Tra il 2011 e il 2012 i familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980 consegnarono alla Procura di Bologna due memorie (in tutto quasi un migliaio di pagine), preparate dai consulenti della loro Associazione. Otto anni dopo, in vista del 40° anniversario, le novità giudiziarie sembrano confermare ed aggravare le responsabilità del neofascismo, della loggia massonica P2 e dei vertici dei servizi segreti italiani. A 25 anni dalla condanna definitiva di esecutori e depistatori, c’è una ragionevole speranza di dare finalmente un nome e un cognome ai mandanti del più grave attentato politico della storia europea, superato per numero di vittime e feriti solo dalle bombe integraliste esplose a Madrid l’11 marzo 2004.
Di questo parleremo con i quattro ospiti dell’evento (www.facebook.com/events/722029858649980) in programma sabato sera al circolo “La Fattoria” di Bologna: Paolo Bolognesi, la giornalista e scrittrice Benedetta Tobagi, l’avvocato Andrea Speranzoni e il magistrato Leonardo Grassi. Organizzato nell’ambito della “Manifesta 2020”, anche quest’anno in collaborazione con il ristorante etico Porta Pazienza (ex Fattoria di Masaniello) e l’associazione Piantiamolamemoria.
Sarà anche l’occasione per presentare il nuovo libro di Grassi:“La strage alla stazione in quaranta brevi capitoli”, Clueb 2020). Il magistrato che indagò sulle stragi dell’Italicus e della stazione, oggi fa parte del Comitato della Presidenza del consiglio sulla desecretazione e il versamento agli archivi dello Stato degli atti relativi al terrorismo. Il libro ha il merito di mostrare con chiarezza come le novità emerse negli ultimi due anni si calino perfettamente all’interno di quel contesto storico-politico-criminale in cui maturò l’eversione di destra, senza tralasciare una sintetica ricostruzione del lungo e tormentato iter giudiziario e dei suoi protagonisti, fino alla recente condanna in primo grado, per concorso in strage, di Gilberto Cavallini – anch’egli membro dei Nar già condannato anche per l’omicidio del magistrato Mario Amato, lasciato solo e ucciso il 23 giugno 1980 proprio perché stava indagando su di loro – e all’avvio del processo su complici e mandanti. All’inizio del 2020, poco dopo la condanna di Cavallini, la Procura Generale di Bologna ha infatti chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per un altro presunto esecutore neofascista, l’ex avanguardista e killer della ‘ndrangheta Paolo Bellini, e due depistatori contemporanei: l’ex capocentro del Sisde a Padova Quintino Spella (generale, oggi novantenne) e l’ufficiale dei Carabinieri Piergiorgio Segatel, entrambi accusati di depistaggi avvenuti l’aanno scorso (sic!). Rispunta infine il covo romano di via Gradoli, di cui non si parlava più dai tempi dello scandalo che coinvolse l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo: utilizzato in periodi diversi sia dalle Brigate Rosse che dai Nar, lo stabile di via Gradoli 96 – notoriamente nella disponibilità dei servizi fin dagli anni ’70 – era amministrato da un certo Domenico Catracchia, oggi inquisito per false informazioni al pubblico ministero.
Lo scenario eversivo faticosamente ricostruito dalla magistratura negli anni ’80/’90 appare dunque confermato e corroborato: la P2 non avrebbe solo depistato le indagini, ma ideato, organizzato e finanziato la strage. Anche sulla base di movimenti di denaro iniziati all’inizio del 1979, la Procura Generale di Bologna è convinta di aver individuato le prove che inchioderebbero i 4 mandanti. Tutti morti, tutti membri di spicco della P2. Vediamoli uno per uno, in ordine alfabetico:
- Licio Gelli (1919-2015) è il più noto: ex camicia nera ai tempi del fascismo, Gran Maestro della loggia massonica (allora segreta: sarà scoperta nel 1981) “Propaganda 2”, già condannato per i depistaggisu Bologna architettati insieme ai vertici di Sismi e “SuperSismi”. Nel 2009, alla vigilia del suo novantesimo compleanno, ammetterà: «Se nel 1981 non fosse stato bloccato il mio “Piano di Rinascita Democratica”, oggi avremmo una Repubblica presidenziale».
