di Amina Crisma
A partire dal libro “Niente di questo mondo ci risulta indifferente: riflessioni e proposte per un programma di ecologia integrale”, Edizioni interno 4, 2020
Per una singolare quanto significativa coincidenza, il libro Niente di questo mondo ci risulta indifferente (ed. Interno 4 ,2020), frutto del cantiere di dibattito collettivo dell’associazione Laudato si’ (nata nel 2015 con una dichiarazione sottoscritta da associazioni e da singoli attivisti, e fra i cui fondatori si annoverano Mario Agostinelli, Virginio Colmegna, Guido Viale), appare proprio nella fase attuale, al colmo di uno scenario distopico inimmaginabile neanche nei nostri incubi peggiori, ossia nel momento in cui la pandemia da coronavirus conferisce una pregnanza drammatica e inedita al tema cruciale del volume, la radicale istanza di una globale riformulazione del rapporto fra gli esseri umani e l’ambiente, come ben sottolinea nelle pagine introduttive la curatrice Daniela Padoan.
In questo scenario odierno assume una nuova e irrecusabile urgenza l’esigenza di costruire “un’alleanza per il clima, la Terra, la giustizia sociale” di cui l’associazione si fa interprete e il libro si fa espressione, articolandola in una riflessione e in un programma dettagliato riferito a un ampio ventaglio tematico: clima, depredazione ambientale, migrazioni, accoglienza, cittadinanza, democrazia, povertà, finanza, conversione ecologica, beni comuni, rapporto con il vivente, ecofemminismo, lavoro, stili di vita, salute, “guerra mondiale a pezzi”, minaccia nucleare, ambito del digitale, del virtuale e dell’artificiale, nuova pedagogia orientata a un’ecologia integrale.
Non è mia intenzione entrare nel merito delle singole aree tematiche e delle singole proposte: non ne sarei certo capace, dato che non sono né un leader politico né un sindacalista né un opinion maker, e comunque altri hanno già provveduto o stanno provvedendo a discuterne, in un dibattito che si è aperto, e che è auspicabile si allarghi ulteriormente. Quello che mi importa è raccogliere quella che mi sembra essere l’ispirazione fondamentale del libro, dal mio punto di vista di semplice abitatrice del pianeta, ovviamente interessata alle sue sorti e al destino comune che la nostra relazione con la Terra configura, e di interprete di testi di una diversa cultura, per tentare di declinarne le sollecitazioni in un orizzonte interculturale.
Il titolo del volume è una citazione dall’enciclica Laudato si’ di Papa Bergoglio, testo al quale dichiaratamente si richiama il collettivo a cui il libro si deve, nella convinzione che esso rappresenti un riferimento non soltanto per i credenti, ma per tutto quel vasto e variegato mondo laico in vari modi impegnato nella lotta alla povertà e a ogni forma di discriminazione, nella battaglia contro il degrado ambientale, nella promozione di modelli di sviluppo incentrati sulla difesa del bene comune. La nozione di una costitutiva solidarietà dei viventi che vi si dispiega attinge segnatamente, com’è ben noto, alla straordinaria intensità di accenti della Laus creaturarum; ma il sentimento di un’insopprimibile connessione degli umani con la totalità degli esseri trova affinità significative anche in testi assai distanti nel tempo e nello spazio, quali le antiche fonti delle tradizioni cinesi come il Laozi o il Neiye.
In riferimento al Laozi o Daodejing, celebre classico del pensiero taoista, lo ha, ad esempio, segnalato in alcune delle sue pagine più pregnanti un grande maestro di interculturalità, François Cheng, nato a Nanchang nel 1929 ed emigrato in Francia dal 1949, che non casualmente ha scelto di chiamarsi, appunto, Francesco, e che parla del paesaggio di Assisi e delle sue risonanze simboliche con un linguaggio in cui spiritualità taoista e cristiana sembrano intrecciarsi e convergere nel disegnare un’intima communio con il cosmo.
Il senso della sacertà dell’unione con la natura, l’imperativo di “tornare a succhiare il latte al seno della Madre da cui ogni essere è nato” risuonano con impareggiabile energia nel Laozi, e passi famosi di testi coevi come il libro di Mencio, maestro confuciano del IV secolo a.C., da una parte celebrano intensamente il sentimento insopprimibile di unità con i diecimila esseri, dall’altra denunciano con forza la devastazione del paesaggio naturale operata dall’uomo: l’immagine paradigmatica della montagna desertificata dalla deforestazione che vi è effigiata è l’emblema di una violenza sulla natura pari a quella perpetrata sugli uomini, nei cruenti scenari di guerre e stragi della Cina degli Stati Combattenti (IV-III secolo a.C.). I grandi classici della Cina antica, come ben ci mostra Simone Weil in pagine indimenticabili de La prima radice, denunciano inequivocabilmente la hybris di un agire umano che, simultaneamente, fa violenza alla natura e aggredisce crudelmente gli umani: denunciano la tracotanza di una volontà di potenza che diventa, su entrambi i versanti, cieca e feroce brutalità. E non si fermano alla denuncia: formulano il progetto politico di un diverso ordinamento del mondo, in cui restaurare il legame con la natura e tornare a rispettare i suoi ritmi vitali, in cui far regnare “senso dell’umanità e senso della giustizia” (renyi). E ancora, si interrogano su “chi mai potrà attuarlo: chi, se i pastori d’uomini, ossia i sovrani, sono avidi di massacri?”.
Il problema di costruire un soggetto politico capace di attuare la trasformazione di “tutto quanto sotto il Cielo” si poneva con icastica evidenza al pensiero della Cina antica, che anche sotto questo profilo, insomma, mi sembra offrire fertili risorse per gli ambiti di riflessione che ci propongono gli autori di Niente di questo mondo ci risulta indifferente. Si potrebbe riassumerne gli orientamenti fondamentali nella densa formulazione che ne ha dato un maestro neoconfuciano vissuto dopo il Mille, Zhang Zai, in cui convergono e si fondono insegnamenti confuciani, taoisti, buddhisti: “il Cielo è mio padre, la Terra è mia madre. Ogni uomo è mio fratello, ogni essere è mio compagno…”.
E’ a questo tipo di ispirazione spirituale, etica e politica che credo convenga oggi riallacciarsi, come fonte vitale a cui alimentare i nostri pensieri moderni, i nostri attuali progetti, il nostro agire orientato a definire un consenso etico fra culture capace di ricostruire sul piano del rapporto con la Terra l’autentica dimensione universale della nostra solidarietà di specie, di “tutti quanti sotto il Cielo”: un’ispirazione radicalmente altra e diversa da quella implicita o esplicita celebrazione del “dispotismo orientale” a cui sembrano ricondursi molte Grandi Narrazioni e molta apologetica contemporanea intorno al “modello cinese”. E in proposito, una lettera/appello della Fondazione Alexander Langer (“Da Tiananmen a Hong Kong, prima che sia troppo tardi”) opportunamente ci ricorda che in questi giorni ricorre un denso anniversario, da sottrarre alla rimozione.
Questo articolo è stato pubblicato su Inchiesta il 10 giugno 2020