La strage dell’ex Panificio militare, nella quale sono morti quattro operai, uno disperso, tre feriti gravi, è l’ultimo tassello di una vicenda di cementificazione e di urbanistica à la carte, avviata nei primi Duemila. Nella quale Renzi sindaco ha avuto un ruolo di primo piano.
Nel 2004, l’ex Panificio militare (costruito negli anni Venti), dal Demanio passa ai privati. I nuovi acquirenti spadroneggiano in città: BTP-Baldassini Tognozzi Pontello, la cui ingordigia speculativa si spengerà in crisi di liquidità, fallimenti e vicende giudiziarie. Sui 16.300 mq dell’ex Panificio, situati nella prima periferia a nord-ovest, il Comune non esercita il diritto di prelazione, rinunciando – per sempre – a farne un’area pubblica in un quartiere tra i più densamente abitati, con strutturale mancanza di verde. In difformità dal Piano Regolatore, che vi prevedeva residenze e spazi pubblici, la proprietà presenta un progetto firmato dall’archistar di turno, Rafael Moneo: una “nuova centralità urbana” con 240 appartamenti, negozi, un auditorium, un parcheggio interrato da 480 posti, e una torre di 45 metri alla cui sommità sta la sala del Consiglio di Quartiere.
Contro il progetto BTP si schierano comitati e associazioni che ne richiedono la trasformazione in area a verde pubblico con strutture sociali negli edifici militari recuperati, di un certo pregio architettonico riconosciuto dallo stesso PRG 1993, da Italia Nostra e Docomomo.
Nel 2005 l’operazione speculativa è bloccata grazie alle pressioni dal basso e ai consiglieri comunali che si confrontano con l’assessore in un consiglio di quartiere infuocato. Con gioia, i protagonisti della vertenza vedono finalmente riconosciuto il loro diritto di pianificare lo spazio urbano. Ma, nel 2011, si assiste a una giravolta: l’annientamento delle previsioni urbanistiche che porterà alla costruzione dell’ennesimo supermercato. Così, nel vuoto pianificatorio, vincono cementificazione e rendita.
A ridosso infatti dell’approvazione del nuovo Piano Strutturale (giugno 2011) definito mendacemente “a volumi zero”, il sindaco Renzi cambia le carte in tavola. Un artificio da vecchia DC, che combina un articolo delle norme di salvaguardia del PRG in scadenza a un provvedimento dirigenziale del sindaco, avvia una Variante al PRG dagli effetti dirompenti: su 20 grandi “aree di trasformazione” – tra cui l’ex Panificio– è consentito il cambio di destinazione d’uso. È una panacea per proprietà fondiarie e mercato immobiliare, che apre le porte all’Invest in Florence (2014), la campagna di vendite immobiliari del delfino e successore di Renzi, Dario Nardella.
I 20 grandi complessi edilizi in Variante avrebbero invece rappresentato le uniche possibili occasioni di un organico recupero urbano. Eppure, sono convogliate a soddisfare i desideri di profitto.
La società Esselunga entra in gioco nel 2013, acquistando l’area al centro di controversie legali tra le proprietà succedutesi nel decennio. Il progetto immobiliare è approvato nel maggio 2019, e nell’estate 2021 cominciano i lavori di demolizione e di costruzione degli 8.000 mq di supermercato, del parcheggio interrato a due piani da più di 500 posti e del giardinetto privato ad uso pubblico. I lavori edili sono subappaltati a trenta aziende.
Quanto è avvenuto il 16 febbraio scorso è noto. Crolla una parte della struttura in cemento armato travolgendo i lavoratori. L’azienda committente – La Villata spa, immobiliare partecipata al 100% da Esselunga – e la ditta appaltatrice sono le stesse del cantiere di San Benigno a Genova che, solo un anno fa, coinvolse alcuni operai in due gravi incidenti di cantiere.
Un filo lega la mala urbanistica concepita a pro dei grandi capitali, l’accelerazione dei tempi di costruzione dei grandi immobili speculativi, l’assenza di controlli sui cantieri, il sistema di appalti, subappalti e conto terzi. Un filo che dalla speculazione sulle aree urbane porta alla cancellazione dei diritti dei lavoratori e al manifestarsi di nuove forme di caporalato.
Questo articolo è stato pubblicato il 19 febbraio 2023 su Il Fatto Quotidiano