Nel corso della sua attività di governo, la destra ex missina si è caratterizzata per una velocissima trasformazione valoriale e programmatica. Vale la pena, dunque, riepilogare le principali tappe di tale percorso che possiamo sicuramente definire di “trasformismo politico”, sia nel senso che di questa caratteristica storica della politica italiana hanno fornito alcuni studiosi, cioè di una propensione delle forze estreme alla rapida conversione verso posizioni di centro una volta occupato il governo, sia nella versione “etica” che tradizionalmente si è data a questo termine, cioè di una inclinazione al rapido compromesso con le posizioni che prima venivano combattute con veemenza allo scopo di legittimarsi verso ampi strati sociali e rassicurarli nella continuità della difesa dei loro interessi.
Il modo in cui viene trattato il tema delle tasse (come “pizzo di Stato” nella versione meridionale e come impedimento alla crescita delle imprese nella versione settentrionale) rappresenta sicuramente il passaggio più significativo tra una destra statalista (lo Stato e i suoi interessi prima di ogni altra cosa) a una destra lassista (le tasse come nemiche delle forze produttive). E così nel giro di poco meno di un anno e mezzo abbiamo assistito prima al passaggio da una destra autodefinitasi “sociale” a una destra asociale, che considera la povertà una scelta individuale trattando questa condizione umana con sufficienza e a volte con cinismo e scherno; poi al passaggio da una destra patriottica a una destra “spaccanazione”, con l’allineamento alle posizione della Lega sulla concessioni di poteri speciali alle Regioni attraverso l’approvazione alla Camera della cosiddetta Autonomia differenziata; infine, al passaggio da destra istituzionale schierata a difesa delle forze di sicurezza e dei rappresentanti della giustizia a destra vendicativa verso i magistrati, compresi quelli che si occupano di antimafia. Sui temi della giustizia e delle tasse, in particolare, l’evoluzione meloniana sembra sempre più avvicinarsi alla versione berlusconiana del trasformismo italiano, cioè quello che porta al paradosso di rappresentanti delle istituzioni di governo in polemica permanente con alcune delle funzioni più delicate dello Stato, cioè l’amministrazione della giustizia e la riscossione delle tasse.
È secondario stabilire se le decisioni ultime annunciate da Giorgia Meloni in materia fiscale siano da considerare condoni, semi-condoni o aspettative di condoni. Sta di fatto che dal punto di vista della funzione di deterrenza la quantità assolutamente straordinaria di atti del genere nella storia italiana «ha provocato esiti di generale indebolimento della capacità orientativa dell’ordinamento penale» e sicuramente ha fatto perdere valore dissuasivo alle pene previste per i reati per i quali si era amnistiati. E a questo riguardo è sempre utile ricordare la differenza tra grazia (che si rivolge a un singolo autore di un reato grave che per ragionevoli motivazioni diventa oggetto di clemenza) dal condono che si rivolge a tutti coloro che non hanno ottemperato ai loro obblighi di cittadini e di contribuenti. Le “grazie” non incidono sul senso dello Stato, anzi a loro modo se ben motivate lo rafforzano (uno Stato serio è in grado di usare la clemenza senza inficiarne la forza) mentre i condoni fanno percepire un’idea di debolezza dello Stato.
Si è calcolato che dall’Unità d’Italia a oggi ci sono stati più di 80 provvedimenti di condoni e sanatorie da parte di vari governi. Ma è nel 1973 che con il governo Rumor viene introdotto per la prima volta in Italia il condono nel campo fiscale. Nel 1982 viene varato un secondo condono fiscale dal governo Spadolini. Il terzo nel 1991 con il governo Andreotti. Nel 1995 c’è la prima accoppiata condono edilizio e fiscale, con il governo Dini, anche se il primo condono edilizio lo vara nel 1984 il governo Craxi. Nel nuovo secolo si comincia (2003) con un condono fiscale ed edilizio a opera del governo Berlusconi, a cui poi (sempre con Berlusconi) si aggiunge lo scudo fiscale nel 2009, la possibilità, cioè, in cambio di una sanzione pecuniaria di riportare i capitali esportati all’estero. Poi ci sarà il governo Renzi a decidere la rottamazione delle cartelle esattoriali e una nuova sanatoria dei capitali esteri. Le conseguenze sono state gravissime: si va dalla riduzione del gettito fiscale (perché l’aspettativa di nuovi condoni provoca una infedeltà fiscale “preventiva”) alla perdita di fiducia da parte dei contribuenti onesti, dall’effetto diseducativo alle distorsioni della concorrenza tra imprese. Certo, con i condoni lo Stato ha incassato risorse in periodi di difficoltà di bilancio, ma uno Stato che si finanzia con i proventi delle trasgressioni alle sue leggi non è degno di rispetto da parte dei cittadini. Non ci sarebbero state più risorse e minori lesioni dei principi di giustizia e di legalità se lo Stato si fosse impegnato seriamente a impedire queste trasgressioni?
C’entra tutto ciò con il basso senso dello Stato che caratterizza gli italiani? Certo che sì, lo ha dimostrato Corrado Augias su questo giornale. Chi viola la legge rischia poco o nulla in maniera fiscale. Lo Stato minaccia sanzioni severissime, sulla carta, ma poi si schiera sempre dalla parte dei disonesti. Dovrebbe essere questo un tema e una preoccupazione identitaria della destra e invece sta sfumando anche questa sua identità storica. “I condoni sono l’altra faccia dell’illegalità di massa», ha osservato Alberto Vannucci che ha scritto a proposito considerazioni ineccepibili: «Cancellare le sanzioni ai colpevoli è il contrario della deterrenza: è un incentivo perverso a violare la legge che ha effetti contagiosi sull’intera cittadinanza.”
Infatti, secondo il premio Nobel Gary Becker (1992), le persone agiscono nel campo economico dopo aver calcolato costi e benefici delle proprie azioni, compresi quelli penali. Gli uomini sono, cioè, “esseri economici razionali” e prima di compiere un atto fuori dalle leggi fanno una valutazione attenta della sua utilità. Se l’utilità economica è superiore al costo di essere scoperti e sanzionati, la scelta sarà orientata sempre verso quella più vantaggiosa. Quindi le sanzioni sono sacrosante per evitare che la logica del profitto e dell’interesse individuali sopravanzi qualsiasi considerazione del bene pubblico. Lo Stato serve proprio a questo: a ricordare che c’è un limite agli interessi privati superato il quale esso si riduce a «un povero gigante scoronato», per parafrasare le parole di Giuseppe Capograssi.
Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica il 15 marzo 2024