Come era nelle previsioni, è stata annunciata la questione di fiducia sulla riforma della giustizia. Quindi sul dibattito parlamentare calerà la mannaia, per porre argine al fiume degli emendamenti. Tenendo conto della disponibilità manifestata per qualche modifica, possiamo aspettarci un emendamento governativo, e i prossimi giorni ci diranno se sarà maxi, midi o mini. In ogni caso, è l’ennesimo schiaffo a un parlamento già esanime.
La ministra Cartabia insiste che la riforma è passata in consiglio senza obiezione alcuna. Ribadisce che la proposta era stata oggetto di ampio confronto e discussione, e concordata con tutti. Ovviamente, le crediamo. Ma vorremmo proprio sapere con chi ha discusso e concordato. Come vorremmo sapere se chi ha votato in consiglio dei ministri aveva letto le carte. Che in Italia ci sia una giustizia troppo lenta non c’è dubbio alcuno. Bisogna intervenire. Ma come? Certo, una pressione viene dall’Europa, che però non chiede questa o quella soluzione tecnica, ma soltanto una giustizia più efficiente e rapida, come vogliamo tutti. Quindi la responsabilità del che fare rimane tutta presso la politica italiana.
E rimangono domande che fin qui non hanno avuto risposte adeguate. È vero o no che con la formulazione attuale della proposta un gran numero di processi andranno al macero? Quanti, e dove? È vero o no che il limite per i reati commessi prima del 2020 non regge? È vero o no che potrebbe comunque cadere in Corte costituzionale? È vero o no che numerose Corti di appello non sono in grado di reggere l’urto della riforma? Quali? È vero o no che non ci si può attendere risultati epocali da un ufficio del processo popolato di giovani alle prime armi da formare e per di più assunti a tempo determinato? È vero o no che, se pure contribuissero a smaltire l’arretrato, al termine del contratto quell’arretrato ricomincerebbe a crescere?
È vero o no che tale infausto esito si eviterebbe solo con progetti pronti e risorse immediatamente disponibili – che invece mancano – per il rafforzamento degli organici dei magistrati e del personale e per le strutture? È vero o no che una maggiore rapidità ed efficienza del processo penale richiederebbe un deciso intervento anche sulla capacità investigativa che ne è la premessa, in termini di personale qualificato e di disponibilità di tecnologie avanzate? Infine, è vero o no che si vuole insistere su norme di sicura incostituzionalità come l’indicazione con legge di priorità per l’azione penale da parte del pubblico ministero? Per il significato di principio e gli effetti potenziali, è un punto almeno grave quanto il contenuto disomogeneo dei decreti-legge, l’abuso di emendamenti e maxi-emendamenti e l’inserimento di norme non urgenti fortemente – e giustamente – censurati da Mattarella.
La magistratura ha mostrato qualche esitazione, probabilmente per il clima particolarmente sfavorevole determinato dalla vicenda Palamara, e ora confermato dall’attacco referendario. Ma da ultimo la sesta commissione del Consiglio superiore della magistratura ha dato sull’improcedibilità un parere fortemente negativo, che peraltro la Cartabia non aveva chiesto. La ministra chiede ora che il Csm si pronunci su tutti gli emendamenti. Il corto circuito con l’accelerazione posta dalla questione di fiducia potrebbe rendere impossibile il parere in tempo utile. Che sia o meno una mossa dilatoria della ministra conta poco. Il parere della sesta commissione rimane, e anche l’Associazione nazionale magistrati ha manifestato un fermo dissenso.
E la politica? La tentata riforma “epocale” di Berlusconi e Alfano nel 2011 – cui questa somiglia non poco – destò opposizioni ben più nette e decise. Così, aspettiamo di sapere quali sono le – piccole? – modifiche necessarie per il Pd. Come aspettiamo che sia sciolto il mistero M5S. E ci preoccupa molto che Conte sia di mestiere – per quel che sappiamo – un civilista. Potrà chiarire alla Cartabia che in grandissima parte i processi di mafia non hanno a che fare con l’ergastolo?
Comunque sia, sulle riforme un segno politico c’è sempre. E per quanto ci riguarda è decisiva la valutazione di Salvini. Si è da ultimo speso per l’assessore sceriffo di Voghera. Non dubitiamo che chiederebbe la più dura condanna per il poveraccio che rubasse per fame una mela al supermercato. Da par suo, sulla riforma ha dichiarato che non toccherebbe una parola.
Questa è una riforma di destra nata da una politica sotto anestesia per Covid e governo istituzionale.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 24 luglio 2021