Al centro-sinistra (al PD) spetta di chiarire subito la proposta elettorale. Mai come ora vale il detto “chi comincia bene è a metà dell’opera”. Cominciare bene significa scongiurare una tentazione: quella di presentarsi come partito-testimonianza del governo Draghi. Questa tentazione è comprensibile visto che il governo appena caduto è stato profondamente sostenuto dal PD, tanto da apparire più una sua espressione che l’espressione di una coalizione anomala. Il PD dovrebbe evitare di trasformare queste elezioni in un plebiscito pro/contro il governo Draghi. Sarebbe una scelta non oculata per almeno due ragioni.
Prima di tutto, perché quel governo è stato di “unità nazionale” e condizionato ad alcuni scopi predefiniti (non da Draghi né dalla stessa coalizione, ma dall’emergenza ben riassunta dal Presidente Sergio Mattarella al momento dell’insediamento) – invece, dalle prossime elezioni dovrà scaturire un governo di parte (di una maggioranza) e che duri un’intera legislatura, per il raggiungimento di scopi che saranno gli attori stessi a scegliere (e per i quali, appunto, chiederanno il voto agli elettori). In secondo luogo, il governo Draghi, benché autorevole nella leadership, dal momento in cui ha raggiunto gli scopi previsti ha mostrato alcuni limiti che sono da evitare, non replicare. Pensiamo in primo luogo alla questione “sociale” – che non è solo di alcune fasce di popolazione ma dell’intera collettività democratica, della sua capacità o meno di prendersi cura di tutti i suoi cittadini equamente e che non può accettare di avere una parte fuori del binario dell’eguale dignità a causa di politiche fiscali e del lavoro che favoriscono alcuni a scapito di altri. L’insoddisfazione sociale per il carovita, i salari da fame e l’endogena precarizzazione del lavoro ha cause antiche. Ma oggi, il punto critico è raggiunto. E il rischio, che chi studia il populismo conosce bene, è che non trovando una rappresentanza a sinistra, questa insoddisfazione sociale si volga a destra.
Qui si misura la differenza tra le proposte della destra e della sinistra – ovvero, la fine del governo di “unità nazionale e di scopo”. Le differenze emergeranno tutte e saranno dirimenti, come lo è il rispondere alla questione sociale con politiche di inclusione, di reddito di cittadinanza (pur riformato), di eguali opportunità di trovare lavoro e di poter contare su salari decenti. All’opposto, una risposta che fa perno su ideologie di esclusione, xenofobiche e di disprezzo delle minoranze, che predica la flat tax e strizza l’occhio agli evasori fiscali, sarebbe non solo ingiusta ma una rovina per le nostre finanze. Questo non è il tempo di un plebiscito sul governo Draghi, anche perché la polarizzazione che scatenerebbe andrebbe a tutto vantaggio delle posizioni estreme, che oggi trovano casa sicura a destra (dopo che si è alleggerita del centro).
Questo articolo è stato pubblicato su Domani il 22 luglio 2022