Oltre a sfidare la dittatura brasiliana sperimentando la democrazia diretta nel calcio, Sócrates e i suoi compagni dimostrarono che col rifiuto dell’individualismo a favore della politica collettiva si può vincere
Non sarà arrivato oltre i quarti di finale dei mondiali di calcio, ma Sócrates rimane uno dei giocatori più iconici nella storia del campionato. Immediatamente riconoscibile per i capelli neri ricci, la barba alla Che Guevara e il modo in cui sovrastava i suoi avversari con la stazza slanciata di un metro e 93, altezza da rivoluzionario.
A Messico ’86, dove ha sbagliato un fatidico rigore quando il Brasile è uscito ai rigori contro la Francia ai quarti, ha indossato la fascia – costruita sul momento col calzino di un compagno di squadra – cosa che lo caratterizza nella mente di milioni di persone. In seguito ha aggiunto diversi slogan – «Il popolo ha bisogno di giustizia», «Sì all’amore, no al terrore», «No alla violenza» – il suo primo è stato forse il più potente. Dopo il terremoto di Città del Messico dell’anno precedente, un disastro che aveva ucciso migliaia di persone e messo in luce l’amara ingiustizia della società messicana, la nazione ospitante fu profondamente ferita. Sócrates si presentò con un semplice messaggio: «México Sigue En Pie», «Il Messico resta in piedi».
Spiegando la logica che animava quel messaggio, Sócrates avrebbe poi detto: «Quando siamo arrivati in Messico, il disastro causato da un terribile terremoto che aveva colpito il paese prima dell’inizio della Coppa del Mondo è stato il fattore scatenante che mi ha fatto decidere di cogliere il opportunità, in un momento in cui tutto il mondo assisteva all’evento, per evidenziare alcuni punti critici della realtà sociale del paese». Prese ispirazione per la sua fascia da una ragazza che indossava una tiara in televisione, decidendo di protestare contro «le assurdità dell’umanità».
Era arrabbiato e distratto quando, dopo aver indossato quella prima fascia prima di affrontare la Spagna nella fase a gironi, per errore gli altoparlanti mandarono l’inno alla bandiera nazionale invece dell’inno nazionale brasiliano. «Qualsiasi reazione contro la povertà, le guerre, l’imperialismo, l’ingiustizia sociale, l’analfabetismo endemico e molti altri argomenti è stata superata quando ho scosso la testa dopo aver sentito il primo accordo – ha ammesso in seguito – Ma valeva la pena tentare. È molto meglio provare, credo, che conformarsi».
Sócrates non era un calciatore ordinario, neanche in un momento storico in cui il pallone era ancora vicino alle sue radici. Leader carismatico e genio creativo in campo, è diventato un eroe romantico nell’immaginario popolare per le sue imprese fuori dal campo. Fumava e beveva, convivendo con la stessa spensierata noncuranza che caratterizzava il tempo che dedicava al calcio. Si definiva «un anti-atleta». Era anche un medico specializzato – da qui il suo soprannome, Dottor Sócrates contraddizione che non fece che rafforzare le sue credenziali di anticonformista.
Tuttavia, aveva capito che era il suo talento con una palla al piede gli dava una posizione utile a parlare a un numero incalcolabile di persone. Aveva anche talento. Era un centrocampista intelligente e misurato, un buon rifinitore, ma anche un marcatore appariscente così bravo nei colpi di tacco che Pelé, tre volte vincitore della Coppa del Mondo col Brasile, pare abbia detto che avrebbe dovuto giocare sempre di schiena alla porta. La squadra brasiliana che ha capitanato a Spagna ’82 è spesso definita come la migliore squadra uscita non vincente dal torneo, eliminata dall’Italia in seguito campione del mondo nella seconda fase a gironi – stranezza dell’epoca – dopo la sconfitta per 3-2 in quella che il compagno di nazionale Falcão descrisse come «una delle partite più belle della storia del calcio».
Dopo la fine della sua carriera – la sconfitta contro la Francia a Messico ’86 è stata la sua ultima partita con il Brasile – Sócrates disse: «Quando ero un calciatore, le mie gambe hanno amplificato la mia voce». Ha usato quella voce per prendere posizioni politiche radicali e parlare contro l’ingiustizia in patria, in Brasile e anche all’estero. Sebbene fu la Seleção a renderlo famoso in tutto il mondo, il suo intervento politico più importante è arrivato durante i sei anni trascorsi a giocare a calcio con il Corinthians a San Paolo. Lì divenne una figura centrale nel movimento Democracia Corinthiana, schierandosi in esplicita opposizione alla brutale dittatura militare che governava il Brasile dal 1964.
