TAV troppo cara. Parigi gela l’Italia e rinvia la sua tratta a dopo il 2043“. Così titolava l’11 maggio 2023 Repubblica dando risalto a una non-notizia. Come stanno esattamente le cose? Pubblichiamo un commento dell’ing. Alberto Poggio, membro della Commissione Tecnica nominata dall’Unione Montana dei comuni della Valle di Susa.
Grande è la confusione sotto il cielo della Torino Lione. Un terremoto mediatico si è scatenato qualche giorno fa lungo la faglia tellurica dei rapporti italo-francesi. Una girandola di allarmi, smentite e controrepliche, veicolata dai giornali italiani ha paventato un clamoroso dietrofront francese sul progetto di nuova linea ferroviaria. Uomo morde cane, come dicono i manuali di giornalismo. In effetti, dopo anni di «la Francia la vuole», le granitiche certezze della narrazione del TAV sembrano sbriciolarsi in un denso polverone. Per capire come stanno realmente le cose riprendiamo il filo di questa ingarbugliata matassa; ci attendono altre interessanti “sorprese”.
Partiamo dalla cronaca recente. Il pomo della discordia riguarda la tratta nazionale francese: una nuova linea ferroviaria che dovrebbe collegare Lione con l’imbocco, in Val Maurienne, del tunnel di base della Sezione Transfrontaliera. L’opera è interamente di competenza dello Stato francese. Quindi, “i francesi hanno già scavato la loro parte”? Macché, il Governo transalpino pare non avere ancora deciso nulla. Il bailamme di questi giorni riguarda la piega che starebbe prendendo l’istruttoria di questa fantomatica decisione. A occuparsene (per legge) è il Consiglio di orientamento delle Infrastrutture (COI), un organismo istituito dal Governo francese per proporre le priorità e le tempistiche da assegnare agli investimenti in infrastrutture. La pietra dello scandalo starebbe nelle indicazioni date per la tratta francese della Torino-Lione, sulla quale il COI scolpisce conclusioni nettissime:
- il traffico merci tra Italia e Francia può passare sulle ferrovie esistenti; in particolare la linea Modane-St Jean de Maurienne-Dijon, con minimi interventi di ammodernamento, sarà in grado di soddisfare le esigenze di trasporto dei prossimi decenni.
- fino al 2043 (ovvero vent’anni da ora) non sono necessari nuovi tunnel e/o nuove linee perché non vi sono i presupposti in termini di previsioni di domanda di traffico merci; ogni ulteriore valutazione è rinviata agli esiti di studi futuri.
Insomma, abbastanza per gettare nel panico i supporter della Torino Lione che hanno fatto volare gli stracci contro le presunte incertezze transalpine. Clément Beaune, Ministro dei Trasporti d’Oltralpe, si è affrettato a gettare acqua sul fuoco assicurando che «il calendario resta immutato» e che «quello del COI è un parere consultivo» ma poi, messo alle strette dalla bagarre mediatica, ha calciato la palla in corner dicendo che «nessuna decisione è stata presa». Garanzie generiche che non hanno certo rasserenato i sonni dei fautori della grande opera. Tanti i “non detti” su cui ora concentreremo la nostra attenzione.
Cominciamo con il calendario ufficiale per la costruzione della tratta di accesso francese al tunnel di base della Torino Lione: in effetti possiamo confermare che è “immutato” perché, semplicemente, non esiste. La Francia non ha mai approvato il progetto definitivo, tanto meno il tracciato dell’opera e le sue caratteristiche. Ma i segreti di Pulcinella non finiscono qui: la tanto temuta decision è stata già assunta, ben quattro anni fa. È la Decision Ministerielle 8 avril 2019, che stabilisce (in sintesi):
- «la linea esistente Dijon-Modane ammodernata sarà la via di accesso alla galleria di base quando vi sarà la messa in servizio»;
- «SNCF Réseau (gestore delle ferrovie francesi) elaborerà quindi un piano generale per questa linea esistente al fine di individuare gli investimenti necessari e definire il calendario per la sua attuazione» in modo da «rispondere all’aumento del traffico passeggeri» e «sostenere il rilancio del traffico merci sulla linea Digione-Modane»;
- inoltre, con riferimento alle ipotesi di nuove linee di accesso al tunnel di base, «SNCF Réseau riesaminerà la coerenza e la tempistica delle varie fasi» e in questo «cercherà tutte le possibilità di ottimizzare i costi e di gradualità al fine di garantire la sostenibilità finanziaria del programma».
Più chiaro di così!
