«Neppure la sinistra ha coltivato l’idea della libertà come libertà solidale e amicizia per l’altro, non gara per sopraffarlo. Questa è l’ispirazione irrealizzata della Costituzione. Ci vuole un nuovo antifascismo: l’antifascismo della libertà solidale». Aldo Tortorella, classe 1926, il partigiano Alessio, ex parlamentare e presidente del Pci, ex direttore dell’Unità ha attraversato da protagonista la storia d’Italia. Pensa che il lascito del 2 giugno sia la difesa della Carta che uscì dalla Costituente. Ai 78 anni della nascita della Repubblica, si accompagna l’anniversario degli 80 anni dell’Anpi, che sarà celebrato il 6 giugno in Campidoglio. Tortorella terrà la prolusione.
Lei è un testimone diretto della scelta tra monarchia e Repubblica. Dove era quei giorni?
«Ero scappato dal carcere di Milano e l’ultima parte della Resistenza mi avevano mandato a Genova. Avevo 20 anni, facevo già il giornalista. Mi chiesero di parlare in piazza della Vittoria per il Fronte della gioventù. Era una piazza sterminata e io ero terrorizzato. È stato però un momento esaltante. Fu eletta l’assemblea costituente e il risultato è stata la Costituzione: la Carta oggi è in pericolo».
Perché la ritiene a rischio?
«Perché la cultura di coloro che ci governano — e che dimenticano di essere una maggioranza della minoranza di elettori — sta attaccando i fondamentali della Repubblica, a cominciare dal potere di arbitro del capo dello Stato che viene intaccato dall’elezione diretta del presidente del Consiglio, mettendone in secondo piano la funzione di mediazione. E non solo».
Cosa altro?
«Questa maggioranza si dice sovranista, ma lo è a scartamento ridotto: vuole spezzare l’unità d’Italia conquistata con tanta fatica. Non dimentichiamo che al Nord, dove era evidente che i fascisti erano servi dei nazisti e avevano praticato delitti orribili, aveva vinto la Repubblica al referendum, ma in quella meridionale la monarchia. Mettere oggi a rischio l’unità dell’Italia, come denunciano alcune Regioni del Sud, indica la doppiezza della destra».
Questa destra è revisionista?
«Revisionista non è il termine adatto. È una cultura che si rifà a interpretazioni storiche distorte. Meloni ad esempio, ha dichiarato che nella strage delle Ardeatine sono stati uccisi degli italiani. Ma sono stati assassinati uomini della Resistenza, ebrei, non genericamente italiani. Di Matteotti ha detto che fu ammazzato da squadristi fascisti, va completato il concetto: protetti da Mussolini».
L’Anpi, di cui è tra i presidenti onorari, compie 80 anni. È sempre attuale il suo compito?
«Si. Nel Nord c’era ancora la guerra quando venne fondata e fu uno dei modi per legittimare la lotta partigiana. Poi nacquero altre associazioni, nobilissime tutte, ma l’Anpi resta a difendere una memoria storica senza essere un gruppo di reduci che vantano le loro glorie passate. A ogni svolta decisiva ha saputo indicare la bussola. All’Anpi ci sono le nuove generazioni, 140 mila iscritti che portano avanti i valori della democrazia e della libertà».
Ora c’è il candidato leghista Vannacci che evoca la decima Mas: è ignoranza?
«Non è ignoranza, è l’eredità di una cultura para fascista. Si parla di ripresa dell’anti semitismo e di odio verso l’ebreo, il nero, il diverso sessualmente. Pessimi sentimenti ancestrali, solleticati da coloro che li vogliono sfruttare a fini di consenso».
Ci vuole un nuovo antifascismo?
«Un antifascismo della libertà solidale e della pace. E tra i motivi di pericolo ci sono conflitti orribili e il timore di una guerra in Europa».
Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica il 3 giugno 2024