrato di capire che per questo festival, il corpo e soprattutto quello che intendiamo come corpo sociale nella sua organizzazione nello spazio, in maniera pubblica, collettiva sia per voi rito e in quanto irrelato anche dispositivo politico e di cura. Questa postura trasversale e relazionale la pensate come antidoto ad una sorta di smaterializzazione delle nostre esistenze ormai fantomatiche? 

Esiste certamente una relazione tutta particolare e inedita tra corpi sessualizzati, razzializzati colonizzati, sfruttati e dispositivi di cura collettiva attraverso le pratiche. Questo è molto evidente nel lavoro della già citata Chaillon che rintraccia un potere salvifico nelle culture femministe, ma anche il lavoro The tribe per esempio si occupa di indagare i gesti di cura e pulizia dei lavoratori e lavoratrici domestiche filippini. E se invece la nuova cura da esercitare non fosse nei confronti dei singoli esseri umani comunemente intesi ma per esempio nei confronti del paesaggio e degli esseri vegetali e animali. Del resto, animali umani e piante vengono messi orizzontalmente sullo stesso piano di cura e importanza anche nel lavoro di Marvin M’toumo, Rectum Crocodile del resto non è questo l’unico motivo di interesse considerando la provenienza dell’artista dal mondo della moda. Certamente una azione performativa che assume molteplici valenze di cura simboliche decostruendo al contempo un paradigma, è quella firmata Samuli Laine, artista finlandese che indaga le politiche di genere e convivenza inscenando l’atto dell’allattamento per una persona alla volta. Una esperienza spariglia generi e fortemente evocativa per qualsiasi adulto. Un altro modo di prenderci cura del luogo e del pubblico e non solo di trattare e rappresentare il tema genericamente è sicuramente il fatto di acquisire di volta in volta nuovi spazi come fabbriche in disuso, l’x cementificio per esempio e abitare, vivere occupare la piazza Ganganelli, che tornerà quest’anno davvero ad essere il cuore del festival stante anche che di nuovo sarà lì il punto ristoro diciamo comunitario. Mi consta a questo punto, dopo tre anni di lavoro e la prospettiva di svolgerne qui, dove infine son venuto ad abitare, altri due, di ringraziare uno staff tecnico promozionale logistico organizzativo che è semplicemente meraviglioso in un momento tanto complicato per scarsità di risorse materiali e pochi margini immaginativi. L’altro sentito grazie va a tutte le istituzioni del territorio. Poiché le nostre risorse sono finite, limitate e sempre al di sotto della nostra asticella di ispirazione e aspirazione dobbiamo davvero ringraziarle tutte. Anche grazie a loro sto espletando riconfermando ed espandendo le mie linee di mandato personali e per ora considerando la mole di lavoro e l’esiguità dei fondi direi che si fanno miracoli. 

Ultima questione direi, mi pare relativa alla gestione economica e al progetto Fondo Vorrei capire in un sistema pubblico bassa dotazione di risorse come si fa a dare spazio e spessore ad un progetto quale Fondo dedicato agli emergenti da mettere in residenza presso di voi 

Ma per fortuna per questo progetto la partnership è molto ampia e vede una felice collaborazione tra pubblico e privato e talenti da far crescere o già giunti alla meta. ma bisognosi rimanere in sella e non venire scavalcati. Per noi è importante lancio e accompagnamento di giovani artisti quale è stato per esempio il caso di Emilia Verginelli. Elena Rivoltini sound artist e regista site specific insieme a Vashish Sooba, sono gli artisti che seguiremo quest’anno. Domenica 4 luglio avremo la restituzione delle ricerche seguite per più di un anno dall’ex(ile)lab, un network di artisti rifugiati, in esilio, come pure avremo il laboratorio itinerante di giornalismo culturale seguito da Altre Velocità. Come vedi, redistribuiamo il budget su attività di durata e spessore e facciamo fronte comune tra istituti di credito, gruppi dell’energia interessati alla sostenibilità turistica culturale territoriale, temi caldi dopo le alluvioni dello scorso anno e istituzioni pubbliche locali. Puoi scrivere che questa è una comunità accogliente, curiosa, anche se radicata nelle sue tradizioni con cui si lavora benissimo e soprattutto con cui si vive benissimo a stretto contatto.  

Ci congediamo dunque momentaneamente da Santarcangelo, giusto in tempo per ricevere le ultime notizie anche sulla stagione estiva di Oratorio s Filippo Neri, che dopo la circolare periferica evidentemente ha preso gusto a uscire dal centro e quest’anno propone appuntamenti da est a ovest in due case di quartiere storiche quali villa Torchi a Corticella e villa Bernaroli in zona Panigale. Intanto dal 27 giugno, domani mentre scrivo, e mentre aspettiamo ancora per poco Brecht in Val Samoggia e le riflessioni sulle contraddizioni del cuor di Polonia, si parte in grande stile anche con le iniziative memorial su Ustica quest’anno particolarmente cospicue ed estese come sempre fino al dieci agosto. Si parte alla grande con una installazione visiva estesa e con la performance sulla memoria della giornalista e autrice Conchita de Gregorio da qualche tempo in sodalizio con Erica Mou. Infine, se tra Feste rosse, pro-giovani palestinesi, i Anpi, Camera del Lavoro e Manifesta, vi restasse un po’ di energia vi inviterei per il 12 luglio a Firenze per una nuova call di Collettivo GKN, a cui non si può non volgere la nostra attenzione, così come loro l’hanno sempre avuta per la nostra cultura. 

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