di Valerio Romitelli
Oramai il linguaggio militaresco ha preso piede: gli ospedali come prima linea, i reparti di urgenza come trincee,
medici e infermieri come eroi e così via. E non solo in Italia. La retorica di Macron, ad esempio, ne ha fatto largo uso.
Tutto ciò non può non disturbare chi come me delle guerre in genere tende a pensarne sempre il peggio possibile. E
tuttavia c’è una traccia sintomatica non trascurabile nel diffondersi di questa fraseologia. Così in effetti si mette in evidenza una particolarità politica della situazione in corso. Il fatto che la dialettica principale, non è più – come
solitamente accade in democrazia – tra governanti e governati, tra rappresentanti e rappresentati, tra stato e
società o come la si vuol definire, ma queste contraddizioni sono divenute secondarie rispetto a quella che oppone
l’intera umanità alla pandemia in corso. Si comprende allora il desiderio di un governo sanitario mondiale avanzato tra gli altri dalla Urbinati. Ma nell’attesa evidentemente troppo lunga occorre fare con quel che c’è
La guerra in corso impone inevitabilmente in ogni paese un’;unità del tutto particolare tra governanti e governati.
Un’unità che richiede sicuramente un’obbedienza eccezionale dei secondi rispetto ai primi, i quali si trovano
per di più nella condizione privilegiata di potere tacitare ogni critica tacciandola come “disfattista”, e dunque più o meno corresponsabile del dilagare della pandemia. Unico vero, ma ben temibile rischio di ogni governo attualmente in carica è fallire in questa guerra: dimostrarsi incapace di farvi fronte. Un’ eventualità questa che può darsi, non solo “in prima linea”, per sconfitte in termini di misure sanitarie, ma anche nelle “retrovie”, non riuscendo a restare credibile come guida di un paese in un simile tragico frangente.
C’è allora da chiedersi se in Italia, il governo “Conte 2”, già di origini quanto mai bislacche e precarie, non stia correndo il rischio di entrambi queste sconfitte. Facendo così temere una disfatta dalle conseguenze inimmaginabili. Guai un 8 settembre di questi tempi! Di certo, la chiarezza, la coerenza e la preveggenza delle strategie di questo governo si sono dimostrate ben inferiori all’obbedienza riscossa tra la popolazione e all’abnegazione dimostrata da esperti e personale sanitari. Leggendo tra le righe dei tragici fatti che si stanno accavallando sotto i nostri occhi possiamo intravedere il configurarsi di una polarizzazione quanto mai complicata e densa di conseguenze tra due modi di pensare e condurre questa guerra. Uno è quello fatto di rivendicazioni patriottiche, di esibita fedeltà governativa, di vanto per il numero di sanzioni inflitte agli irresponsabili “untori” (sia pur in base ad una normativa emergenziale assai giuridicamente opinabile); ed è da questo schieramento per lo più rassicurante sulle conseguenze delle misure in atto e sull’evoluzione dell’epidemia che vengono distinguo e segnali protezionistici rispetto alle simili situazioni di altri paesi. L’altro modo di pensare e condurre questa guerra è invece quello più consapevole della dimensione pandemica che sta coinvolgendo l’intero globo; una consapevolezza che implica inevitabilmente anche una maggiore insoddisfazione sia per le misure attualmente prese, sia di come ne sta tragicamente soffrendo tutto il personale sanitario; il tutto accompagnato da una ben più acuta attenzione tanto per le vittime effettive e potenziali del morbo, quanto per gli intensi dibatti in corso tra gli esperti.
Il primo è un modo di pensare la presente guerra nel quale si traduce la tendenza politica già emergente in Italia
e altrove: la tendenza che ha accomunato ma anche contrapposto personaggi come Trump, Salvini, Kurz, Orban,
Bolsonaro, Modi, Duterte e così via, ossia la tendenza detta sovranista populista. Il secondo è un modo di pensare che può rivendicare una lunga e sia pur controversa tradizione ma che è più recentemente quasi dimenticato: quello più vicino ai governati in genere, a prescindere dalle loro identità, cioè alla gente senza potere di condizionare la vita degli altri, il tutto inquadrato in un prospettiva planetaria. Auguriamoci che la guerra in corso lasci perdere ogni
ottuso limite sovranista e populista per trasformarsi più decisamente in questo secondo senso popolare e
internazionalista.