Congratulazioni a Erdogan e ai “nostri” amici dittatori

di Alberto Negri /
31 Maggio 2023 /

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Che le carceri turche siano piene di prigionieri politici, oppositori curdi e giornalisti (molti in esilio) e che i media siano nella morsa del potere, sembra importare a pochi

In un conciso libretto dal titolo “Il malessere turco” (edizioni il Canneto), il saggista Cengiz Aktar fa notare che l’ascesa dell’autocrazia e delle derive ultranazionaliste e fasciste in questo Paese non è avvenuta come accadde in Europa come conseguenza di crisi sconvolgenti ma in uno stato storico membro della Nato, con un’economia promettente (naturalmente salvo l’ultima fase) e l’ambizione (ormai lontana e non più desiderata) di entrare nell’Unione europea. Risultato: oggi nel nuovo Parlamento saranno non più di 100 su 600 i deputati che potremmo definire autenticamente democratici e anti-fascisti.

Eppure oggi tutti si congratulano con Erdogan artefice massimo di questa deriva: dalla Casa Bianca a Macron, da Israele agli europei, oltre naturalmente all’ «amicone» Putin, che Erdogan ha elogiato nella sua ultima intervista alla Cnn. Erdogan è l’unico filo-putiniano che nessuno si permette di criticare anche qui in Occidente, visto che media sul grano ucraino e russo mentre sul Bosforo tiene le chiavi del Mar Nero. Che le carceri turche siano piene di prigionieri politici, oppositori curdi e giornalisti e che i media siano nella morsa del potere, sembra importare a pochi.

Questo purtroppo è il segnale che l’Occidente è già pronto a convivere con Erdogan e nessuno si aspetta di avere a che fare con un leader più malleabile. Del resto sono il suo ultra-nazionalismo, il mito rinato dell’impero ottomano, la politica estera spericolata, che gli hanno ridato la vittoria, non i calcoli sull’inflazione in aumento oppure i suoi errori nella gestione della tragedia del terremoto. Persino l’opposizione ne è stata contaminata visto che faceva a gara con Erdogan su come liquidare la presenza di alcuni milioni di profughi siriani.

Se è vero, come sottolineava ieri Michele Giorgio sul manifesto, che per le sue ambizioni regionali Erdogan ha bisogno di Israele e Golfo, il “reiss” turco comunque nella regione sta sfilando insieme a un lungo corteo di autocrati e dittatori che si sta riposizionando.

La rielezione di Erdogan coincide con il ritorno del siriano Bashar Assad nel grembo al mondo arabo, come se nulla fosse accaduto, il generale egiziano al Sisi, finanziato dagli Usa e dai sauditi, riceve il nostro ministro della Difesa Crosetto ma anche il procuratore generale di Mosca, il principe Mohammed bin Salman cerca la pace con l’Iran e accoglie a Gedda il dittatore siriano come pure il leader ucraino Zelenski. E che Zelenski abbia accettato di farsi fotografare al vertice della Lega araba con un corteo di despoti e monarchi assoluti la dice lunga sulla sua affannosa ricerca di alleati.

Ma ci vorrà più di un visita per allontanare il principe assassino – mandante dell’omicidio del giornalista Jalal Khashoggi – da Putin, compagno di strada del regno saudita nell’Opec allargato, e rinunciare alla manna finanziaria piovuta sui produttori dei petrolio e gas con la guerra in Ucraina.

Erdogan fa scuola. La Turchia è un alleato nella Nato che non solo non mette sanzioni a Mosca ma collabora con la Russia in ogni campo: dalle importazioni di gas all’energia atomica e da quando è iniziata l’invasione russa ha raddoppiato gli scambi commerciali con il Cremlino. Ankara ha aiutato con i suoi ormai famosi droni Bayraktar il governo di Kiev contro l’aggressione di Mosca ma si guarda bene dal recidere i legami con la Russia.

Eppure la Turchia in Libia è schierata con il governo di Tripoli contro il generale Haftar sostenuto da Mosca e dalla Wagner mentre appoggia l’Azerbaijan contro l’Armenia, vecchio alleato di Mosca. Come pure la Turchia si era schierata contro Assad in Siria, dove occupa militarmente parti di territorio curdo, mentre il leader di Damasco è rimasto in piedi con il sostegno della Russia e dell’Iran.

Contraddizioni che possono sembrare inaccettabili: ma non da Putin, Erdogan e dai loro compagni di strada.
Per la verità un tratto in comune tutti questi regimi dall’Egitto alla Turchia, dalla Siria all’Arabia saudita ce l’hanno: sono amici di Mosca. Anzi continuano a collaborare in vari campi da quello energetico alle forniture militari. Come del resto fanno i governi di Cina e India e di quasi un terzo dell’umanità, dall’Asia, all’Africa al Sudamerica. E se poi andiamo a vedere i parternariati economici ci si accorge che i sauditi sono tra i primi fornitori e clienti della Cina il cui leader Xi Jinping era stato accolto a Riad con tutti gli onori.

Anche l’amicizia con la Cina, che si guarda bene dall’osservare la carta dei diritti umani, è un altra caratteristica comune di questi regimi: nessuno ha dato minimamente retta alla condanna venuta dal recente vertice dei G-7 di Hiroshima per contenere l’avanzata economica, militare e tecnologica di Pechino. Questo si chiama oggi mondo multipolare, dove la maggior parte dei Paesi un tempo legati all’Occidente fanno quello che pare a loro in funzione dei propri interessi nazionali e regionali. Erdogan docet.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 31 maggio 2023

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