Inizialmente, Sócrates era un dissidente riluttante. Cresciuto in una famiglia della classe media con un padre, Raimundo, ossessionato dall’istruzione – da qui il suo nome in onore di un antico filosofo greco – Sócrates ha avuto un’esperienza d’infanzia formativa quando ha visto Raimundo distruggere libri politici di sinistra dopo che i militari avevano preso il potere. Tuttavia, in una delle sue prime grandi interviste nel 1976, quando aveva poco più di vent’anni, prese una posizione apolitica, affermando addirittura che la censura era necessaria perché altrimenti «le cose si sarebbero complicate per il governo». Era un lettore vorace e continuò a istruirsi con l’incoraggiamento del padre, entrando sempre più in sintonia con i problemi sociali del Brasile sotto l’intensa repressione del regime militare.
Una volta che Sócrates andò coi Corinthians nel 1978, iniziò a gravitare a sinistra. In poco tempo, lui e il suo compagno di squadra Wladimir – poi raggiunto con entusiasmo da Casagrande, altro futuro nazionale brasiliano – furono i leader di un movimento che, con il supporto del direttore Adilson Monteiro Alves e del presidente del club Waldemar Pires, avrebbe introdotto una forma di democrazia diretta. Tutti nel club votavano su come doveva essere gestito, mentre i giocatori avrebbero deciso tutto, dagli orari degli allenamenti a quando fermare l’allenatore per una pausa in bagno. Decisero anche di allentare le restrizioni della ritiro, tradizione nel calcio brasiliano in cui i giocatori venivano effettivamente confinati in un hotel o in un campo di allenamento prima di una partita.
Respingere questa forma di reclusione fu particolarmente simbolico, trasformando i Corinthians in una metafora della società brasiliana. Oltre a sfidare apertamente la dittatura adottando metodi democratici in un’istituzione sportiva di così alto profilo, Sócrates e i suoi compagni di squadra dimostravano che il rifiuto dell’apatia e dell’individualismo a favore della politica collettiva poteva essere molto efficace. Il club raggiunse molto successi sotto la gestione democratica, vincendo due volte il Campeonato Paulista, nel 1982 e nel 1983. «Il nostro movimento ha avuto successo per tanti motivi, ma quello decisivo è stato Sócrates – ha detto Casagrande al Guardian l’anno scorso. – Avevamo bisogno di un genio come lui, politicizzato, intelligente e ammirato. Per noi era uno scudo. Senza di lui, non avremmo potuto avere la democracia corinthiana».
Il movimento presto andò oltre il club, con Sócrates ei suoi compagni di squadra che lanciarono una sfida diretta al regime. Nel 1982, in vista delle prime elezioni multipartitiche del Brasile sotto regime militare e nel mezzo del graduale processo di «abertura», Sócrates e i suoi compagni di squadra scesero in campo indossando magliette con la scritta: «Dia 15 Vote». Prima di vincere il Campeonato Paulista nel 1983, la squadra guidata da Sócrates scese in campo con un gigantesco striscione che recitava: «Ganhar ou Perder, Mas Semper com Democracia». Segnò due gol contro il San Paolo alzando in entrambe le occasioni il pugno chiuso per festeggiare.
Sócrates ha continuato a prendere parte al movimento Diretas Já che – sostenuto da sindacalisti, lavoratori, artisti, studenti e un’ampia sezione trasversale della società brasiliana – portò milioni di persone nelle strade e nel 1985 spinse per la transizione verso la democrazia. In un momento che è diventato una parte determinante della sua leggenda personale, mentre era finito nel mirino di alcune squadre in Italia, salì sul palco di fronte a una vasta folla di manifestanti a San Paolo e promise di non lasciare il Brasile se un emendamento costituzionale avesse approvato le libere elezioni. L’emendamento non passò, era solo una temporanea battuta d’arresto, ma Sócrates, in un atto di sfida, andò a giocare nella Fiorentina. La storia racconta che, quando arrivò in Italia, gli chiesero se ammirasse di più Sandro Mazzola o Gianni Rivera. «Non li conosco – rispose – Sono qui per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio».
Sócrates è ancora «un idolo» per molti brasiliani, tra cui Rosie Siqueira di Fiel Londres, un fan club londinese del Corinthians. «Era un ragazzo oltre il suo tempo, le sue opinioni e i suoi ideali in termini di cause sociali e politiche hanno illuminato così tanti fan, non solo i fan del Corinthians, ma anche i fan brasiliani – dice – Era anche un leader delle battaglie sociali, influenzando i giocatori e lo staff del club. Sócrates era di sinistra, si opponeva alla dittatura militare che avevamo in Brasile e difendeva la libertà e il diritto di parola… Non accade molto spesso nel calcio, sia esso sudamericano o globale».
