La Procura che ha istruito il processo ha indicato Mario Tedeschi come il responsabile del depistaggio finalizzato a coprire i mandanti dell’eccidio del 2/8/1980
Quando il 26 dicembre 1946 venne fondato il Movimento Sociale Italiano (Msi) Mario Tedeschi rappresentava per il fascismo vecchio e «nuovo» già un punto di riferimento. Dopo la deposizione delle motivazioni della sentenza sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 la sua storia riemerge da un passato con cui l’Italia non è mai riuscita a fare i conti, tanto che oggi si ripresenta nella forma del «richiamo della foresta» promosso persino dai più alti scranni delle istituzioni repubblicane: vuoi con gli attacchi alla Resistenza e all’antifascismo, vuoi con le idee di una agognata «rivincita» a proposito degli anni Settanta e della «memoria dei camerati caduti».
Nell migliaia di carte processuali Tedeschi è indicato, insieme al suo potente amico Federico Umberto D’Amato capo dell’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno, come uno dei responsabili (dietro pagamento) del depistaggio finalizzato a coprire i mandanti, Licio Gelli ed il vertice della P2, e gli esecutori materiali della strage alla stazione di Bologna ovvero i terroristi neofascisti dei Nar Fioravanti, Mambro e Ciavardini (condannati in via definitiva) nonché Gilberto Cavallini e Paolo Bellini (condannati in primo grado).
La traiettoria biografico-politica di Tedeschi coincide simmetricamente con quella di tanti «fascisti in democrazia» raccolti in quel Msi che la Presidente del Consiglio Meloni ha definito un partito con «un ruolo molto importante nel combattere la violenza e il terrorismo». Vediamo come.
Dopo l’8 settembre 1943 Mario Tedeschi si era arruolato nel battaglione Barbarigo della X Mas di Junio Valerio Borghese (futuro presidente onorario del Msi e poi artefice del tentato golpe del 7-8 dicembre 1970) combattendo contro gli Alleati sul fronte di Anzio-Nettuno nel gennaio 1944. Godendo dell’amnistia Togliatti, insieme a migliaia di reduci e criminali saloini, nel dopoguerra fu tra i fondatori del movimento eversivo dei Fasci di Azione Rivoluzionaria (FAR), poi membro del cosiddetto «senato» neofascista (un coordinamento clandestino di ex gerarchi e dirigenti reduci del regime e della repubblica di Salò diretto da Pino Romualdi, all’epoca latitante e ricercato) e infine, di fatto, tra i fondatori del Msi ovvero il partito che oggi rappresenta il punto di riferimento ideale tanto di Meloni quanto del Presidente del Senato La Russa. Tedeschi è da sempre ricordato come animatore e direttore de «Il Borghese», molto meno per altre sue attività.
Fin dal dopoguerra fu in ottimi rapporti con il capo della sezione del controspionaggio dei servizi segreti Usa, James Jesus Angleton (che salvò il suo ex-comandante Junio Borghese dai partigiani nel 1945); nel novembre 1961 partecipa al convegno di Roma finanziato dalla Nato «La minaccia comunista nel mondo» dove prendono forma i criteri di azione che, con il successivo e più celebre convegno del 1965 sulla «guerra rivoluzionaria» dell’Istituto di Studi militari «Alberto Pollio», saranno messi a punto come base ideologica della «strategia della tensione» in Italia.
Nel 1966 organizza con il capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, sempre con la regia di Federico Umberto D’Amato con cui Tedeschi condivide anche l’iscrizione nella lista dei membri della P2, la provocazione dei «manifesti cinesi» prodromica all’opera di infiltrazione neofascista nei movimenti di sinistra che culminerà con l’operazione della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
Il 29 maggio 1969 Tedeschi annuncia dalle pagine de «Il Borghese» la nascita dei cosiddetti Gruppi d’Azione Nazionale (GAN) anticomunisti, formati in particolare dai «giovani del Fuan» e della «Giovane Italia» del Msi, «insomma da gente disposta a menar le mani».
Tedeschi è senatore del Msi negli anni 1972-1979 quelli della politica del «doppiopetto», o meglio del doppio binario, incarnata da Almirante: da una parte la propaganda elettorale da partito d’ordine e dall’altra le attività squadristiche non solo davanti a fabbriche, scuole ed università ma anche nelle strade e nelle piazze, come nella Reggio Calabria dei mesi del «boia chi molla» o nella Milano degli scontri del 12 aprile 1973 in cui morì l’agente di PS Antonio Marino.
D’altronde l’idea che si aveva della democrazia parlamentare negli ambienti missini dell’epoca è ben descritta dalla penna dello stesso Tedeschi, che alla vigilia della stagione delle stragi evoca un colpo di mano dell’esercito: «in tutte le sedi di comandi militari bisogna organizzarsi per essere vicini ai soldati -scrive ancora nel maggio 1969- oggi in Italia tutto è possibile a chi abbia coraggio e volontà di rischiare. Ricordate bene, questo è un regime parlamentare, quindi si basa sul parlamento; ma il parlamento nel momento in cui è screditato che cos’è? È un totale di mille persone, cioè meno di due battaglioni di fanteria».
Ricordato come fautore e padre della destra nazionale e moderata che darà vita nel 1976 alla scissione del gruppo «Democrazia Nazionale» dal Msi, Tedeschi concluderà quell’esperienza con il fallimento elettorale (0,6% dei voti) del 1979 ma, come si legge nelle carte del processo per la strage di Bologna, non resterà inoperoso.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 12 aprile 2023. Immagine di copertina, Quatermass/Wikimedia Commons