“Un aereo da bombardamento equivale in termini di prezzo a cinquanta piccole autovetture, o a ottomila paia di calze di seta, o a un milione di pagnotte. È chiaro che non si possono avere molti aerei da bombardamento senza abbassare il livello di vita del Paese”. Lo scriveva George Orwell in un saggio, Il leone e l’unicorno, meno noto della Fattoria degli animali o di 1984 ma ugualmente importante per il suo stile e la sua lucidità. Si tratta di un’opera unica perché non c’è pagina in cui Orwell non denunci l’avidità e la stupidità delle classi dirigenti inglesi senza risparmiare, d’altra parte, il partito laburista né gli intellettuali filorussi dell’epoca, e questo nel 1940, a guerra già iniziata.
Ottantatré anni dopo anche noi siamo in guerra e riflettere sul costo dei conflitti prolungati è utile e necessario. Orwell sapeva sempre quello che diceva e quindi la sua citazione ci permette di capire meglio cosa significa mandare un carro armato Leopard o un aereo F-35 in Ucraina. Un bombardiere costa come 50 utilitarie anche oggi? L’aereo a cui probabilmente pensava Orwell nel fare i suoi esempi era un Blenheim IV, un bimotore a elica realizzato negli anni Trenta e usato poi fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Potenza del motore 900 hp.
Una tipica auto per famiglie dell’epoca era la Austin 10 deluxe, che costava 172 sterline, l’equivalente circa 14.000 euro di oggi. In base ai calcoli di Orwell, l’aviazione inglese avrebbe quindi potuto acquisire un bombardiere leggero ma con un’autonomia di 2.350 chilometri per poco più di 700.000 euro attuali.
Se prendiamo un F-35 dei nostri giorni e guardiamo il cartellino del prezzo scopriamo che sono circa 95 milioni di euro, un po’ più o un po’ meno secondo gli accessori richiesti. Un’automobile economica equivalente a quella a cui pensava lo scrittore inglese, per esempio la Lancia Ypsilon costa grosso modo 10.000 euro, quindi un F-35 costa quanto 10.000 utilitarie. Avete letto bene, diecimila. Se scegliamo modelli migliori come la 500 FIAT o la i10 Hyunday, che costano attorno ai 15.000 euro, potremmo avere soltanto 6.667 automobili in cambio di un F-35.
Orwell citava le calze di seta, un tema su cui negli stessi anni rifletteva anche l’economista Joseph Schumpeter nel suo libro Capitalismo, socialismo, democrazia. Scriveva Schumpeter: “La regina Elisabetta I possedeva calze di seta. Il tipico successo del capitalismo non consiste nel fornire più calze di seta alle regine, ma nel metterle alla portata delle operaie in fabbrica”. Oggi dei buoni collant si vendono per 15 euro, ma per le operaie che guadagnano 900 sterline (mille euro) al mese dovendo pagarsi affitto, bollette, riscaldamento e pasti non si tratta di una spesa da fare senza pensarci. Ancora meno se, per mantenere l’approccio di Orwell, andiamo a cercare una versione più esclusiva e costosa delle calze. Il sito della Wolford offre i Mat opaque 80 (“una calda carezza sulla pelle… un pizzico di glamour anche nei giorni più freddi”) per 45 euro.
Torniamo ai confronti tra il 1940 e oggi: comprando ottomila paia di collant Wolford spenderemmo 360.000 euro: stando ai dati interni Lockheed Martin questo è il costo di dieci ore di volo del F-35, non dell’aereo e neppure di un suo specchietto retrovisore. La macchina infernale costa come due milioni e duecentomila paia di calze di seta. Il capitalismo ha (quasi) fatto il suo dovere verso le giovani lavoratrici ma la voracità del complesso militare-industriale non è stata arginata, al contrario.
Infine, il pane. Orwell comparava il Blenheim IV a un milione di pagnotte. Oggi un chilo di pane di media qualità costa sui 5 euro, quindi un F-35 ci porta via 20 milioni di pagnotte. Dobbiamo scrivere “ci porta via” perché qualche anno dopo il generale Dwight Eisenhower, il vincitore della seconda guerra mondiale assieme al mareschallo Georgi Zhukov, era abbastanza saggio da ricordare ai suoi concittadini che ogni cannone, ogni carro armato, ogni aereo erano “furti” ai danni di chi non aveva da mangiare, da vestire, da riscaldarsi. Eisenhower parlava nel 1953, in piena guerra di Corea: oggi nessun generale americano, nessun politico americano fa ragionamenti altrettanto sensati. Al contrario, Congresso e presidente varano pacchetti di aiuti bellici all’Ucraina per miliardi, senza troppo pensarci. Come del resto fanno i paesi europei, tra cui l’Italia.
Nelle scorse settimane si è molto parlato dei carri armati Leopard da mandare a Kiev. Per quel che se ne sa costano 5 milioni di euro l’uno. Quindi un Leopard di oggi costa otto volte più di un bombardiere del 1940. Costa come cinquecento (e non 50) auto familiari. Costa come 110.000 (e non 8.000) paia di collant di lusso. Costa come un milione di chili di pane, di che nutrire diecimila famiglie di profughi in Turchia o in Siria, ma non vola e non può essere mandato a bombardare il Donbass né la Crimea.
Questi confronti ci fanno sospettare che il prezzo delle armi del 2023 sia cresciuto ben più dell’inflazione, anche perché l’ansia da prestazione dei militari americani è una malattia incurabile: già nel 2000 il Pentagono chiese ai fornitori un aereo che potesse atterrare in verticale, come un elicottero, e decollare in meno di 150 metri, grosso modo da piazza S. Marco a Venezia. Nello stesso tempo doveva anche essere in grado di volare a 1.600 chilometri orari, avere un’autonomia di 2.200 chilometri e portare una bomba all’idrogeno B61 (le abbiamo anche noi: stanno ad Aviano, provincia di Pordenone). Tutti gadget che costano. Tutte armi che pagano i popoli.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 23 febbraio 2023