Ad apporre la firma sotto questo perentorio atto ministeriale è l’allora Ministro dei Trasporti Elisabeth Borne. Una firma pesante che arriva proprio mentre la stessa Borne sta guidando in Parlamento l’approvazione della Loi d’orientation des mobilités, la riforma con la quale la Francia rivolta come un calzino la sua politica delle infrastrutture, ferma a quarant’anni prima. Un cambiamento reso necessario dalla «sensazione di ingiustizia di trovarsi in un Paese che avanza a due velocità: un Paese dove mentre noi abbiamo fatto i TGV per le metropoli, il resto delle reti si stanno deteriorando per mancanza di manutenzione e i viaggi si allungano», come il Ministro Borne afferma durante il dibattito all’Assemblée nationale. Più prosaicamente, oltre all’equità sociale e territoriale, da anni in Francia piangono (e molto) le Casse dello Stato. Le presidenze Hollande e Macron hanno decisamente ridimensionato l’approccio alla grandeur, imponendo una drastica cura dimagrante alle grandi infrastrutture. Tra le prime opere a essere messe nel mirino troviamo (guarda caso) la tratta di accesso della Torino-Lione, declassata come “non prioritaria”. Prima la Commissione Mobilitè 21 nel 2013, poi il COI nel 2018 e nuovamente a inizio 2023. Per ben tre volte negli ultimi dieci anni, questi organismi governativi ripetono le medesime cose: ammodernare le linee esistenti, per ora niente ferrovie nuove. Finora gli esecutivi transalpini hanno fatto “copia-incolla” di queste indicazioni (alla faccia dei pareri consultivi). Oggi l’ingegnere civile Elisabeth Borne è il Primo Ministro di Francia (nominato da Macron). Quale sarà la Decision del Governo francese sulla tratta di acceso della Torino Lione? Si accettano scommesse.
Oltre alle mere questioni di costo, le scelte francesi parrebbero seguire anche un filo di ragionevolezza tecnica. Quelle del COI sono valutazioni implacabilmente razionali e terribilmente coerenti con l’analisi oggettiva della realtà dei trasporti attraverso le Alpi. Come ampiamente dettagliato nel suo ultimo rapporto (rapport annexe, punti 1.10.3 e 1.10.4), sulla linea esistente Modane-Saint Jean de Maurienne-Dijon potranno transitare (una volta ammodernata) 16,8 milioni di tonnellate di merci all’anno. Una capacità di trasporto notevole, se confrontata con i dati storici dei traffici merci alpini tra Italia e Francia: significa avere spazio per trasportare su ferrovia un volume pari a cinque volte quello attuale (pre-pandemia) e persino una volta e mezza il volume massimo storico degli ultimi quarant’anni. Questo è il confronto con ieri e oggi ma se domani i traffici dovessero aumentare? Domanda più che pertinente, visto che per decenni la necessità della Torino-Lione è stata propinata con ipergalattici scenari di crescita del traffico merci. Di queste previsioni indifendibili non rimane più nulla: ormai sono “smentite dai fatti” come hanno affermato gli stessi proponenti dell’opera, diventando lo zimbello del comico Crozza. L’economia reale ha spazzato via ogni miraggio di grandiosità, mostrandoci una perdurante stagnazione che caratterizza lo scambio merci italo-francese, da trent’anni fermo intorno a un totale (strada + ferrovia) di circa 45 milioni di tonnellate all’anno. Peraltro, quasi metà di questi volumi di trasporto è notoriamente riferita a scambi tra est Europa e penisola iberica, infatti questi flussi si muovono lungo la direttrice “lungomare” tra Liguria e Costa Azzurra. Stiamo allora ai veri corridoi “alpini” italo-francesi, ovvero Valle d’Aosta (Monte Bianco) e Valle di Susa (Frejus e Monginevro). La decisione indicata dal COI offre amplissimi margini per il cosiddetto trasferimento “modale” da strada a ferrovia del trasporto merci. L’ammodernamento delle ferrovie francesi esistenti permetterà di spostare sui treni fino al 75% delle merci che oggi viaggiano su camion. Per intenderci si tratterebbe di una quota stratosferica, se si pensa che attualmente in Svizzera (patria del trasferimento modale) questo dato si attesta al 70%.
Invece quale è la situazione al di qua delle Alpi? La “sindrome francese” dilagata in questi giorni starebbe già sparigliando le carte negli ambienti tecno-politici cisalpini. Riepiloghiamo le puntate precedenti. Archiviata in soffitta con le varie “spending” e “project review”, l’idea di una tratta di accesso italiana in Valle di Susa era rimasta dormiente per anni. Nel 2021 gli ultrà della Torino-Lione spingono il Governo Draghi a riesumarla, ingolositi dalla speranza di un suo inserimento nel PNRR. Ipotesi immediatamente scartata per non mettere a rischio la già complicata attuazione dell’ambizioso programma di rinascita e resilienza, vista anche la consolidata reputazione della Torino-Lione in fatto di ritardi. Il premio di consolazione arriva però con la nomina di un Commissario ad hoc e la repentina imposizione alle Ferrovie italiane di redigere un progetto definitivo almeno per una porzione “superstite” di opera. Parliamo della sola tratta da Torino ad Avigliana, perché per il resto rimane assodato che si utilizzeranno le linee esistenti fino all’imbocco del tunnel di base, tra Bussoleno e Susa. Un’improvvisa accelerazione che parrebbe essere stata mal digerita dalle nostre Ferrovie che ora, stando alle indiscrezioni attribuitegli dai giornali, si starebbero (giustamente) chiedendo «perché dovremmo correre sul nostro lato se dall’altra parte (Francia, nda) l’intervento arriverà anni dopo?».
