I medici e la guerra (a Gaza e non solo)

di Athos Borghi e Gianluigi Trianni /
20 Giugno 2024 /

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“La sfida palestinese all’etica medica statunitense”: questo il titolo di una corrispondenza comparsa su Lancet lo scorso 14 maggio a firma di Joelle M Abi-Rached ed Eric Reinhart. Con essa i colleghi segnalano che negli ultimi sette mesi, il mondo è stato testimone: dell’omicidio di operatori sanitari (almeno 491 dal 7 ottobre 2023), così come del loro rapimento, tortura, esecuzione e dello scarico dei loro corpi in fosse comuni; dell’uccisione di pazienti nei letti d’ospedale; del bombardamento deliberato di ospedali e cliniche (nota); della distruzione mirata di infrastrutture sanitarie e igienico sanitarie; del blocco degli aiuti umanitari e dei farmaci essenziali nel corso di una carestia storica costruita ad arte per servire come arma di guerra; dell’imposizione di condizioni concepite per essere incompatibili con la vita dei palestinesi a Gaza.

A fronte di tutto ciò in USA, l’organizzazione professionale medica più influente, giornali e lobby sono stati riluttanti a prendere qualsiasi posizione significativa contro l’annientamento sistematico delle strutture sanitarie a Gaza (con una “inattività” aggravata dal fatto che il Governo USA è fornitore di armi, risorse finanziarie e copertura diplomatica al Governo israeliano). Nella storia recente la scelta delle istituzioni mediche di rimanere in silenzio sulle atrocità commesse da governi ed eserciti, come nel caso dell’Olocausto di ebrei (e di zingari e omosessuali), ha permesso di perpetuare ingiustizie disumane e razziste, specifiche del genocidio.

I medici non sono meno vulnerabili di altri a essere coinvolti in comportamenti violenti, in ideologie nazionalistiche e nell’abuso della loro formazione e del loro potere per infliggere sofferenza piuttosto che per sostenere l’assistenza e la giustizia. Ne sono testimonianza il processo di Norimberga ai medici nazisti e, più recentemente, la partecipazione di medici ai programmi di tortura del governo USA ad Abu Ghraib. E ne è drammatica testimonianza anche la lettera di decine di medici israeliani per esortare l’esercito a «distruggere i nidi di vespe e gli ospedali che li proteggono» nella Striscia di Gaza, denunciata con fermezza lo scorso 6 novembre 2023 da Medici per i diritti umani – Israele (PHRI). Lo psichiatra F. Fanon, medico nell’Algeria colonia francese, ha segnalato che, «sebbene noi medici ci presentiamo come guaritori delle “ferite dell’umanità”, spesso invece siamo parte integrante della colonizzazione, del dominio, dello sfruttamento». Fare diversamente richiede una vigilanza costante, una autoriflessione critica sul piano istituzionale e individuale e dedizione nel mettersi dalla parte di coloro che sono più colpiti dai sistemi di potere in essere e dalla disuguaglianza. In tal senso la riluttante e debole iniziativa di opposizione alla violenza in corso contro la salute e le strutture sanitarie del popolo palestinese delle istituzioni mediche statunitensi evidenziano che le osservazioni di F. Fanon circa il potenziale di complicità con la violenza coloniale e statale dei medici rimangono più rilevanti che mai.

«Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza discriminazioni di età, di sesso, di razza, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace come in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute è intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione, cioè, di benessere fisico e psichico della persona»: questo l’art. 3 del Codice deontologico Fnomceo (“Doveri del medico”), che, anche nel caso della guerra a Gaza, così come in tutti i “teatri bellici” compreso il più vicino in Ucraina, costituisce imperativo deontologico per i medici italiani, e, naturalmente, per le loro associazioni. Si badi bene: a) non a caso l’articolo inizia con il termine “dovere”, a connotare nettamente il criterio cui deve attenersi il medico, anche in guerra, nelle sue relazioni con il “prossimo”, paziente o no che sia, e ripropone nell’ottica della funzione medica gli articoli 32 e 3 della Costituzione; b) il riferimento alla salute «come condizione di benessere fisico e psichico della persona» comporta l’attenzione e la denuncia da parte del medico anche delle condizioni di vita e lavoro del “prossimo” che, nello specifico di Gaza, sono rese impossibili dalla distruzione dell’80% degli edifici privati e del 90% di quelli pubblici, e da quella metodica di reti stradali, idriche, di telecomunicazioni ed anche delle scuole l’86% delle quali, usate anche come rifugio dagli sfollati, è stato danneggiato sì che almeno 625 mila studenti che non hanno accesso all’educazione; c) è consequenziale che i doveri deontologici del singolo medico costituiscano anche dovere deontologico delle associazioni nelle quali si aggregano per rendere più efficace la pratica delle loro attività professionali.

In Italia dall’ottobre del 2023 si sono registrate la presa di posizione del presidente FNOMCEO e quella congiunta di UEMS (Unione europea Medici Specialisti), AEMH (Associazione europea medici ospedalieri), CEOM (Consiglio europeo degli ordini dei medici) e UEMO (Unione europea dei medici di famiglia) che hanno chiesto di mettere in condizioni di sicurezza pazienti e operatori sanitari, pace e rispetto della Dichiarazione di Ginevra dell’Associazione medica mondiale. Inoltre, in un appello alla FNOMCEO del 7 febbraio 2024, Medicina Democratica assieme e alcune associazioni civili non sanitarie si sono espresse per il cessate il fuoco immediato e la possibilità di erogare assistenza sanitaria. Ma è sufficiente? È sufficiente a realizzare quella «vigilanza costante» e quella «dedizione a mettersi dalla parte di coloro che sono più colpiti dai sistemi di potere in essere e dalla disuguaglianza» che J. M Abi-Rached ed E. Reinhart richiamano? Eppure, la medicina italiana ha prodotto Gino Strada, luminoso esempio di medico dedito a soccorrere le vittime delle guerre in ogni parte del mondo, additato ad esempio globale con l’assegnazione del “Right Livelihood Award 2015”, il “premio Nobel alternativo”, del Governo svedese e che osservò: «Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare». Non è il caso di promuovere tra gli associati e verso l’opinione pubblica una intensa e diuturna campagna dell’associazionismo medico italiana per l’immediato cessate il fuoco in Palestina e in Ucraina, contro la guerra in generale e la Terza guerra mondiale in particolare alla luce del nostro Codice deontologico?

Questo articolo è stato pubblicato su Volere la luna il 12 giugno 2024

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