La categoria di memoria richiede alcune brevi precisazioni preliminari. Intanto testimonianza e storia (v.) vanno distinte. La testimonianza che sia personale o collettiva, orale o scritta (o su altro supporto) è certamente più puntuale e legata all’esperienza in prima persona, la storia è invece ricostruzione di fatti e vicende visti in prospettiva, nel tempo lungo, nelle loro cause e implicazioni. Quanto alla memoria essa è senza dubbio fatto personale, ma raggiunge il suo valore più autentico quando, integrandosi con i canoni e l’universalità del discorso storico, diviene più generale patrimonio collettivo, di una società e di un’epoca.
Particolarmente nel caso della Shoah (v. antisemitismo) è bene che i tre livelli della testimonianza, della storia e della memoria, pur senza confondersi, si incontrino e completino a vicenda. Proprio l’unicità infatti dello sterminio sistematico del popolo ebraico (e di altre minoranze sociali e politiche) perpetrato in Europa dai nazisti, quasi impone l’esigenza di dar luogo a un discorso al tempo stesso diffuso e intelligibile a tutti, ma anche serio, informato, credibile.
Se, come dissero Elie Wiesel e molti altri internati, solo chi visse quell’inferno può davvero realizzare che cosa fosse, proprio questo rende tanto più preziosa la testimonianza dei sopravvissuti, il loro racconto di fatti, persone, circostanze, tutti elementi che assumono una collocazione eminente nel discorso storico scientifico e di conseguenza nella formazione della coscienza civile. I testimoni hanno infatti la credibilità per provare a dire l’indicibile e questo appunto in ragione dell’autorevolezza che viene loro dall’esperienza diretta, dall’essere prova vivente di quanto pare impossibile a dirsi e spiegarsi. Di qui il dovere inderogabile per loro di ricordare, educare, fare opinione, ma poi anche denunciare falsificazioni, conferire documenti, fornire prove.
Certo resterà sempre uno scarto fra la parola e la realtà, fra il dire e l’indicibile, uno scarto che forse neanche l’esperienza diretta potrà mai colmare, in special modo per il tempo in cui testimoni non ve ne saranno più. E se pure questo è un problema di tutte le epoche storiche, l’unicità della Shoah rende ancora più necessario che oggi funzioni un sistema integrato della memoria fatto di scuola, università, formazione, centri di ricerca, mezzi di comunicazione, famiglie, società nel suo insieme.
Come ha scritto Primo Levi nell’Appendice a Se questo è un uomo: «forse, quanto è avvenuto non si può comprendere, anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare» (1976, p. 197). Intendeva dire che ‘comprendere’ significa alla lettera prendere sotto un unico sguardo, circoscrivere, forse anche limitare, sicché poi il passaggio alla semplificazione, alla banalizzazione, se non addirittura alla negazione può essere breve. Per questo Levi aggiungeva: «se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate» (p. 198). Dunque non mai ‘comprensione’, ma sempre ‘conoscenza’, come pratica ed esperienza diffusa, partecipata, potrebbe dirsi religione civile.
Il tema della memoria si inserisce allora nel modo più proficuo proprio a quest’altezza, della formazione di una conoscenza quanto più possibile approfondita e condivisa. In quest’accezione la memoria riesce al meglio a valere come quella qualità peculiare del genere umano che funge da fattore di crescita, integratore di diverse sensibilità, culture e religioni; magistra vitae nel senso più autentico di bene comune di un’intera collettività.
Per concludere si può dire che specialmente in tempi come i nostri, a fronte di un’opinione pubblica (v.) tanto estesa quanto sfuggente, oggetto di flussi di informazioni spesso incontrollabili e per i più inverificabili, un sistema della memoria aperto e condiviso può costituire un decisivo fattore di crescita culturale e morale, elemento irrinunciabile di una coscienza civile quanto più possibile avvertita, informata, democratica.
Questo articolo è stato pubblicato da Treccani il 27 gennaio 2024