Tra divergenze tattiche e divisioni geopolitiche, la coalizione dei partiti ultra conservatori e dell’estrema destra pare ormai un esperimento morto sul nascere
Quasi tre mesi fa, le testate continentali preconizzavano l’ennesimo radicale sconvolgimento di alleanze all’interno del parlamento europeo. Il primo aprile il premier ungherese Viktor Orbán e quello polacco Mateusz Morawiecki si ritrovavano col leader della Lega Matteo Salvini per lanciare un progetto di rinascita europea fondato su valori ultraconservatori. A quel primo incontro esplorativo doveva farne seguito un altro a maggio. Gli esponenti dei tre partiti di ultradestra hanno invece privilegiato incontri con altri partner in ottica transnazionale. Nonostante l’insistenza di Orbán e Salvini, il progetto di un’Internazionale di ultradestra procede a rilento a causa di tensioni tra i diversi potenziali membri, suggerendo – ancora una volta – che la strada per un fronte comune «nativista» nell’Europarlamento è in salita e tutt’altro che scontato.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro. A marzo 2019, il Partito popolare europeo (Ppe) muove un primo passo – timido e tardivo – sospendendo il partito di Orbán, Fidesz, in risposta alla sistematica erosione dello stato di diritto perpetrata negli ultimi undici anni dal partito-membro ungherese. Fidesz è rimasto separato in casa Ppe fino a marzo di quest’anno quando, anticipando un’imminente procedura di espulsione nei propri confronti, ha abbandonato il gruppo. Fidesz è dunque orfano di gruppo nel Parlamento europeo, il che significa meno risorse finanziarie e tempo di parola durante i dibattiti. Si spiega quindi così l’urgenza di definire nuove alleanze europee.
L’alleato naturale di Fidesz è il partito polacco PiS (Diritto e giustizia). Il partito di Jarosław Kaczyński, membro di punta dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), è al potere dal 2015 e segue pedissequamente le orme tracciate da Orbán in Ungheria. Non a caso, i governi di Varsavia (nel 2017) e Budapest (nel 2018) sono stati soggetti a procedure di infrazione dell’art. 7 del Trattato Ue per la trasgressione dei principi fondanti dell’Unione. Le contiguità tra i due partiti non sono dunque soltanto ideologiche (nativismo e ultraconservatorismo) ma anche pragmatiche. Finché i due partiti faranno fronte comune, sanzioni nei confronti di Polonia e Ungheria si dovranno scontrare col veto dei loro governi in sede europea.
Fidesz e PiS hanno fatto proseliti tra formazioni di ultradestra. In primis Fratelli d’Italia (FdI), che mantiene da tempo contatti amichevoli con Orbán e che col partito di Kaczyński è legato da una formale alleanza nell’Ecr, di cui Giorgia Meloni è presidente dal 2020. Dunque perché l’incontro tra Orbán, Morawiecki e Salvini a inizio aprile? Dopo la fuoriuscita dal Ppe, Orbán vuole preservare visibilità internazionale e un ruolo da protagonista-smantellatore dell’impianto liberale dell’Ue. La semplice adesione all’Ecr relegherebbe Fidesz a un ruolo subalterno. Dopo l’emorragia di consensi degli ultimi due anni, il partito di Salvini ha invece bisogno di una scossa – dettata dalle frange più moderate del partito – che passa anche dalla ridefinizione delle alleanze europee. L’attuale affiliazione al gruppo Identità e democrazia (Id) con il Rassemblement national della Le Pen e l’Alternativa per la Germania è considerata troppo compromettente per un partito che aspira a guidare la destra italiana e il prossimo governo. Il sostegno al governo Draghi e l’approvazione del Recovery Plan da parte della Lega sono stati infatti maldigeriti dagli alleati di Id, ma sono dettati esattamente dall’ambizione del partito di ripulire la propria immagine in ambito domestico e internazionale, pur accostandosi a forze illiberali di governo. Al contempo, la Lega deve fare i conti con l’ascesa di FdI, che ha ampiamente beneficiato degli errori politici commessi da Salvini. Quindi non c’è solo l’aspirazione da parte di Salvini di ridefinire le alleanze europee tramite la fondazione di un nuovo gruppo che includa membri di Ecr e Id (in linea dunque col piano di Orbán), ma anche l’obiettivo di aggirare il partito della Meloni nello scacchiere internazionale.
A fine maggio, l’Ecr ha invece rinsaldato le fila con un simbolico incontro tra Meloni, il premier polacco Morawiecki e l’astro dell’ultradestra spagnola Santiago Abascal (Vox). Il leader di Vox incontrava negli stessi giorni Orbán a Budapest – in tutta probabilità per rinnovare l’invito a Fidesz ad aderire a Ecr. E giusto la scorsa settimana, il premier ungherese ha rinunciato ad assistere a Germania-Ungheria, formalmente per un incontro con la leader di FdI ed Ecr a Bruxelles. Mentre il governo ungherese ratifica l’ennesima legge anti-Lgbtq, Meloni e Orbán ribadiscono quindi i fondamenti del futuro europeo: patria e famiglia (tradizionale).
Nel frattempo, Salvini continua a lanciare appelli ai membri del proprio eurogruppo, proponendo a Id, Ecr e Ppe di abbandonare sigle individuali e aspirare a diventare il primo gruppo europeo. La prospettiva, prontamente liquidata da Forza Italia (membro Ppe), ci ricorda che il ballo delle alleanze ruota tutto intorno a Ecr e Id. Tuttavia, né gli uni né gli altri sembrano voler rinunciare al proprio status indipendente all’interno dell’Europarlamento, così come Orbán non sembra disposto ad accontentarsi di un ruolo secondario nell’Ecr (o qualsiasi altro gruppo).
Sebbene le sorti europee di Fidesz restino in divenire, il tentativo di Salvini di scalzare Meloni e smembrare Ecr sembra essersi risolto in un nulla di fatto. FdI resta ancorata ai suoi partner europei, mentre è ora la Lega a figurare separata in casa Id e in affanno a livello (nazionale e) internazionale. La storia di alleanze transnazionali tra partiti di ultradestra è costellata di tentativi falliti e le mire e rivalità emerse in queste ultime settimane ne sono fedele testimonianza. Ma seppur si riuscisse a superare l’attuale configurazione di alleanze e affermare un supergruppo di ultradestra con (alcuni) membri di Ecr e Id, l’Internazionale in questione è destinata a vacillare – come sempre – a fronte di divisioni politiche interne e a esercitare dunque minor influenza di quanta presagita. Da un lato, una comune agenda ultraconservatrice non può supplire a divergenze in ambito di politica internazionale (le tendenze filorusse di Lega e Fidesz si scontrano con la russofobia di PiS) e immigrazione (i governi di Visegrád restano fermamente contrari a quote di redistribuzione, a scapito di paesi di primo arrivo come l’Italia). Dall’altro, i numeri di un supergruppo di ultradestra potrebbero bastare a elevare l’asticella dell’ostruzionismo nell’Europarlamento, ma non a dettare l’agenda. I gruppi liberali e progressisti continuerebbero comunque a convergere politicamente e a surclassare i «nativistiı». A dispetto di tutto il clamore, l’ultradestra europea dunque è e continua a essere molto più divisa di quanto non si creda.
Questo articolo è stato pubblicato su Jacobin Italia il 30 giugno 2021