Esaminare ciò che è successo allo studente di Udine non è facile, perché occorre fare un po’ di chiarezza, sapendo bene che il problema sicurezza nei luoghi di lavoro è un tema molto importante che però dovrebbe essere osservato e discusso con molti più elementi, soprattutto quando il rapporto si inserisce con la formazione e l’istruzione scolastica.
Da insegnante ho avuto molto da ridire, ho infatti fortemente criticato la facilità con cui la L. 107/17 si è applicata. Fra l’altro solo alcuni aspetti della legge hanno avuto finora attuazione: per esempio non si sono scritti decreti sulla possibilità per i docenti con più lauree di insegnare, come succede in Germania, più discipline. Sarebbe stata un’innovazione importante per me. Poi tralascio la riforma per la scuola media di primo grado, mai avvenuta dopo il 1969 nonostante le tante riforme dei diversi ministri. Rimane il vero nodo formativo attuale. Sulle pagine del blog del Manifesto in rete si possono ritrovare vari articoli dell’analisi scritti subito dopo la promulgazione della legge.
Queste premesse per non essere tacciata di acquiescenza di quella politica scolastica!
L’Alternanza Scuola Lavoro, tre anni dopo definita Progetto Competenze Trasversali per l’Orientamento, è la parte della legge che ebbe subito applicazione. Subito vuol dire dall’anno scolastico 2017/18 nonostante, come ricordavo nell’analisi, alcuni commi potevano far supporre altro. Già ho più volte ricordato il caotico modo di legiferare che i nostri rappresentanti hanno. C’era contraddizione nell’applicazione dovuta ad un’interpretazione che ricalcava gli spot politici di allora; l’ASL/PCTO si sarebbe potuta tranquillamente programmare dall’anno successivo. Tuttavia c’è stata una voglia politica da parte di tutti di affrettare il suo inizio che comunque fece partire i reali progetti soltanto nella primavera dell’a.s. Ancora una volta non si tenevano in debito conto i tempi della scuola. La politica e l’amministrazione sempre distanti dalle pratiche, anche se fa sfoggio di best practices, giusto per usare un termine inglese! Altra contraddizione: la maggioranza di studenti italiani non sa confrontarsi con i coetanei in questa lingua se fa solo il corso curricolare scolastico! Pensare ai proclami sull’inglese alla scuola primaria (allora ancora elementare) fa capire meglio la discrasia fra i tanti interventi normativi degli ultimi anni e le sempre più complesse pratiche quotidiane scolastiche; cause anche queste dell’allontanamento dalla buona didattica, che fra l’altro sarebbe auspicabile con l’importanza data alle prove INVALSI o PISA.
Ritorno all’ASL/PCTO. In tanti istituti, soprattutto liceali, dalla primavera del 2017/18 si organizzarono molto faticosamente le prime co-progettazioni. La fatica era dovuta in sintesi a molti elementi ed il mio elenco è certamente solo per difetto: i tempi di applicazione che, dopo i dovuti corsi di formazione ai docenti, si intersecarono con il periodo dell’anno più difficile, cioè l’ultimo periodo prima degli scrutini finali; disapprovazioni da parte di molti docenti, esprimevano tante critiche chiacchierate nei corridoi assieme a rifiuti collaborativi (ho vissuto anche i primi CLIL – Content Language Integrated Learning – in questo modo, fra l’altro anche nei licei linguistici!), più che sindacalmente efficaci.
Però non in tutti gli indirizzi di studi nelle secondarie di secondo grado si opponevano reali critiche. Nei tecnici e nei professionali si era in genere più favorevoli. Del resto le riforme di alcuni anni prima avevano portato a diminuire, soprattutto negli indirizzi industriali le ore dedicate all’insegnamento delle pratiche (es. nelle officine) delle materie di indirizzo. Altri elementi ostacolanti l’organizzazione anche negli anni successivi (forse lo sono ancora), erano l’insufficiente interesse dei singoli consigli di classe a organizzare una reale co-progettazione, come chiedeva e chiede ancora la legge, poi le difficoltà di trovare aziende o istituzioni pronte e/o interessate a seguire gli studenti. Si ricorderà che le aziende hanno chiesto a lungo al Governo le risorse economiche per ospitare gli studenti. In questo caos organizzativo comunque si andò avanti perché si voleva, anche in base a ciò che molte leggi regionali già ipotizzavano (vedi legge Emilia-Romagna), creare un sistema duale di formazione, sulla falsariga di quello tedesco. E intanto la scuola perdeva in termini di didattica curricolare, un’erosione sempre più accentuata.
Nella L. 107/17 si diede poi subito alle scuole l’onere di organizzare i corsi di formazione alla sicurezza per gli studenti, in base alla L. 81/08; infatti le aziende non vollero assumersi la formazione di base e di primo livello che in pratica dev’essere per tutti e secondo me non solo per i lavoratori. I docenti fecero corsi di formazione dedicati alla L. 81/08 e, prima di avviare i progetti di ASL le classi seguirono i corsi e fecero questionari finali di valutazione. L’onere dei corsi fu perciò degli uffici ministeriali che si rivolsero alle AUSL regionali dedicate a questo servizio. Qualche anno dopo a loro si sostituirono i percorsi online organizzati dalle varie aziende che già avevano istituito i registri elettronici. Un altro business veicolato dall’istruzione, come sempre tanti soldi ministeriali spesi per una pronta formazione dei docenti buttati al vento. I livelli successivi al primo grado di sicurezza destinati all’ASL/PCTO furono effettuati come lo sono anche oggi in collaborazione con le aziende e sono destinati per lo più agli studenti di scuole tecniche e professionali soprattutto di indirizzi industriali o chimici, all’interno delle aziende stesse; dovrebbero essere seguiti dai docenti tutor delle classi oltre che da quelli aziendali. Forse non sempre viene dedicato a ciò la necessaria attenzione.
