Quella che si appresta ad entrare nel vivo non è una campagna elettorale, piuttosto mi sembra il compiersi di un giudizio divino e universale, in cui si ritroveranno “giudicanti e giudicati” (Summa 89). Facile intuire chi siano i giudicati, ovvero gli empi cinque stelle, mentre i giudicanti sono i detentori dell’agenda, ovvero delle tavole della legge che in nome del popolo italiano tradito, si apprestano ad emettere l’inappellabile sentenza che condanna al rogo eterno e alla dissoluzione perpetua coloro che commisero il più orrendo dei peccati, la soppressione del Migliore.
Poco più in là in disparte, la trimurti destroide già assapora il gusto della vittoria e si prepara a dividere il bottino in un banchetto baccanale sulle spiagge dorate del Papeete, tornate a ospitare orde di odalische danzanti in perizoma, al suono tamburellante dell’inno nazionale stile bunga bunga.
Così si compie il destino e per questa ragione il garante Beppe Grillo di tutte le cazzate, il teorico di tutte le giullarate antisistema ha emesso la sua ultima fatwa “rigorosa applicazione del codice etico originario, mai un terzo mandato”. Su questa linea del Piave, la tragica pattuglia dei sopravvissuti guidati dal reietto Giuseppe Conte si appresta a combattere a mani nude e in campo aperto, circondati da masse sterminate di nemici, l’ultima fatale battaglia, un sacrificio degno dei mitici seicento cavalieri di Balaklava costretti al suicidio in un inutile e sanguinoso attacco contro le forze preponderanti dei nemici (guarda caso erano russi in Crimea). In realtà fuori di metafora e di ogni possibile dissacrazione, il destino del partito che appena quattro anni fa aveva vinto le elezioni con il trentadue per cento dei voti sembra segnato.
Ma in politica come nell’amore mai dire mai, in effetti l’arma del ritorno alle regole e alla tradizione, se saggiamente dosata e soprattutto che non appaia solo una trovata, può fare leva sull’elettorato straziato dei pentastellati, se si pensa che tutto il resto della compagnia degli altri partiti e movimenti presenterà i soliti volti noti, arcinoti, riciclati, transfughi e voltagabbana, la cui vista siamo abituati a subire in tutti i talk-show. Non è detto che questo fatto ridoni per incanto fresca energia ad un movimento-partito-non partito sfibrato ed esangue, ma può sicuramente ricompattare una base elettorale altrimenti senza alcuna bussola, votata all’astensione o al tanto peggio tanto meglio, ovvero alla Meloni.
Segnalo che in tema di rinnovamento la sinistra storica e anche di quella cosiddetta radicale è alla frutta, quel che un tempo era un sistema di regole e un costume di partito, le candidature non potevano essere più di una e la seconda se avevi meritato di farla, solo un nucleo ristretto di dirigenti prestigiosi aveva la facoltà della rielezione per ragioni indiscutibili ed obiettive di interesse del partito, oggi è sostituito dall’autonomina dei dirigenti, senza alcun forma di controllo della base ( anche perché non esiste il più delle volte).
Giova a tal riguardo dare una lettura ad alcuni articoli dello statuto del PCI del 1975, si legge di valori, principi e regole che sarebbe veramente bello poter rivedere in un’organizzazione politica, ma è solo un sogno.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 26 luglio 2022