Il libro del presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo (Antifascisti adesso… Perché non è ancora finita, Mimesis 2023) è importante in sé, e importantissimo per il momento in cui viene pubblicato. Grazie a una legge elettorale lontana dalla Costituzione, e soprattutto grazie all’ormai lungo abbandono del progetto di giustizia sociale che proprio nella Costituzione è iscritto, in Italia è oggi insediato (con circa il 28% dei voti degli aventi diritto al voto) un Governo i cui nessi diretti con la matrice fascista non sono un mistero per nessuno. Una situazione già grave in sé: che rischia di diventare gravissima, e di produrre danni irreversibili, se questa maggioranza politica riuscirà davvero a manomettere la Costituzione stessa, attuando il presidenzialismo e l’autonomia differenziata.
È con tutto questo che fa i conti Pagliarulo, senza nascondere ai suoi lettori l’estrema pericolosità della situazione: «In breve – egli scrive – circa 12 milioni di elettori hanno votato per l’alleanza di centrodestra, 14 milioni per le altre forze politiche, 17 milioni non hanno votato o hanno votato scheda bianca o hanno annullato la scheda». Numeri che bastano, nella loro crudezza, a certificare la crisi della democrazia italiana, che rischia di esaurirsi per abbandono del campo di gioco da parte della maggioranza delle sue cittadine e dei suoi cittadini.
Pagliarulo parte dalla necessità della vigilanza democratica: egli ricorda, con Primo Levi, che «ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre». Da qui la necessità, per usare le parole di Bobbio, di essere «democratici sempre in allarme». Il presidente dell’Anpi è allarmato, e vuol mettere in allarme i suoi lettori: ma lo fa con estrema pacatezza, con argomentazioni incalzanti e ancorate ai fatti, con una preoccupazione che non rinuncia a nutrirsi di ironia, e ad esprimersi in toni non esasperati. Coerentemente, la conclusione del libro non è pessimista, e appare caratterizzata invece, secondo le parole dell’autore, dall’«ottimismo della volontà… ma anche dell’intelligenza, a ben vedere». La diagnosi tocca tre punti principali: come siamo arrivati fin qui; qual è la vera natura del partito di maggioranza relativa; che ruolo ha in tutto questo la manipolazione della storia. Segue una proposta di terapia che appare – lo anticipo – assai convincente, anzi necessaria.
Il primo capitolo (Fascismo e antifascismo nel dopoguerra) è una ricostruzione meticolosa (e dunque assai dolorosa) del tradimento dell’antifascismo da parte del centro-sinistra degli ultimi decenni, a partire dal famigerato discorso di insediamento di Luciano Violante come presidente della Camera (1996), denso di parole che, ricorda Pagliarulo, «aprirono di fatto un vulnus nella coscienza antifascista». Un primo punto di arrivo di questo processo di demolizione è ben riassunto, ricorda l’autore, nel fatto che «nel 2019 Berlusconi precisò: Siamo stati noi a far entrare i fascisti al governo». Il che spiega, sia detto per inciso, perché alla scomparsa di questo insigne statista il Governo Meloni abbia inchiodato l’intero Paese a un vergognoso lutto nazionale di parte. Ed è importante sottolineare che l’istituzione del Giorno del Ricordo (con una legge a firma di Ignazio Benito La Russa, che ebbe pochissimi voti contrari, tra i quali quello del senatore Pagliarulo) viene qui letta per quello che in effetti è: una mossa importante in un revisionismo di Stato teso ad archiviare il fondamento antifascista della Repubblica.
Il secondo capitolo (Liberali, conservatori, fascisti) indaga una anomalia che avremmo potuto dire italiana, se non stesse ormai riguardando un numero crescente di Paesi dell’Unione europea, in un quadro che desta un allarme crescente: «E ancora c’è da interrogarsi sulle ragioni per cui dopo la dissoluzione del grande contenitore della Democrazia Cristiana non si è formato un centro strutturato, ma ha ripreso vigore con una progressione geometrica una cultura politica di destra, fortemente inquinata da elementi di fascismo. Una di queste ragioni va presumibilmente ricercata nei tratti di continuità di fatto rimasti fra il regime fascista e la democrazia repubblicana, anche a causa della mancata epurazione. E infine c’è da indagare sull’enfasi trasversale alla gran parte delle forze politiche italiane (ma anche europee) sul carattere necessariamente liberale della democrazia, in luogo di una democrazia senza aggettivi, ovvero di una democrazia sociale, o ancora di una democrazia social-liberale».
