Trascorse 24 ore da quando si è diffusa la drammatica notizia della morte di Gino Strada, inizia a sorgere una domanda: quel cordoglio unanime espresso dalla politica italiana era davvero tutto sincero?
Il ritratto di Strada che si è andato via via componendo nel pomeriggio e nella sera di ieri ha prodotto l’immagine di un filantropo buono che per decenni, con l’organizzazione non governativa da lui fondata, Emergency, ha perseguito imparzialmente una nobile missione: salvare vite umane.
Strada è stato questo ma non solo questo. Togliere dal ritratto il resto, ha consentito un’operazione tipica di parte della politica: omaggiare i morti dopo averli osteggiati quando erano vivi. Cos’è quel resto che manca a quel ritratto?
L’ammissione che se Emergency, Amnesty e altre organizzazioni non governative esistono è anche e soprattutto per rimettere insieme cocci, corpi e anime fatti a pezzi da politiche scellerate, basate sul diniego dei diritti umani, su alleanze irresponsabili e spregiudicate, su forniture di armi e sulla guerra. Manca proprio quel “no alla guerra”, che Strada ha sempre indicato come pre-condizione per il rispetto dei diritti.
Manca infine un doveroso riconoscimento: che Strada aveva capito bene e da tempo che il diritto alla salute era minacciato e reso fragile non solo in Afghanistan ma anche in Italia, che anche nel nostro paese sarebbe stato necessario rimettere insieme i cocci di una sanità pubblica smantellata senza pietà da politiche di privatizzazione che avevano trasformato il “paziente” in “cliente”.
Ha salvato innumerevoli vite umane, Strada. Questo è stato giustamente ricordato. Ma, salvo poche eccezioni, sono state rimosse le sue sacrosante accuse alle politiche locali, regionali e globali che di vite altrettanto innumerevoli fanno strage quotidiana: un esempio tra tutte, le dure parole pronunciate da Strada sugli accordi Italia-Libia nel 2017.
Questo articolo è stato pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 14 agosto 2021