In un’udienza di appena sette minuti, il giudice della Westminster Magistrates Court di Londra Paul Goldspring ha emesso lo scorso mercoledì un verdetto molto ruvido: la decisione sull’estradizione negli Stati Uniti del giornalista fondatore di WikiLeaks Julian Assange è rimessa al ministro. Così ha detto. Il ministro in questione, rectius la ministra, è la titolare degli interni Priti Patel (quella appena tornata dal Ruanda per preparare l’arrivo degli immigrati respinti dal Regno Unito).Entro 28 giorni dovrà esprimere o meno il consenso. Il timore è che l’esponente ultrà del governo conservatore non batterà ciglia e firmerà. Il legale Mark Summers e la stessa consorte avvocata Stella Morris hanno annunciato un ulteriore ricorso. Assange ha potuto assistere al triste procedimento, ma solo in videoconferenza dal carcere speciale di Belmarsh, chiamato la Guantanamo inglese. Non è stato un giorno felice.
Il temuto inputdei togati sferra un ulteriore colpo al diritto di cronaca. Infatti, per chi eventualmente non ne fosse consapevole, attorno ad Assange si sta giocando una partita cinica e terribile. Di valore generale. Il giornalista australiano è il capro espiatorio di una vera e propria svolta repressiva. L’aria serena dell’ovest, ovviamente, non ha i tratti divenuti permanenti negli stati autoritari. In Russia o in Arabia Saudita o in Egitto, per fare qualche esempio, con il dissenso si rischia di venire uccisi. Ma, contrariamente a ciò che si usa ripetere nei talk (anche l’attenta Lilli Gruber ci è caduta), pure nelle blasonate democrazie occidentali le cose non vanno granché.
La consuetudine coercitiva nella normalità è rappresentata dai bavagli, dalle censure, dalle querele temerarie e dagli attacchi a chi osa un po’. La guerra, poi, ha tra i suoi orrendi effetti collaterali l’imposizione di una sorta di pensiero unico, insieme all’oscena esibizione di fake. La verità è un’eccezione e non è considerata utile. Il potere ha bisogno di segreti e di menzogne.
Ecco perché Assange va punito. A dispetto dei santi, di appelli autorevoli, di discrete iniziative diplomatiche per l’intanto senza successo, i meccanismi giudiziari stanno definitivamente condannando a morte colui che ha avuto il coraggio di alzare il velo sui crimini bellici dell’Iraq e dell’Afghanistan o sui linguaggi coperti delle cancellerie.
Ecco, Assange ha voltato lo sguardo sulle trame invisibili e ha urlato che il re è nudo. Cosa riusciremmo a sapere della guerra voluta dalla Russia invadendo l’Ucraina se WikiLeaks ci rendesse scampoli di realtà: senza guerriglie semiologiche, né manipolazioni continue.
Il quadro si appaleserebbe senza schermature.
Che si tratti di condanna a morte sotto altro nome è evidente: l’eventuale (purtroppo probabile) condanna che attende Assange al di là dell’oceano tocca un arco di tempo di 175 anni. Due vite.
Eppure, nel 2019 il relatore speciale delle Nazioni unite sulla tortura Nils Melzer aveva parlato di tortura psicologica, vista la lunga detenzione (iniziata di fatto nel 2010) di una persona cui non è mai stato rivolto un vero addebito specifico. Anzi, proprio per aggirare ogni ostacolo, l’imputazione ha tirato in ballo una legge sullo spionaggio nel 1917. Peccato che le notizie divulgate da WikiLeaks siano state utilizzate da rinomate testate della scena internazionale, senza conseguenze penali o amministrative. Bisognava, però, creare il mostro, secondo le peggiori politiche criminali. Non sono colpevoli i guerrafondai o gli allora capi di stato, bensì un giornalista dedito con enorme passione al suo mestiere. Mestiere dimenticato da tante e tanti che pure potrebbero e dovrebbero.
Già un altro mostro fu creato, anzi una mostra, l’analista dell’intelligence Chelsea Manning che fornì i materiali scottanti. L’ex presidente Obama la graziò nel 2917, anche se in seguito tornò in carcere per aver rifiutato di testimoniare. Dal marzo del 2020, però, è libera.
E l‘attuale presidente Biden sarà mai sensibile all’argomento?A fronte di quanto accade nella guerra in corso c’è poco da sperare. Ogni tanto, però, il destino ci sorprende e lo spirito santo laico magari provvede.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 21 aprile 2022