Tot capita, tot sententiae, dicevano gli antichi, ed è una saggezza che ancora vale. Ma nessuno avrebbe pensato di tradurla nel senso che in un esecutivo di coalizione ci siano tanti indirizzi di governo quanti ministri. Invece accade. Lo dimostra l’intervista di Calderoli a Repubblica di ieri sulle cose da fare, e in specie riforme e autonomia differenziata.
La calura agostana è stata allietata dalle parole di Giorgetti, di Fitto, di Giorgia Meloni, sulla scarsezza delle risorse disponibili, sul difficile scenario legato al ritorno – con o senza modifiche – del patto di stabilità, sulla necessità di contenere le pretese e di cadenzare gli oneri per la finanza pubblica sull’arco della legislatura. L’intento di mostrarsi responsabili e di rassicurare i mercati e l’Europa è evidente. Maratoneti, e non centometristi, reclama Giorgetti. Ma Calderoli mantiene lo sprint.
IL MINISTRO RIPETE molti dei luoghi comuni del bestiario autonomista, tra cui il primo è l’assunto, indimostrato e indimostrabile, che l’autonomia differenziata conviene anche al Sud. Ribadisce che l’autonomia (rectius: il suo disegno di legge AS 615) sarà legge entro l’inizio del 2024, anche se l’iter parlamentare rimane ancora in larga parte da percorrere, mentre la sessione di bilancio è alle porte.
Quanto alle risorse, si troveranno, prima o poi, in un modo o nell’altro, per tutto e per tutti. Persino per i livelli essenziali delle prestazioni (Lep), anche se ormai sul punto con un ciclo economico debole e una inflazione alta anche le ultime illusioni si sono dissolte, e i rischi per il bilancio e la finanza pubblica prima ancora che per i diritti sono stati autorevolmente e indiscutibilmente certificati. Nell’insieme, un dejà vu. Ma qualche sottolineatura è utile.
Ad esempio, quando il ministro afferma, sullo snodo essenziale dei Lep, che potrebbero persino portare a una riduzione della spesa, e, in caso contrario, si provvederebbe con la legge di bilancio. Questo perché «nessuno li ha mai definiti, quindi nessuno è in grado di quantificarne il costo».
È UN QUADRO CHE dà pieno avallo ai critici dell’autonomia differenziata, da Bankitalia all’Istat, dall’Ufficio parlamentare di bilancio alla Svimez. Un quadro segnato da una totale incertezza, in cui tra l’altro proprio non si vede come la riforma possa – così dice il Ministro – consentire «una verifica euro per euro dell’uso delle risorse».
Un quadro di insuperabile fragilità. Tuttavia, è proprio in tale quadro che il ministro definisce l’autonomia differenziata «la riforma delle riforme, perché cambia l’assetto istituzionale del Paese». E dice il vero. Quell’assetto ne sarebbe modificato, irreversibilmente e al di fuori di qualsiasi revisione formale della Costituzione. Tanto da svuotare in larga misura l’altro filone di riforma che agita la destra di governo.
Cosa rimarrebbe infatti del premierato forte da ultimo auspicato se Palazzo Chigi subisse un salasso di poteri e risorse? Tale è l’esito inevitabile del disegno di Zaia & Co. Un disegno per nulla smentito dalla citazione nell’intervista a Calderoli di un sub-emendamento a seconda firma Gelmini, volto ad elencare le materie Lep (che sarebbero 15 su 23).
L’USCITA della Gelmini non ci sorprende, vista la sua antica partecipazione, se non ricordiamo male, alla delegazione trattante per l’autonomia della regione Lombardia. Ma ribadiamo ancora una volta che i Lep nulla dicono in principio sull’architettura istituzionale, e sul mantenimento in capo alle istituzioni centrali dei poteri necessari per le politiche nazionali di sviluppo di tutto il paese, di riduzione dei divari territoriali, di eguaglianza dei diritti.
È una consapevolezza che traspare anche a destra, come dimostra ad esempio il governatore della Basilicata Bardi. Sul Giornale del 27 agosto consente all’autonomia differenziata, ma solo se viene prima ridotto il gap, in specie infrastrutturale, Nord-Sud.
Una linea ben diversa rispetto a quella del bellicoso Zaia agostano, che nella festa della Lega Romagna lascia intendere e poi subito smentisce che un fallimento sull’autonomia metterebbe a rischio lo stesso governo (Corriere del Veneto e altri quotidiani del 2 agosto). Altre esternazioni seguono sulla linea dell’autonomia senza se e senza ma.
È CHIARO L’INTENTO di portare nelle competizioni elettorali che si avvicinano un risultato utile a contrastare la crescita di Fratelli d’Italia nelle terre della Lega sindacato del Nord, che vuole riconquistare l’egemonia.
Captiamo bene la voglia leghista di portare un alito di vento nella propria bandiera. Ma si può per questo passare dai 5000 metri di Giorgetti ai 100 di Calderoli?
NONOSTANTE TUTTO, un punto dell’intervista del ministro fa ben sperare, laddove dice che fatte autonomia, federalismo fiscale e premierato «me ne vado sul mio trattore in campagna, dove ho trascorso l’estate a raccogliere nocciole». Con immutata simpatia, chiediamo: ministro, perché rimandare? Vada subito. Il trattore e le nocciole aspettano.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 31 agosto 2023