Lo scontro nel Consiglio dei ministri sull’ultimo decreto-Covid si è composto in una decisione unanime che non inganna nessuno. Una misura di conflittualità, in una composita maggioranza politica, è normale. Ma il contrasto con la Lega è tutt’altro che sanato.
E la spaccatura che porta i ministri leghisti a un comunicato pubblico di “non acquiescenza” è, per quel che ricordiamo, una primizia. Qui non vediamo un trattato di pace, ma al più un armistizio, o una tregua temporanea. Certo può avere influito la contestualità con il Colle. Ma se ne traggono comunque indicazioni sul governo. Almeno due le domande. Potrebbe una simile compagine governativa resistere fino al 2023? E qualora ciò accadesse, quali politiche riuscirebbe a produrre?
Preoccupa che le mediazioni di Draghi conducano a sintesi che non perseguono obiettivi strategici, ma sono il punto mediano di spinte e controspinte. Leggiamo che l’obbligo vaccinale a 50 anni è stato il frutto dello scontro tra i fautori dei 40 e quelli dei 60. E se le trincee politiche fossero state 40 e 70, ci saremmo fermati a 55 anni? Applicando questo metodo si è nel tempo dato luogo a una selva inestricabile di regole differenziate su green pass, tamponi, trasporto pubblico, accesso a luoghi di lavoro, di studio, di acquisto e di svago. Differenze dalle quali derivano discriminazioni nell’esercizio dei diritti e nell’assunzione di responsabilità.
Qui si sconta il ritardo nell’assunzione di un obbligo vaccinale generalizzato. Una decisione in tal senso avrebbe semplificato radicalmente il quadro normativo, consentendo al tempo stesso una comunicazione più efficace, e probabilmente riducendo assai l’area di incertezza e confusione che ha alimentato e alimenta il campo No-Vax. Per di più, dobbiamo ancora una volta ribadire che la scelta dell’obbligo vaccinale è stata ed è anche la scelta indicata dalla Costituzione.
Sbaglia chi sostiene che l’obbligo è l’opzione più lesiva della libertà individuale. Al contrario, è quella che la tutela meglio, perché impone un singolo obbligo, la cui osservanza apre la via al più ampio esercizio di tutte le libertà. Quel che conta, secondo il dettato dell’art. 32 della Costituzione, è che l’obbligo sia stabilito con legge o atto equivalente, e che sia perseguito un fine di tutela della salute come interesse della collettività. Ovviamente, la legge deve rispondere a principi di necessità e proporzionalità nella definizione dell’obbligo, da commisurare in base all’obiettivo da realizzare e tenendo conto delle risultanze della scienza medica. La discrezionalità del legislatore non potrà essere assoluta. Realizzate queste condizioni il principio di autodeterminazione, che lo stesso art. 32 riconosce con il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, cede.
Non c’è dubbio che tale sia il caso per la pandemia. Si potrà mai affermare il contrario quando la realtà mostra centinaia di migliaia di contagi giornalieri? Quando un ridotto numero di non vaccinati produce il maggior numero di malati nelle terapie intensive e nei reparti Covid? Quando il sapere medico, praticamente unanime, suggerisce l’obbligo come unico strumento efficace, oggi e in prospettiva domani, per evitare il peggio? I sindacati da tempo, ora anche Confindustria, il mondo della scuola chiedono l’obbligo vaccinale. Persino l’opinione pubblica è in larga maggioranza favorevole all’obbligo. E dunque come si spiega che solo ora, e solo parzialmente, tutto questo si traduce nell’azione di governo?
È un sintomo di debolezza genetica, che preoccupa ancor più se si amplia l’orizzonte al di là del problema Covid. Sarà centrale nell’azione di governo l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Da ultimo, il governo ha presentato in Parlamento la relazione sullo stato di avanzamento. Sul tema cruciale della riduzione delle diseguaglianze territoriali ed in specie del divario Nord-Sud studiosi ed esperti hanno già manifestato motivate riserve e preoccupazioni. C’è stato anche qualche balbettio ministeriale difensivo in chiave di correzione (Intervista a Giovannini, Ilmattino.it, 3 gennaio 2022).
Ma il problema non è una diversa prospettazione. Piuttosto, manca un obiettivo strategico necessario al rilancio del paese tutto. Mentre il presidente del Veneto Zaia continua a pubblicizzare le sue trattative in sede ministeriale – sempre segrete – per l’autonomia differenziata, che con il Pnrr per nulla si concilia. Sarebbe domani moneta di scambio per ottenere ulteriori acquiescenze?
Non serve al paese un esecutivo che definisce l’indirizzo politico solo come punto di caduta di spinte contrapposte. Da quel che è accaduto in Consiglio dei ministri viene una lezione chiara. Non basta che su Quirinale e governo il ceto politico pensi solo alla propria battaglia navale.
Questo articolo è atato pubblicato su il manifesto il 7 gennaio 2022