Da molti anni, nel nostro Paese le proposte di tassazione progressiva delle grandi ricchezze incontrano due obiezioni di fondo, anche a sinistra. La prima è l’impossibilità di superare il senso comune.
Quel senso comune per cui le tasse sono un furto di Stato. Radicato anche nei ceti popolari, alimentato dal neoliberismo e dalla propaganda di destra, questo orientamento consolidato ha creato un fronte comune anti-tasse dai miliardari al popolo minuto. In particolare, nei confronti della tassazione delle grandi ricchezze si è diffuso il timore che si cominci dalle grandi per arrivare alle piccole, ovvero alla propria ricchezza. L’altra obiezione è l’estrema difficoltà di superare le tecniche di evasione ed elusione elaborate dai fiscalisti, e dalla pratica impossibilità di colpire i patrimoni collocati all’estero. Perciò anche a sinistra ci si è convinti che non vale la pena di rischiare molti voti per proposte che porterebbero poche risorse. Convinzione condivisa dal Pda-Ds-Pd e oggi dal M5S, e tuttavia sbagliata.
Soprattutto nella situazione attuale, con la crisi che attanaglia le persone aumentandone paure e disagi, ne cambia le abitudini e le convinzioni, v’è la possibilità di intervenire sul senso comune anti-tasse richiamando la necessità di una maggiore spesa pubblica per fronteggiare la crisi. Quanto al timore che l’aumento delle tasse finisca con l’estendersi alle ricchezze minori, si può superarlo con l’indicazione chiara del limite di reddito o di patrimonio al di sotto del quale si è certi di non pagare di più, e poi nella motivazione di questo limite, da esplicitare nella distinzione tra valore d’uso e valore capitale della ricchezza. Ovvero tra la proprietà della casa di abitazione, o di vacanza, e la proprietà di centinaia di immobili dati in affitto o in garanzia alle banche.
Questo genere di distinzione sulla quantità/qualità della ricchezza può agevolmente estendersi ai risparmi messi da parte per la vecchiaia rispetto agli investimenti milionari in titoli finanziari, ed anche alla piccola impresa centrata sul lavoro rispetto alla grande impresa dominata dal capitale.
La seconda obiezione, sulla fuga delle ricchezze minacciate dal fisco all’estero si supera in primo luogo considerando l’enormità delle cifre in campo. La ricchezza patrimoniale degli italiani supera i 10.000 miliardi di euro. Circa il 40% (4000 miliardi) è detenuto dal 3% più ricco dei contribuenti, con patrimoni dal milione di uro in su. Anche se una parte è all’estero, l’estero non è tutto un paradiso fiscale. Sulla lotta all’evasione, problema globale, v’è una rete di rapporti internazionali alla quale la politica non può sottarsi, salvo ricorrere poi alla «pace fiscale» e ai condoni, mentre gli apparati dello Stato (Esteri e Finanze) fanno il loro mestiere. Numerosi accordi internazionali sono stati stipulati di recente per evitare l’evasione e l’elusione fiscale, anche con effetto retroattivo, con singoli paesi. Soprattutto, nel 2017 c’è stato un Accordo generale con altri 50 paesi dell’Ocse. A seguito di questi accordi, l’Agenzia delle Entrate ha elaborato strategie di lotta all’evasione fiscale internazionale per potenziare lo scambio di informazioni e contrastare gli illeciti fiscali più diffusi come la residenza fiscale fittizia e l’illecito trasferimento all’estero di attività produttive. Perciò, anche nella situazione attuale vi sono strumenti che consentono allo Stato di intervenire fiscalmente sulle ricchezze all’estero. È questione di volontà politica, ovvero di indirizzo di Governo.
Naturalmente a livello internazionale si può fare molto altro, soprattutto nell’ambito dell’Unione europea. Trattandosi di prospettive future non è il caso di approfondirle in questa sede se non per ricordarne alcune. La prima è il superamento del principio dell’unanimità del voto in materia fiscale nel Consiglio dell’Ue, per evitare la concorrenza fiscale al ribasso ed avviare l’unificazione dei regimi in vigore.
La seconda è la proposta di Piketty di arrivare ad un «catasto finanziario pubblico», europeo e globale, dove raccogliere tutte le informazioni relative a cespiti e patrimoni. Sarebbe tecnicamente possibile per l’informatizzazione completa di tutti i dati relativi, e giuridicamente prefigurato da una legge statunitense del 2010, che obbliga tutti gli Istituti finanziari del mondo a comunicare al fisco Usa tutti i dati relativi ai cittadini americani.
In realtà, un forte ostacolo ad una politica fiscale progressiva è la resistenza degli istituti finanziari a limitare le ingenti quantità di denaro lasciate ai contribuenti più ricchi da una politica fiscale liberista, perché tale disponibilità è per lo più impiegata nell’acquisto di titoli finanziari, andando ad alimentare i relativi mercati e i soggetti che li dominano. Questa resistenza viene a volte contrastata dalla volontà degli Stati di reperire le risorse loro necessarie attraverso la tassazione delle grandi ricchezze, come dimostrano gli esempi degli Usa, della Francia e di altri. In Italia, com’è noto, l’indirizzo politico di governo in materia fiscale è stato sempre più condizionato dal grande capitale finanziario, fino alla totale subalternità attuale.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 30 agosto 2022