Anche le leggende possono prendere una cantonata. Ma forse in questo caso è meglio parlare di inganno. Ai danni non solo di un astro del panorama underground, ma anche di tutta la comunità che aveva preso in simpatia l’iniziativa di un gruppo ucraino, realizzata in seguito all’invasione russa.
La cover dei Clash
Billy Bragg, 64 anni, apprezzato cantautore britannico, autore di un potente mix fra folk, rock e soul e dalla cristallina attitudine punk, con una lunga storia di attivismo al fianco dei lavoratori e degli oppressi, l’altra sera ha postato sul suo profilo Facebook il clip dei Beton, una band ucraina, impegnata a eseguire una cover dei Clash, storico gruppo del punk inglese con il cuore che ha sempre battuto a sinistra. Il titolo era stato mutato in “Kyiv calling”, un richiamo alla resistenza del popolo ucraino contro l’attacco russo, ma anche un appello alla solidarietà internazionale. Secondo alcune fonti in rete la rivisitazione era stata approvata dai componenti dei Clash rimasti in vita (il leader Joe Strummer è morto nel 2003). E i fondi raccolti dai download nel pezzo sarebbero dovuti andare al Free Ukraine Resistance Movement.
Quegli scatti inquietanti
“Dopo aver passato qualche ora a discutere del testo della canzone e del fatto se Joe Strummer avesse approvato o meno la cover – racconta Billy Bragg su un post pubblicato oggi, lunedì 21 marzo, ancora sul suo profilo – qualcuno mi ha segnalato una serie di fotografie pubblicate sulla pagina Facebook” dei Beton. In quegli scatti i componenti del gruppo indossano t-shirt con una rivisitazione del logo dei Ramones, un’altra band che ha scritto la storia del punk. Le magliette portate dai musicisti ucraini, però, hanno una grafica parecchio ambigua, per non dire schierata. All’estrema destra
Il nome Ramones che sormonta il logo è stato rimpiazzato dalla scritta “Banderas”. Anche i nomi che circondano il simbolo – un’aquila con ramoscello d’ulivo e mazza da baseball fra gli artigli – sono stati cambiati. “Non tutti sono visibili – racconta Bragg – ma uno si legge chiaramente ed è Stepan“. Un chiaro riferimento a Stepan Bandera politico ucraino nato nel 1909, un ultranazionalista ammiratore di Adolf Hitler che, nel corso della seconda guerra mondiale, collaborò con i nazisti. Un rapporto tormentato, il suo, con i tedeschi, dato che dopo aver fornito loro un sostegno attivo venne portato in un campo di concentramento come detenuto politico. Una volta liberato, riprese la sua attività al fianco dei nazisti, aiutandoli in missioni di sabotaggio contro l’Armata Rossa. Nel 2010, a quasi 20 anni dall’indipendenza, è stato nominato eroe nazionale dell’Ucraina. E molti ucraini lo hanno inserito nel pantheon anti-russo, in questo periodo di guerra ma anche in precedenza, soprattutto dai fatti della protesta Euromaidan nel 2014.
L’opinione di Bragg
L’elevazione di Bandera a eroe, è la convinzione del cantautore, è fra le motivazioni che Putin utilizze “per legittimare l’invasione dell’Ucraina, definendola una campagna di ‘denazificazione’, nonstante nel 2019 tutti i partiti di estrema destra ucraini si siano uniti in un cartello elettorale, ottenendo solo il 2,15% dei voti”. Risultato miserello, è il ragionamento di Bragg, per avvalorare una necessità di “denazificazione”. Soprattutto a suon di bombe e massacri di civili.
La “marcia indietro”
L’autore del capolavoro “Levi Stubbs’ tears”, dedicata al cantante del gruppo soul americano Four Tops, ha scritto su Facebook ai Beton, chiedendo loro di spiegare quelle foto. Dalla band, dopo 24 ore, non è arrivata alcuna risposta. Così ha deciso di cancellare il suo post precedente. “Possiamo discutere del significato di ‘London calling’ e di quello che avrebbe detto o meno Joe Strummer riguardo il cambio di testo, ma possiamo essere sicuri che non avrebbe mai permesso l’utilizzo di un suo brano da parte di una band che ha espresso il supporto per un fascista“.
La risposta dei Beton
I Beton hanno affidato la loro replica ai social. Respingendo le accuse. “Bandera – si legge su Facebook – è un eroe per molti ucraini, simbolo di resistenza all’occupazione russa e di Maidan. Ha anche trascorso molti anni in un campo di concentramento nazista come prigioniero. Condanniamo le atrocità commesse in nome di Bandera. In quanto a noi, abbiamo registrato il pezzo perché amiamo i Clash e le loro posizione su resistenza e oppressione. Proprio come loro, siamo antifascisti e antirazzisti”. Parole che non spengono la polemica. E che, comunque, non spiegano come sia concilabile la scelta di indossare una maglietta che esalta un politico filonazista e dichiararsi antifascisti.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Giorno il 21 marzo 2022