- Federico Umberto D’Amato (1919-1996): sbirro-gastronomo soprannominato “Zafferano”, teleguidò l’Ufficio Affari Riservati (la polizia politica del Ministero dell’Interno) a partire dagli anni ’50; insieme al fido Silvano Russomanno, si impegnò parecchio nei depistaggi delle indagini su Piazza Fontana. Coetaneo di Gelli ma meno longevo: dopo la sua scomparsa nel 1996, come per magia, a Roma in via Appia vengono ritrovati un archivio (ovviamente incompleto ) dei servizi e un pezzo di timer di una delle bombe che gli ordinovisti veneti Freda e Ventura avevano messo sui treni nell’agosto del 1969; bombe che, come quelle del 12 dicembre, oltre a colpire cittadini inermi, costarono una lunga ed ingiusta carcerazione preventiva a molti anarchici innocenti; e a Pino Pinelli costarono la vita.
- Umberto Ortolani detto “Baffino” (1913-2002): ex“Galantuomo di Sua Santità” (nominato da Paolo VI), Cavaliere di Gran Croce, Ambasciatore del Sovrano Ordine di Malta, presidente per il Lazio dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, Presidente della Federazione della Stampa Italiana all’Estero, ecc. Questo collezionista di titoli era la mente finanziaria di Gelli e curava gli intrecci tra la P2, la banca vaticana, Michele Sindona, il Banco Ambrosiano, ecc. facendo leva in particolare sui suoi eminenti contatti Oltretevere e in Sudamerica. Proprio a Bologna negli anni ’50 aveva preso il via la sua stepitosa carriera (amministratore delegato della Ducati) e iniziò a costruire rapporti molto stretti e fecondi con il cardinale Giacomo Lercaro e con il democristiano Fernando Tambroni (che nel 1960 diventerà presidente del consiglio grazie ai voti del Msi, ma che al tempo faceva parte della sinistra Dc). Quando scoppiò lo scandalo P2 fu evidente a tutti che essere contemporaneamente ferventi cattolici e massoni non rappresentava più una contraddizione insanabile…
- Mario Tedeschi (1924-1993): giornalista, da giovane scrive su “Roma Fascista”, durante la guerra combatte nella X^ MAS di Junio Valerio Borghese. Negli anni ’50 diventa direttore (lo resterà a vita) del settimanale “Il Borghese”. Negli anni ’60 inizia a collaborare con i servizi segreti e con D’Amato, inventando l’Operazione manifesti cinesi: diffondere illegalmente falsi volantini inneggianti al comunismo, per alimentare nell’opinione pubblica la paura dell’eversione rossa; ad occuparsi della manovalanza, anche in questo caso, saranno neofascisti del calibro di Stefano Delle Chiaie e Delfo Zorzi. Negli anni ’70 diventa senatore del Msi.
Il 1° giugno 2021 sarà l’Associazione familiari vittime a compiere 40 anni: un appuntamento che a Bologna meriterà grandi festeggiamenti. Perché, se e quando arriverà la verità completa, gran parte del merito sarà stato loro. Senza la incrollabile tenacia di Torquato e Lidia Secci – scomparsa lo scorso marzo: a lei non può non andare un pensiero affettuoso in questi giorni – e di Paolo Bolognesi forse molti col trascorrere degli anni avremmo rischiato di cedere a un senso di impotenza e di rassegnazione. Lo stesso Leonardo Grassi, nel 38° capitolo del suo libro, sottolinea come la nascita di questa Associazione abbia rappresentato una svolta nei rapporti tra vittime, giustizia, politica e mass media: “Quasi per contagio, anche in altre tipologie di processi, il ruolo della vittima diviene più incisivo e più visibile, e questo è un bene per il sistema giudiziario perché viene sottoposto a un controllo civile, non soltanto tecncico, a taluni forse sgradito, che altrimenti sarebbe stato impensabile”.
In attesa degli sviluppi giudiziari, ci sono tre cose che tutti potremmo fare subito, a prescindere:
- smettere di parlare e scrivere di servizi segreti “deviati”, perchè a fare queste cose erano i massimi livelli dei servizi italiani; tra il 1978 e il 1981 oltre a Giuseppe Santovito (generale dell’esercito e capo del Sismi), erano membri della P2 anche il generale dell’Arma Giulio Grassini, capo del Sisde, e il prefetto Walter Pelosi che dirigeva il Cesis, organo di coordinamento dei servizi.
- Iniziare a ragionare sulla legittimità delle logge massoniche tuttora esistenti, specie quelle che si rifiutano di rendere pubblici gli elenchi dei propri iscritti. Come ha ribadito di recente Rosy Bindi in una diretta web, «sarebbe ora di iniziare a rispettare l’articolo 18 della Costituzione, che vieta l’esistenza delle associazioni segrete».