Se è banale rispondere agli attualissimi dubbi delle Ferrovie italiane, tutt’altro che scontato è capire cosa sarebbe questo futuribile “intervento” sul lato francese. Stiamo arrivando ai confini dell’universo conosciuto in quel perenne gioco delle tre carte chiamato Torino-Lione. Per non perdere l’orientamento rimarremo saldamente ancorati agli elementi noti ma ci tocca uno sforzo di astrazione sul futuro. Facciamo un salto in avanti nel tempo di vent’anni, al 2043. Supponiamo che la Francia, ribaltando tutte le sue precedenti decisioni, abbia appena finito di costruire le sue nuove linee. Anche il tunnel di base è stato terminato (ulteriore supposizione per nulla scontata) e immaginiamo di percorrerlo con un treno merci diretto a Lione. Una volta sbucati a St Jean de Maurienne, dove andiamo? Quelli della tratta di accesso francese sono numeri (e costi) ciclopici: 140 km di nuova ferrovia da costruire (più della metà di tutta la Torino-Lione), di cui 55 km di gallerie da scavare per i tunnel che devono attraversare tre massicci montuosi (Chartreuse, Belledonne e Glandon). Ecco perché la Decision Ministerielle del 2019 ha pressato SNCF Réseau a “ottimizzare” (leggi ridimensionare) le ipotesi progettuali, poi sottoposte a un rovente dibattito tra Stato centrale ed Enti locali. Per il nostro futuro ipotetico del 2043 supponiamo che la tratta di accesso francese sia stata costruita secondo la soluzione più ambiziosa (e anche più costosa): quella denominata “grand gabarit” (grande sagoma), pensata per dare massima priorità al traffico merci. Torniamo allora sul nostro treno merci che sta uscendo dal tunnel di base. È qui l’ultima incredibile sorpresa: un semaforo rosso ci obbliga ad attendere il turno di transito sulla nuova linea a binario unico (avete letto bene, binario unico). Ebbene sì, anche nella più grandiosa delle ipotesi progettuali, i lunghi tunnel in Francia (Chartreuse, Belledonne e Glandon) sarebbero in ogni caso previsti esclusivamente a “singola canna”, obbligando tutti i treni a rispettare un “senso unico alternato”. Per quanto possa stupire, fin dal 2013 questa scelta era già stata chiaramente esplicitata dalle Ferrovie francesi nei primi progetti preliminari. La motivazione rasenta l’ovvietà: una canna costa meno di due.
Siamo dunque giunti al punto nevralgico della questione.
Il fulcro del progetto Torino-Lione è il mega tunnel di base: 57,5 km di estensione, interamente progettati a “doppia canna” (ovvero con due gallerie parallele indipendenti, una per senso di marcia) per farvi transitare 40 milioni di tonnellate di merci all’anno. Però, come è ormai assodato, in Francia i treni andranno sulla linea esistente per Dijon, che (ammodernata) potrà portare 16,7 milioni di tonnellate di merci all’anno. Secondo i francesi, per prossimi vent’anni questa capacità di trasporto è ampiamente sufficiente. Se tra vent’anni la Francia decidesse di realizzare qualche linea nuova, i tunnel saranno a binario unico. Quindi, in ogni caso, sull’asse ferroviario Torino-Lione non potranno transitare più di 20 milioni di tonnellate di merci all’anno (la metà di 40). Ma allora, a cosa serve il tunnel di base, se la sua enorme capacità di trasporto sarà comunque inutilizzabile in larga parte?
Et voilà! Eccovi servita la Torino Lione, l’opera più inconcludente (oltre che più inutile) d’Europa. Più che un progetto “strategico”, una Torre di Babele il cui costo sta letteralmente sfuggendo di mano. In Italia si continua imperterriti a vaneggiare di opere faraoniche, anche per la tratta di accesso che arriverebbe a costare non meno di due miliardi di euro. In Francia sembra stiano in parte correndo ai ripari scegliendo la soluzione più economica per la tratta di accesso: 600 milioni di euro per l’ammodernamento delle linee esistenti, meno di un decimo del costo stratosferico per le nuove linee di accesso, pari circa 6,7 miliardi di euro. La voragine economica è però costituita dal tunnel di base: dal 1990 a oggi sono stati già bruciati circa due miliardi di euro senza posare nemmeno un metro di nuova ferrovia. A parte gli eterni studi, sondaggi e lavori preparatori, la sua costruzione è – di fatto – ancora da avviare, con un’ulteriore spesa prevista di non meno di 10 miliardi di euro. Una vera bomba finanziaria a orologeria, che sta per scoppiare nelle mani dello Stato italiano e di quello francese, entrambi con debiti pubblici fuori scala. Nessuno dei due Governi ha finora avuto il coraggio di premere il pulsante “stop” ma questo colossale castello di carte non potrà rimanere in piedi a lungo.
Questo articolo è stato pubblicato su Controsservatorio Val Susa il 29 maggio 2023