Alla vigilia dell’udienza presso le Corti londinesi prevista il prossimo 20 febbraio, decisiva per le sorti del fondatore di WikiLeaks, si susseguono atti emblematici di varie municipalità.
Il comune di Bari ha concluso l’iter formale, come già hanno fatto le città di Reggio Emilia, Napoli, Vicovaro e numerose altre in dirittura di arrivo.
La notizia attesa, dopo qualche difficoltà intervenuta, riguardava le sorti della procedura capitolina. Si è arrivati a Roma, infatti, all’ultimo atto del percorso, dopo la mozione votata lo scorso 17 ottobre che chiedeva al Sindaco di attribuire il riconoscimento di civis romanus al giornalista di origine australiana e dopo il consenso pressoché unanime in seno alla commissione per Roma Capitale sulla delibera operativa.
Quest’ultima ha bisogno del varo definitivo dell’aula Giulio Cesare. Finalmente, la riunione dei capigruppo tenutasi nel pomeriggio di ieri ha deciso l’iscrizione all’ordine del giorno del provvedimento a partire dal prossimo martedì 13 febbraio.
Del resto, da più parti è arrivato il sostegno a colui che fu dipinto da un gruppo di Stati organizzati dagli Stati Uniti (con Gran Bretagna, Svezia e dal cambio della guardia in Ecuador) come il nemico pubblico numero uno.
La colpa era ed è quella di avere messo il naso negli arcani dei poteri e delle guerre. Non per caso, dopo la presa di posizione del predecessore Nils Melzer (argomentata in un efficacissimo libro del 2023), l’attuale relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura Alice J. Edwards si è espressa duramente sui rischi di un’eventuale estradizione oltre oceano.
Potremmo citare la ventina di sindacati dei giornalisti europei, compreso quello del Regno Unito, che hanno scelto di difendere Assange come espressione dell’esercizio autentico del diritto di cronaca. E ricordiamo la consegna da parte dell’Ordine professionale italiano della tessera al padre John Shipton affinché la facesse pervenire al figlio.
Su tutto questo si è tenuta una riuscita conferenza stampa ospitata proprio dal Presidente Carlo Bartoli e dalla segretaria nazionale Paola Spadari, presso la sede dell’organizzazione.
Hanno preso la parola -dopo il saluto dell’ospite- Tina Marinari per Amnesty International, Giuseppe Giulietti per l’associazione Articolo21, Clara Habte della Rete NoBavaglio, l’ex direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, il giornalista ex Sole 24Ore e ora collaboratore de il manifesto Alberto Negri, per la federazione della stampa Vittorio Di Trapani, l’ex diplomatico -lo Schindler di Cile e Argentina- Enrico Calamai, con un messaggio video il parlamentare europeo Massimiliano Smeriglio, con una lettera la deputata Stefania Ascari, illustrando una petizione al Quirinale il rappresentante di «Sardegna Pulita» Angelo Cremone.
Riccardo Iacona ha svolto un discorso di grande valore civile, anticipando la puntata di Presa diretta del prossimo 19 febbraio.
Stefania Maurizi, autrice del volume fondamentale sulla materia (Il potere segreto, 2021, ora tradotto in inglese e in francese), ha tratteggiato con puntualità la situazione e il rischio concreto per Assange di vedersi trasferire in un tribunale della Virginia dove un verdetto già scritto lo condannerebbe a finire la vita in un penitenziario di massima sicurezza.
Ha concluso i lavori, riassumendo il calendario delle iniziative in vista del day X, Marianela Diaz di FreeAssange Italia.
Non vi è stato finora alcun processo di merito e le accuse si fondano su una legge del 1917 (Espionage Act), rispolverata dopo la condanna a morte dei coniugi Rosenberg in epoca di maccartismo.
Insomma, è una persecuzione: neppure il primo emendamento della Costituzione nordamericana è stato accettato come scudo per la difesa, come al contrario avvenne con i Pentagon Papers (pubblicati dal Washington Post grazie all’analista militare Daniel Ellsberg, recentemente scomparso) all’epoca della guerra del Vietnam.
Serve il risveglio dell’opinione pubblica democratica, il contropotere più insidioso per coloro che governano a dispetto dei santi, secondo i riti consolidati degli apparati bellici.
Chissà che avrebbe rivelato WikiLeaks sull’Ucraina e su Gaza: ma il bavaglio incombe su chi rompe pensieri unici e omologazione.
Si vuole dare un avvertimento all’universo dell’informazione: chi non sta al gioco, paga.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 9 febbraio 2024