A colloquio con Maria Inácia Rezola, la storica che coordina le celebrazioni del cinquantenario e autrice di un libro in cui racconta quei primi anni della rinascita di un Paese alla libertà
C’è un altro 25 aprile ed è quello del Portogallo, che compie cinquant’anni. Il 25 aprile 1974 la dittatura che opprimeva il Portogallo da quasi cinquant’anni venne infatti abbattuta con un’azione fulminea condotta da reparti militari. L’insurrezione si convertì in rivoluzione di popolo e venne così innescato un processo di trasformazione durato alcuni anni, con la fine dell’impero coloniale, la riconquista di uno spazio politico dei partiti, l’emergere di movimenti di massa nelle città e nelle campagne. Fu un periodo di transizione che permise al Portogallo di emanciparsi da un passato autoritario e diventare una moderna democrazia. A raccontare il rovesciamento di una delle più lunghe dittature dell’Europa contemporanea è Maria Inácia Rezola, comissária executiva, nominata dal governo del Portogallo, per le attività di divulgazione e l’organizzazione di eventi nell’ambito delle celebrazioni sul cinquantenario della rivoluzione portoghese. La ricostruzione di quei fatti la racconta in La Rivoluzione dei Garofani in Portogallo – 25 Aprile 1974 (Mimesis, pagine 282, euro 22,00 a cura di Francesco Ambrosini), dove porta il lettore a conoscere cosa è avvenuto dopo quella giornata storica attraverso testimonianze, documenti, mezzi d’informazione, facendo emergere dinamiche politiche e sociali che hanno poi caratterizzato il percorso rivoluzionario. La dittatura si trascinava dal maggio 1926 e come scrive Rezola nell’introduzione, «ora si può dire che i portoghesi hanno vissuto in libertà più tempo di quanto ne abbiano trascorso in regime antidemocratico». Abbiamo intervistato Rezola, che sarà in Italia il 12 maggio per il “Salone Off”, in collaborazione con Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, al Polo del ‘900. Le abbiamo chiesto un bilancio di questi cinquant’anni, ma soprattutto il valore della democrazia oggi, in una società che troppo spesso, ancora in molti Paesi, la dà per scontata.
Come è nato questo libro?
«È nato dall’idea di portare la storia della rivoluzione a un pubblico ampio, desideroso di saperne di più sul Portogallo del 1974-1975 e sulla nascita della democrazia portoghese. Si basa su studi strettamente accademici, come la mia tesi di dottorato su un’organizzazione politico-militare tipica del periodo in questione: il Consiglio della rivoluzione. Il libro ha beneficiato anche di altri studi che ho condotto, in particolare una fotobiografia sul generale António de Spínola, il primo presidente della Repubblica dopo il 25 aprile 1974, e una biografia politica su Melo Antunes, l’ideologo del Movimento delle Forze armate. L’idea era quella di scrivere, sulla base di queste ricerche precedenti, un libro di facile lettura che permettesse a qualsiasi lettore non specialista di conoscere la rivoluzione portoghese».
A cinquant’anni dal 25 aprile 1974, qual è il bilancio del rovesciamento della dittatura in Portogallo?
«A tutti i livelli, il 25 aprile ha rappresentato una rottura con il passato, la conquista della libertà e la possibilità per un Paese che aveva vissuto 48 anni sotto la dittatura di iniziare a costruire la propria democrazia. La libertà è probabilmente la prima e più duratura conquista daprile. Ha cominciato a essere conquistata il 25 aprile stesso, quando il popolo è sceso in piazza per unirsi ai militari ribelli e quando igiornali hanno deciso di non inviare le prove dei documenti alla censura. Poi, progressivamente, sono state ottenute altre vittorie. Il salario minimo nazionale è stato realizzato un mese dopo il rovesciamento della dittatura, il che è sorprendente. E così, progressivamente, il Paese povero, analfabeta, arretrato, fanalino di coda dell’Europa e ostracizzato dall’intera comunità internazionale (a causa della guerra coloniale), iniziò a costruire la sua democrazia e il percorso di sviluppo che gli permise di entrare nell’Unione europea (allora chiamata Comunità economica europea) nel 1986. È stato un lungo percorso che ha portato alla conquista della libertà e della democrazia».
Il 25 aprile è anche l’anniversario della liberazione dell’Italia. Può fare un parallelismo tra queste due date?
«Ci sono molti parallelismi. Possiamo addirittura dire che il 25 aprile 1974 ha lo stesso significato del 25 aprile 1945 in Italia. È stato un momento di liberazione, la fine di una dittatura per entrambi i Paesi. Dopo 48 anni di dittatura, mancanza di libertà, oppressione e violenza, il 25 aprile 1974 dà la sensazione che il Portogallo stia cercando di recuperare due epoche storiche che aveva perso: il 1948 e il 1968».
Un movimento come quello che ha avuto luogo in Portogallo può essere di ispirazione per Paesi che oggi non vivono in democrazia?
«Sarebbe pretenzioso dire di sì, ma credo sia interessante vedere come il Portogallo ha costruito la sua democrazia, con tutti i suoi errori e le sue virtù».
Quanto è importante salvaguardare la democrazia oggi?
«Winston Churchill una volta disse che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre”. La frase è stata citata così tante volte che ha perso originalità, ma è ancora una delle migliori da usare quando si difendono le virtù – e quando si riflette sulla loro mancanza – dei sistemi politici occidentali. Mi identifico solo con un sistema democratico e credo che la democrazia sia la base per una società migliore, più prospera, più giusta e partecipativa. Ma più che un concetto, la democrazia è una pratica, molto impegnativa. Ecco perché dobbiamo essere attenti ai pericoli che la minacciano. Non può mai essere data per scontata».
Questo articolo è stato pubblicato su L’Avvenire il 24 aprile 2024