I due terremoti avvenuti in Turchia il 6 febbraio hanno reso evidente, tra tanti, un fatto molto importante: le persone non si fidano più delle istituzioni.
IL MANCATO e scarso intervento della protezione civile e, in alcune zone, l’assoluta assenza degli amministratori locali si sono mescolati all’arroganza del potere e al linciaggio mediatico e politico contro le organizzazioni non governative che cercano di tappare i buchi creati dalle stesse istituzioni, mentre il numero delle vittime ieri toccava quota 40.642 (in Siria altri 5.800).
Già nei primi giorni della tragedia è stata l’Unione dei Medici di Turchia (Ttb) a denunciare il fatto che il ministero della salute non avesse autorizzato il loro intervento sul territorio.
Anche il Sindacato dei Lavoratori dell’impiego pubblico (Kesk), la Federazione delle Associazioni alevite e l’Unione degli ordini degli ingegneri e degli architetti turchi hanno dichiarato che i loro mezzi, pieni di aiuti umanitari, sono stati bloccati per giorni alle porte delle città colpite.
LO STESSO PROBLEMA è stato segnalato anche da Dogus Derya, parlamentare di sinistra di Cipro del Nord: «Sono giorni che i greci ciprioti attendono al confine per far passare gli aiuti umanitari che hanno raccolto ma il ministro degli esteri non glielo permette».
Il 9 febbraio il governatore del distretto di Urla, provincia di Izmir, ha inviato un tir pieno di aiuti, donazioni dei cittadini. Pochi minuti dopo, il mezzo è stato fermato e sulla sua facciata frontale è stato messo uno striscione della sede a Urla dell’Akp, partito al governo, con l’obiettivo di appropriarsi degli aiuti.
In quei giorni si sentivano le parole dei ministri del tesoro, della giustizia e della sanità recatisi sul posto: «Tutto è sotto controllo. Lo Stato è presente». Tuttavia i social media si popolavano sempre di più delle grida di aiuto disperate che parlavano della mancanza di luce, acqua, rete telefonica, tende, bagni e soccorsi da giorni.
Le lacrime si mescolavano ai cadaveri che venivano tirati fuori dalle macerie dopo cinque o sei giorni di attesa disperata. Mentre la rabbia dei cittadini cresceva anche la rabbia del regime si manifestava sotto forma di minacce e linciaggi verso coloro che, in qualche maniera, dimostravano l’incapacità dello Stato.
«Dobbiamo lottare contro la disinformazione», diceva il ministro degli interni. «Quando arriverà il momento faremo i conti con chi sta parlando male dello Stato», le storiche parole del presidente Erdogan.
IN QUEST’ONDATA di minacce si è pronunciato anche Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp), al governo, rivolgendosi in particolare a un’associazione non governativa, Ahbap: «Raccogliere aiuti mettendo da parte lo Stato ha l’obiettivo di mettere in dubbio la credibilità dello Stato. I cittadini non devono dare credito a queste associazioni. Non c’è nessuna cosa che lo Stato non è in grado di fare. Non si deve dare spazio in tv a questi truffatori».
L’ong Ahbap, in questo periodo, ha acquisito una grande credibilità e rispetto tra le persone, in Turchia e all’estero. Fondata dal famoso rock star turco Haluk Levent nel 2017, Ahbap ha documentato e dimostrato tutto il lavoro che svolge sul territorio.
Non si tratta di una prima volta, ci spiega Tugba Serbest, coordinatrice generale della piattaforma Ahbap: «La nostra associazione ha fatto diversi interventi nei terremoti di Van, Elazig e Izmir ma anche dopo l’alluvione di Kastamonu e durante la pandemia di Covid-19. Abbiamo diverse squadre che lavorano sui social media per verificare la veridicità delle notizie e le richieste e sul coordinamento dei lavori. Immediatamente creiamo delle basi sul territorio e firmiamo dei protocolli di collaborazione con le istituzioni».
«Ogni nostro acquisto viene analizzato da una squadra e compiuto da un gruppo composto da professionisti indipendenti – continua – Tutti gli interventi vengono documentati e comunicati sui social media». Forse questa trasparenza, che manca ormai in diverse istituzioni in Turchia, ha fatto sì che le persone abbiano una notevole fiducia nei confronti di Ahbap.
L’ASSOCIAZIONE non si limita agli interventi immediati, aggiunge Tugba: «Il nostro obiettivo principale è lottare contro la disinformazione, poi creare quella rete necessaria che collega i beneficiari con gli aiuti. Successivamente ci rechiamo sul territorio per portare avanti gli interventi e gli investimenti necessari sul lungo periodo con l’obiettivo di ricostruire la vita nelle zone colpite. Anche in questo terremoto ci siamo organizzati nella stessa maniera e abbiamo l’obiettivo di lavorare per soddisfare le necessità delle famiglie che lasciano la zona e per migliorare le condizioni di vita senza perdere il profilo socioculturale. Lavoriamo già adesso con le unità sanitarie e di formazione».
A proposito delle critiche a loro rivolte, Tugba Serbest risponde così: «Nelle zone colpite dal terremoto c’è una forte tensione perché si tratta di una tragedia enorme. Stiamo cercando di risolvere un problema globale, nonostante il caos e le varie speculazioni. Ci concentriamo sul territorio e sui nostri interventi, non facciamo caso a nessuna accusa, nessun impedimento e nessuna speculazione».
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 19 febbraio 2023