Pagliarulo ci ricorda quindi (nel capitolo terzo, Tra passato e presente) che tra il Ventennio e l’attuale rinascita dei fascismi c’è stata appunto una stagione di mezzo: quella dell’eversione nera stragista, un intermezzo terribile le cui connessioni sia col prima che con il dopo (cioè con l’oggi) sono evidenti, e anzi spesso rivendicate apertamente, anche da personaggi oggi catapultati al vertice dello Stato. Giunto a questo punto, il presidente dell’Anpi non elude la domanda centrale: «Ma arriviamo al dunque: Fratelli d’Italia è un partito fascista?». Domanda importante, quanto quasi indicibile nel discorso pubblico italiano, grazie all’egemonia di quello che Giorgio Bocca chiamava l’anti-antifascismo delle classi dominanti del nostro Paese. La risposta dell’autore è laica, e pragmatica: «In sostanza non si può negare l’evidenza, e cioè che la cultura e i costumi del fascismo permeano gran parte del partito della Meloni e sono elemento fondamentale della stessa biografia della leader. Ma non si può neppure, in linea di principio, negare la possibilità che la presidente del Consiglio operi un radicale ripensamento delle basi della sua formazione politica». Sarà dunque il tempo a dirlo: questo nostro tempo. Ed è per questo che mai come oggi è necessaria una vigilanza democratica capillare. Da parte mia, non ho molti dubbi sul fatto che parole e opere del governo Meloni (si pensi solo a quelle sulla cosiddetta “sostituzione etnica”) confermino la prima parte della risposta di Pagliarulo, e rendano già ad oggi del tutto inattuale la seconda. Ma, appunto, è il momento di vegliare e documentare.
Gli ultimi quattro capitoli del libro ne costituiscono di fatto una coerente seconda parte, che delinea una terapia politica, e prima ancora culturale: «Il superamento delle diseguaglianze, come obiettivo politico fondamentale, e l’urgenza di «avanzare idee antifasciste» (su temi come internazionalismo, pacifismo e eguaglianza). Passaggi che richiamano alla mente questo insuperato, attualissimo, testo di Carlo Rosselli (1934): «Siamo antifascisti non tanto e non solo perché siamo contro quel complesso di fenomeni che chiamiamo fascismo; ma perché siamo per qualche cosa che il fascismo nega ed offende, e violentemente impedisce di conseguire. Siamo antifascisti perché in questa epoca di feroce oppressione di classe e di oscuramento dei valori umani, ci ostiniamo a volere una società libera e giusta, una società umana che distrugga le divisioni di classe e di razza e metta la ricchezza, accentrata nelle mani di pochi, al servizio di tutti. Siamo antifascisti perché nell’uomo riconosciamo il valore supremo, la ragione e la misura di tutte le cose, e non tolleriamo che lo si umilii a strumento di Stati, di Chiese, di Sette, fosse pure allo scopo di farlo un giorno più ricco e felice. Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi».
Il libro si chiude su un che fare che troppe volte è stato eluso, con l’effetto di precipitarci così nella drammatica situazione attuale. Per questo, scrive Pagliarulo, «non è più il tempo in cui si diceva: la domanda è giusta. Dobbiamo trovare le risposte. E queste non le troviamo solo nel cielo delle idee. Le troviamo nei lavori materiali e immateriali, fra i precari, fra i rider, fra i disoccupati, nei mercati rionali, nelle scuole e nelle università, nella condizione concreta delle donne, fra i migranti, fra il ceto medio cosiddetto riflessivo e la piccola borghesia declassata. Penso che l’impegno civile per la progressiva integrale attuazione della Costituzione possa essere la leva per ricostruire la fiducia nella buona politica». A me pare una potente, efficace definizione dei compiti non solo dell’Anpi, ma di tutti coloro che intendono effettivamente partecipare «all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». E in particolare dei più giovani: «Credo – conclude Pagliarulo con parole davvero ispirate – che consegnare a loro l’idea dell’impegno civile come arricchimento della qualità e del significato stesso della vita e come eredità della Resistenza, sia la strada maestra che può portare a una ritrovata centralità della persona umana, e di conseguenza a un progressivo consolidamento della democrazia costituzionale. Mi pare che questo sia il compito delle generazioni precedenti, forti di quelli che furono chiamati tanti anni fa pensieri lunghi, ricchi della memoria dei nostri partigiani: sforzarsi di connettere presente e futuro, sogno e realtà, utopia e realismo, teoria e prassi, avendo come costante punto di riferimento la vita delle persone in carne e ossa. E penso che in fondo questa ricerca, questo cammino verso l’orizzonte di un nuovo umanesimo sia la bellezza dell’antifascismo».
Questo articolo è stato pubblicato su Patria Indipendente il 7 luglio 2023