È stata una domenica illuminante e non solo perché alle ore 16 il collettivo della ex GKN/GFF bloccava i lavori del 2° festival di letteratura working class e con comunicato satirico, ben recitato da Dario Salvetti, ha dato la notizia dell’avvio energetico nello spazio antistante la fabbrica chiusa ormai da tre anni. Grande applauso, non solo consolatorio, dopo la comunicazione contemporanea dell’atto di chiusura e del controllo che hanno messo in atto, dopo la chiusura della centrale ENEL, e si continua a subire da parte di questo presidio, costituzionalmente legittimo. Applauso al lavoro competente degli operai che hanno costruito in poco tempo il nuovo impianto ed alla solidarietà del sindacato tedesco che ha inviato i pannelli solari: in pochi giorni si è potuta riavviare l’energia elettrica al bar del presidio. Il notevole sforzo che questi 150 operai (tale è il numero dei r-esistenti rimasti a presidiare dai 422 iniziali – ma non è detto che non ci siano fra gli odierni volontari – e a progettare per il futuro) sta continuando; oggi si illumina d’immenso, certo di un’intensità energetica nuova, non inquinata. Come non inquinato da logiche individualistiche, liberiste, di finanzcapitalismo come scrisse “l’olivettiano” Luciano Gallino, è questo festival che “spiazza il mainstreaming italiano attuale” e come ha ricordato Salvatore Cannavò riprendendo un pensiero di Raniero La Valle sulla guerra: “il capitalismo forse si vergognerebbe, perché qui si nega l’esistenza di questa classe operaia”. Certamente lo fanno i cittadini che credono nella Costituzione e nei suoi valori: diritto e dignità del lavoro in primis. Il presidio permanente dimostra che esiste ancora la classe lavoratrice, pur se si sta confondendo sempre più con una classe inferiore, di schiavi, di precari. Quando chi lavora percepisce un salario che lo fa essere povero, alla stregua di chi non produce, forse non c’è più neppure il capitalismo. Certamente non c’è più produttività, infatti emerge una finanza senza regole alla quale non interessa produrre faticare, ma solo spingere tasti a tutte le ore del giorno spostando soldi sempre più fittizi, che si fa i suoi diritti, i suoi privilegi e non si sottomette ai doveri di nessuna comunità territoriale.
In questo festival in cui si mettono assieme letteratura e lavoro, cioè la cultura operaia e non solo, si riprendono le linee di sviluppo italiano; sono anche quelle di un capitalismo che pensava ed operava, assieme agli operai, per elevare la qualità, e la dignità del lavoro, non a schiavizzarlo. Tutto era rivolto alla visione di futuro migliore per tutti, ma partendo da maestranze sempre più competenti e coinvolte.
Un numero importante del festival, i 200 volontari, fra i quali molti giovani; tutti con una bandiera unica: far emergere la cultura in fabbrica, ma anche fuori dalla fabbrica, delle classi lavoratrici che oggi fra l’altro sono ormai le uniche certe di pagare le tasse quindi di far andare avanti questo disastrato paese. Poi c’è l’aiuto dei 400 sottoscrittori in crowdfunding dello scorso anno, ai quali se ne sono aggiunti quest’anno altri 100; questo numero sta permettendo di continuare, dopo 1004 giorni di presidio, a sognare per continuare a progettare un piano industriale che è già futuro e sarà vincente, ma che ha bisogno oggi anche delle istituzioni, locali, nazionali, e per me anche europee. Per questo oggi il collettivo fa la proposta di legge regionale che dovrebbe trovare maggiore ed immediato ascolto. Per ora la politica si muove ancora poco.
Gli altri numeri di questo festival: 50 relatori e relatrici provenienti da 8 paesi del mondo (apprezzato per esempio il focus sulla poesia cinese del mondo del lavoro); 5000 i partecipanti nei tre giorni; 2500 i libri venduti. Presidio e festival che, nonostante il pochissimo interesse delle istituzioni, prosegue e dimostra idee molto più chiare e innovative della maggior parte degli industriali italiani. Un presidio di lavoratori che fin da subito ha voluto mettere in atto l’art. 43 della Costituzione italiana, sul modello di altre fabbriche chiuse da proprietà rapinatrici delle risorse strumentali, oltre che di quelle umane italiane, sfruttate finché i conti finanziari lo permettevano. Un esempio è la RiMaflow a Milano. Così si è depauperata molta parte del tessuto industriale italiano; è stato permesso da una politica istituzionale, a tutti i livelli, incapace di farsi potere per difendere la produttività e la qualità/dignità del lavoro italiano.
Assoggettarsi a questi rapinatori che calpestano i diritti contrattuali del lavoro e i doveri inderogabili (art. 2 Cost.) di solidarietà economica che si attua con l’art. 53 (progressività, ma anche certezza direi oggi, del carico fiscale per “…concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva…”) è certamente più facile quando si è eletti con leggi elettorali che permettono di sedersi senza dimostrare le proprie competenze ed integrità morali per fare quelle scelte politiche che fra l’altro dovrebbero culminare nella “disciplina e onore” (art. 54 Cost.). Il presidio permanente di questo collettivo alla GKN ci fa sperare che l’art. 43 Cost. possa prendere forma in modo più facile e in un momento in cui l’Italia ha sperperato tutte le sue competenze lavorative date in pasto spesso a corruttori, comunque al finanzcapitalismo. Oggi il paese fa fatica a sostenere di essere ancora quella grande potenza che i vari G7 o G20 vogliono farci credere e sempre che sia questa la classificazione da accettare per il futuro del mondo!
Esserlo solo perché si è al centro dell’ex Mare Nostrum e perché si facilita l’esportazione di armi (Ilaria Alpi docet?) su richiesta di altri e non dei cittadini italiani, dà pienamente il significato del bluff che stiamo portando avanti; come sudditi lo accettiamo anche quando non andiamo più a votare. Cosa ci riserverà il nostro futuro? Unica speranza e sogno che r-esistano il collettivo GKN ed altri presidi simili. Qui c’è un’altra luce, anche più creativa: l’immaginazione al potere?
Così spero che lo spazio avuto per il festival, parcheggio area antistante la fabbrica chiusa, che è di fronte al centro commerciale “I gigli” di Campi Bisenzio significhi andare oltre l’utopia, così da proletarizzare un non-luogo nel futuro. Chissà se potrà essere occupato per farlo diventare un luogo, magari quando i bilanci in rosso dei tanti ipermercati italiani faranno capire, assieme alla magistratura, anche l’altra faccia nascosta della medaglia: in molti territori italiani costruzioni ed investimenti sono voluti per facilitare riciclaggi di danaro.
Art. 43 Cost. “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.