Fin qui la storia della legge.
Un momento di riflessione merita il tipo di attività scuola-lavoro di cui si parla nel caso mortale di Udine. Non mi sembra che si tratti di un percorso scolastico vero e proprio, ma è uno dei percorsi di stage aziendali all’interno delle tante sfaccettature formative del sistema duale odierno italiano, soprattutto quando al termine del percorso formativo (e non è sempre scolastico) lo studente fa forse più ore in azienda che a scuola o più propriamente nelle aule della formazione professionale). Leggendo i resoconti giornalistici mi sembra si tratti di un caso di quest’ultimo tipo. Tuttavia mi può rimanere il dubbio, visto che spesso dagli articoli di giornale o dalle interviste televisive si evita di approfondire adeguatamente questi aspetti.
Al di là della gravità del fatto continuo a vedere che manca la necessaria chiarezza e si faccia spesso “di tutta un’erba un fascio”.
Così mi chiedo: chi sta manifestando in piazza? Per che cosa realmente? Non capisco più chi va in piazza a manifestare, fra l’altro sempre di venerdì e in un momento in cui sono convinta che fra i manifestanti ci siano anche molti no-vax che da tempo stanno cercando di portare false problematiche per creare confusione in un’Italia molto debole politicamente. Per esempio mettere in collegamento il ’68 (forse sarebbe meglio specificare il ’67) con le manifestazioni odierne mi sembra sbagliato comunque; ricordo Pasolini che prese le difese dei poliziotti. Lo ricordo ancora di più se penso al rivoluzionario che diventò un politicante a me poco simpatico, anche perché si è professato di sinistra mantenendo e cercandosi però molti privilegi. La nostra storia politica dovrebbe ricordacelo di più.
Poi è vero che gli studenti devono avere ascolto, ma si dovrebbe dare ascolto anche alle altre categorie scolastiche, ai docenti prima di tutto. In questi anni sono stati impoveriti per risorse economiche non date per i contratti nazionali di base, ma destinate ad incentivi molto più organizzativi che didattici (vedi le funzioni strumentali per esempio). Hanno perso una dignità professionale anche a causa di continue riforme che hanno dato sempre più lustro e risorse agli enti esterni e ai “progettifici“ diluendo i tempi della didattica, principale funzione della scuola. In pratica si sono de-professionalizzati all’interno dell’unica istituzione che per concorso pubblico li dovrebbe riconoscere unici formatori sociali; in più è aumentata l’ansia di risultato e il lavoro si è ridotto a valutazioni continue più che a insegnamento.
Torno alla legge e all’ASL/PCTO; verifico un’altra incongruenza fra le piazze di studenti delle scuole (solo loro presenti?) e le risposte che ho da parte di molti studenti degli istituti tecnici e professionali, soprattutto industriali. Per la maggior parte di loro la possibilità di andare in azienda è importantissima: possono imparare meglio (molti dicono di più alludendo ai contenuti reali richiesti dal mondo del lavoro per salari futuri. Quindi sono in genere contenti, perché il loro obiettivo è quello di trovare un immediato lavoro, magari in quelle stesse officine in cui hanno fatto il PCTO. Spesso succede.
Un’altra considerazione sempre derivata dalle mie esperienze: si è proprio sicuri che qualche attività lavorativa, qualche esperienza non sia utile anche a chi fa il liceo? Non è utile per loro “sporcarsi un po’ le mani”? Non è solo una questione di apprendimenti trasversali, delle soft skills, ma è dal mio punto di vista anche un modo per sviluppare a livello adolescenziale, una relazione con adulti in ambienti diversi alla famiglia e alla scuola o gruppo sportivo. Riusciremo a sviluppare adulti ed intellettuali più rispondenti alle realtà e meno rivolti solo al proprio ombelico, cioè “con la puzza sotto al naso”, quindi per la promozione di un futuro di uguaglianza maggiore? Dalle esperienze liceali pochi sono disponibili a seguire percorsi formativi organizzati da Libera o da altre associazioni che seguono la cura di persone in difficoltà. I più sono interessati a fare lavoro estivo se hanno un immediato tornaconto economico e di crediti formativi, meno per mettersi a confronto con le loro reali competenze di vita. Molte co-progettazioni hanno questi obiettivi.
Lascio ad un futuro intervento l’esame delle molteplici cause che possono essere analizzate rispetto ai tanti infortuni odierni sul lavoro in senso lato; qui mi limito solo a sottolineare la superficialità con cui i corsi sulla sicurezza sono seguiti da molti studenti e probabilmente da molti lavoratori che non pensano in primis ai loro diritti di essere informati e formati adeguatamente e al loro dovere di usare i Dispositivi di Protezione Individuale, oltre che di pretenderli, come dice la L. 81/08. Superficialità e inconsapevolezza oltre che disattenzione non dovrebbero essere ammesse quando si affrontano i pericoli; occorre invece essere sempre in grado di far fronte alla diminuzione del rischio. Sono i temi principali da far passare a mio parere per rendere responsabili di più studenti e lavoratori, ma anche cittadini di ogni età. Queste le finalità con cui ho sempre formato gli studenti, in fondo è educazione.