Stati Uniti . Lo scenario post-voto immaginato dal presidente spaventa: denunciare i brogli per vincere giocando la carta Corte suprema. Una strategia figlia della disperazione, ben visibile al primo dibattito con Joe Biden
Ci si aspettava un grande spettacolo e, secondo il New York Times, la performance di Trump è stata «vulcanica» ma molti spettatori hanno cambiato canale prima della metà e chi è rimasto sintonizzato è uscito dal duello verbale di Cleveland con un’impressione negativa di entrambi i candidati.
Il dibattito vero e proprio è durato esattamente quattro minuti, il tempo di rispondere alla domanda sulla nomina alla Corte Suprema del nuovo giudice Amy Coney Barrett, poi Trump ha dato fondo al suo repertorio di interruzioni, accuse e insulti, una tattica che lo aveva favorito nel 2016 contro Hillary Clinton.
Sono però passati quattro anni e Donald è palesemente invecchiato, la faccia sempre più simile a quella di un bulldog, sovrappeso, con battute prevedibili e bugie già smascherate mille volte. Si sa che i suoi sostenitori sono indifferenti a ogni nuova notizia su di lui, quello che ha costruito tra il 2015 e oggi è un vero culto della personalità.
Ma anche i leader più carismatici a volte faticano a mantenersi all’altezza della propria reputazione e quello che si è visto martedì sera in scena è un presidente palesemente in declino, intimamente disperato. Il che è una pessima cosa per gli scenari che si apriranno il 3 novembre: i leader disperati sono pronti a qualunque pazzia.
I democratici erano molto preoccupati di come Joe Biden avrebbe reagito alle provocazioni incessanti di Trump, alle sue accuse, alle sue menzogne: in fondo Biden non è proprio un giovanotto (77 anni) è in politica da 47 anni e si è formato nel mondo ovattato e civile del Senato, non sui ring del wrestling preferiti dal palazzinaro di New York entrato in politica per salvarsi dal fallimento.
L’ex vicepresidente di Obama, inoltre, ha più di una volta dato segni di confusione nei suoi discorsi in pubblico e i suoi collaboratori temevano le gaffe che avrebbero poi potuto essere sfruttate dalla propaganda di Trump.
Al contrario, è andato tutto bene: Biden non è inciampato, ha risposto con energia fin dall’inizio. Già al quinto minuto ha detto tranquillamente «Tutti sanno che Trump è un bugiardo», poi ha aggiunto che è stato «il peggior presidente da sempre», lo ha definito «un clown» e più volte si è rivolto direttamente agli spettatori invitandoli tranquillamente ad andare a votare, mentre Trump strillava che le elezioni sono rigged, truccate.
Il punto centrale riguarda proprio le elezioni e una transizione pacifica dei poteri (il nuovo presidente entra in carica solo il 20 gennaio, quindi due mesi e mezzo dopo le elezioni del 3 novembre).
Trump si è rifiutato, come aveva già fatto in passato, di garantire un pacifico passaggio dei poteri nel caso in cui dovesse perdere le elezioni e sembra che per gran parte dei suoi sostenitori questo non sia un problema: in un sondaggio della Monmouth University pubblicato martedì, il 44% degli intervistati ha risposto che le dichiarazioni di Trump non li avevano infastiditi. Tra i repubblicani, solo il 21% giudicava negativamente l’atteggiamento di Trump, che obiettivamente è un incitamento alla guerra civile.
Fino a oggi, tutti i sondaggi a livello nazionale sono stati negativi per Trump, che riscuote circa il 43% dei consensi, contro il 50% di Biden. La strategia del presidente uscente è quindi quella di cercare di replicare la vittoria del 2016 nel collegio elettorale vincendo negli Stati incerti come Pennsylvania, Wisconsin e Michigan pur raccogliendo meno voti del candidato democratico su scala nazionale.
Inoltre, i repubblicani stanno usando ogni mezzo per scoraggiare gli elettori di Biden dal votare, facendo poi convalidare le regolamentazioni restrittive del voto di giudici amici. A causa dell’epidemia (che ha già ucciso oltre 200.000 americani) quest’anno tutto ruota attorno al voto per posta, che sarà lo strumento principale negli Stati che lo autorizzano: si calcola che almeno 80 milioni di elettori su 120 dovrebbero ricorrervi.
Non è detto, però, che queste 80 milioni di schede siano effettivamente contate: devono arrivare in tempo, le firme devono corrispondere, il timbro postale dev’essere valido, cioè non oltre il 3 novembre. Ma una cartolina spedita il 3 novembre potrebbe benissimo arrivare il 6, o il 10, il che rende sicuro che la notte delle elezioni decine di milioni di voti non saranno ancora arrivati, men che meno scrutinati.
Trump ha detto anche martedì sera che la Corte suprema «dovrà guardare» quelle schede, in pratica annunciando battaglie legali ovunque, contestazioni che dovranno essere risolte dai giudici, sperando che alla fine sia una Corte suprema amica a decidere chi siederà alla Casa Bianca, come già avvenne nel 2000 a vantaggio di George W. Bush.
Bilancio finale del match: zero a zero, ma era Trump che doveva vincere (e convincere). A Biden, in testa nei sondaggi, era sufficiente un pareggio e lo ha ottenuto, anche se ci sono altri due dibattiti in programma e tutto può succedere.
Questo articolo è stato pubblicato su Il manifesto il 30 settembre 2020