Le forme con cui Sócrates ha trasformato il club sono ben documentati, ma il significato dell’identità del club – e quella dei suoi sostenitori – per lui viene spesso trascurato. «Siamo molto orgogliosi di essere uno dei pochi club con un capitolo così bello della nostra storia – afferma Siqueira – Il messaggio che c’è dietro vivrà sempre, e continua a ricordarci la nostra storia, la nostra origine, il nostro scopo. Corinthians proviene da origini povere, immigrate, della classe operaia. Non dovremmo mai dimenticarlo. Avere la democracia corinthiana nel nostro libro di storia ci aiuterà a mantenere vivo questo ideale».
Sócrates è morto nel 2011, all’età di cinquantasette anni, dopo aver lottato con l’alcolismo, lo stesso giorno in cui il Corinthians si è assicurato il campionato brasiliano. Aveva continuato a sostenere la politica radicale man mano che cresceva, praticando la medicina dopo il suo ritiro dal calcio, oltre a diventare un esperto, scrittore e conferenziere. Era un sostenitore di Luiz Inácio Lula da Silva – anche un ruolo fondamentale in Diretas Já e, guarda caso, un tifoso del Corinthians – durante il suo primo periodo come presidente del Brasile. «Il suo governo è stato il migliore nella storia del Brasile» disse di Lula. Ma Sócrates non è mai stato acritico. Quando gli è stato chiesto di valutare la presidenza di Lula, rispose: «Non gli do 10, dovresti cambiare tutto in una volta per avere quel voto. Direi un sette o un otto. È discreto».
Adesso, mentre disputa una Coppa del mondo avvelenata che dovrebbe vincere, la nazionale brasiliana è diventata un simbolo di divisione politica, lacerata da fratture ideologiche e linee di frattura. In vista delle elezioni generali di ottobre, vinte da un risorgente Lula, il presidente in carica di estrema destra Jair Bolsonaro ha incoraggiato i suoi elettori a indossare la famosa maglia giallo canarino della nazionale, con i suoi sostenitori che da tempo l’hanno cooptata per le manifestazioni e le proteste allineate a Bolsonaro. Di conseguenza, molti brasiliani che si oppongono a Bolsonaro – i cui sostenitori hanno sostenuto la ripetizione del colpo di stato militare del 1964 dopo la vittoria di Lula – hanno smesso del tutto di indossare la maglia. Non ha aiutato il fatto che diversi importanti nazionali brasiliani, in particolare Neymar, abbiano appoggiato apertamente Bolsonaro, con Lula che ha affermato che l’attaccante del Paris Saint-Germain ha sostenuto il suo rivale per motivi fiscali.
«Con quello che sta succedendo in questo momento, Sócrates è ancora una figura estremamente importante – afferma Andrew Downie, giornalista e autore del libro Doctor Sócrates – Si sente un sacco di gente in Brasile, specialmente durante la campagna elettorale quando ragazzi come Neymar dicevano di sostenere Bolsonaro, dire cose come: ‘Quanto ci manca un ragazzo come Sócrates, che si batteva per cause sociali, che si batteva per diritti umani, che si è battuto per la democrazia e le posizioni progressiste’… Era un ragazzo che si batteva per quello che pensava fosse giusto».
Diversi ex calciatori hanno dato il loro sostegno a Lula, tuttavia, in particolare il vecchio amico di Sócrates Casagrande e suo fratello minore Raí. Un giocatore fantastico a pieno titolo – e, a differenza di suo fratello, un vincitore della Coppa del Mondo – Raí ha alzato la mano destra per formare una «L» mentre presentava il Premio Sócrates alla cerimonia del Pallone d’Oro prima del ballottaggio presidenziale. «Sappiamo tutti da che parte starebbe Sócrates», disse con un sorriso.
Dato l’intervento aggressivo della Fifa anche contro i gesti più inoffensivi a favore dell’uguaglianza in Qatar, questa Coppa del Mondo chiede a gran voce un giocatore che evochi lo spirito di Messico ’86. Per i brasiliani che cercano di strappare la maglia della nazionale – e più in generale i loro emblemi nazionali – ai sostenitori di Bolsonaro, la figura imponente di Sócrates ricorda che l’estrema destra non avrà mai il monopolio dell’eredità della squadra nazionale. «Abbiamo battuto Bolsonaro in queste elezioni, ma questo non significa che il bolsonarismo sia finito, e le idee sul pregiudizio, il sessismo e il totalitarismo sono ancora in giro nel paese – dice Siqueira – Penso che il calcio, come al solito, gioca un ruolo importante nella società e avremo bisogno che lo spirito di Sócrates sia vivo con noi».
Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin il 5 dicembre 2022