Si inaspriscono le pene nei confronti degli attivisti ambientalisti, ma le condizioni del nostro patrimonio artistico restano quelle di una realtà inquinata da un turismo massiccio e incontrollato, fatalmente orientato più ai criteri del mercato che alla condivisione della cultura.
Mentre storici dell’arte, intellettuali e professionisti dei beni culturali restano aperti a un dialogo costruttivo con gli attivisti di Ultima Generazione e difendono le loro istanze, in mancanza di risposte convincenti su clima ed energia, invece, il governo non trova di meglio che suonare la grancassa della repressione contro il dissenso, moltiplicando leggi e sanzioni del già farraginoso sistema italiano. In questi giorni, infatti, sulle testate nazionali e internazionali, sui comunicati stampa ministeriali e sui profili social dei politici nostrani è rimbalzata l’eco incrociata di ben due provvedimenti sullo stesso tema.
Sul fronte del Senato, lo scorso 5 aprile è stato proposto un disegno di legge, firmato da Marco Lisei, Alberto Belboni e Andrea De Priamo di Forza Italia, che ha l’obiettivo di reprimere le azioni dimostrative degli ecologisti attraverso interventi di modifica sul decreto legge 14/2017 (convertito nella legge 48/2017), che somministra il D.A.SPO urbano, estendendolo anche ai monumenti e ai luoghi di interesse culturale, e sull’articolo 635 del codice penale, quello relativo al danneggiamento di beni mobili e immobili incluse le azioni sugli “edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto, o su cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici”.
Pochi giorni dopo, l’11 aprile, il Consiglio dei ministri si è riunito a Palazzo Chigi per deliberare su alcune misure, tra le quali l’approvazione di un disegno di legge, su proposta del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, che introduce disposizioni sanzionatorie in materia di “distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”. Secondo quanto riportato dal comunicato ufficiale, “oltre alle sanzioni penali già previste, il testo introduce, per chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui, una sanzione amministrativa compresa tra 20.000 e 60.000 euro. Per chi deturpa, imbratta o destina i beni culturali a un uso pregiudizievole o incompatibile con il loro carattere storico o artistico, la sanzione sarà compresa tra 10.000 e 40.000 euro. I proventi saranno devoluti al Ministero della Cultura, affinché siano impiegati prioritariamente al ripristino dei beni danneggiati”.
A proposito dell’intervento sul codice penale, è opportuno specificare (anche per fare chiarezza su notizie riportate scorrettamente da diverse testate giornalistiche) che questo prevede già una pena dai tre mesi ai sei anni di reclusione per “chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili” i beni culturali, e che la detenzione, tuttavia, è sottoposta a una sospensione condizionale nel caso della “eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa”. Dunque, si contempla una civile forma di ricomposizione, non persecutoria, tra Stato e cittadino.
Per quanto riguarda l’inasprimento delle sanzioni annunciato dal ministero della cultura, resta purtroppo il dato di una sostanziale schizofrenia tra l’accanimento contro gli attivisti, da una parte, e la realtà del patrimonio storico, artistico, archeologico e paesaggistico del nostro Paese, dall’altra: una realtà inquinata dai veri e tangibili pericoli di danneggiamento e di inservibilità provocati da un turismo massiccio e incontrollato, fatalmente orientato più ai criteri del mercato che alla condivisione della cultura; dalla carenza e dall’affaticamento del personale qualificato nelle istituzioni culturali così come nel settore turistico; dalla mancanza di tutela dei lavoratori di entrambi i settori; dalla carenza di risorse economiche; dalla povertà dell’educazione storico-artistica di molti nostri concittadini; e infine dalla testarda abitudine di considerare le opere d’arte un tesoro di natura patrimoniale, nel senso monetario del termine, da esibire in una vetrina all’aeroporto di Fiumicino o come sfondo di una conferenza stampa a Vinitaly. Resta un governo che, anziché ricercare il dialogo con i suoi cittadini, offrire risposte e curare le fratture sociali, pretende obbedienza, commina punizioni e criminalizza il dissenso.
Questo articolo è stato pubblicato su MicroMega il 17 Aprile 2023